i miei giri

Gran tour del Sassolungo in mtb

Il Gruppo del Sassolungo è uno dei gruppi montuosi che più amo: isolato da quelli vicini, è maledettamente scenografico e “fotogenico” e, pur avendo caratteristiche ben definite, ha un aspetto totalmente diverso se visto dalla bassa Val di Fassa, dal Sella, dalla Val Gardena o dall’Alpe di Siusi. Con intorno la Val Duron e i verdi pascoli dell’Alpe di Siusi, penso sia il sogno di molti bikers avventurarsi ai suoi piedi, ma mica tutti ne hanno per fare la Hero, magari il percorso lungo…

Ma, se si hanno fiato e gambe (o una E-MTB e la si sa condurre sul ripido) la circumnavigazione è possibile ed è di gran soddisfazione. Noi abbiamo testato 3 versioni diverse e sempre in senso antiorario. Volendo si può invertire il giro e (forse) incasinarsi ulteriormente la vita. Pronti a pedalare con noi?

La versione di Massimo

Qualche anno fa il mio compagno, alla ricerca di nuove emozioni, si è messo a studiare un itinerario per girare attorno al Sassolungo. In parte è già “tracciato”, visto che ci passa la Hero, si tratta di chiudere i pezzi mancanti. Ad un certo punto gli dico:

Ma scusa, perché per forza in senso orario? La salita lato Val Duron la conosci bene, prova a salire dall’altra parte!

Inverte il giro, lo prova e rientra entusiasta. C’è da dire che, pur non essendo un fenomeno, va (molto più di me) e si può permettere di fare salite rognosette. Vi riporto una descrizione sintetica dell’itinerario. Ovviamente ometto l’avvicinamento Pozza-Canazei (che figura però nei dati dell’itinerario sotto riportati) per concentrarmi sul tour vero e proprio.

Itinerario

Riporto in estrema sintesi il percorso seguito (la descrizione dei vari tratti è descritta nelle altre opzioni o in escursioni descritte in precedenza).

  • Da Campitello, seguendo il lungo Avisio in sponda sinistra si arriva a Canazei, ci si porta all’inizio del sentiero segnavia 655
  • Si risale la forestale fino a portarsi sulla state si raggiunge il Lupo Bianco
  • Su forestale (stesso segnavia) si raggiunge il Rifugio Valentini
  • Si segue un sentiero che porta sulla sterrata che passa a monte della Città dei Sassi (percorso Hero medio), fino al Rifugio Comici
  • In discesa (segnavia 526, deviare poi sul 528) ci si dirige verso Monte Pana, tenendosi sulla forestale dove il 528 si stacca da essa, ci si innesta su forestale segnavia 30
  • Si raggiunge Saltria, Tirler Alm e da qui Passo Duron
  • Si scende lungo la val Duron, si devia per Pian e si raggiunge Campitello

Dati percorso

  • Distanza: 54km 800m (compreso tratto da/per Pozza)
  • Lunghezza effettiva anello: 40km circa (Campitello – Campitello)
  • Dislivello: 1890m (D+/D-)

La versione di Barbara

Col moroso impegnato a fare il giro di cui sopra, anche a me viene una voglia matta di provare. Ma io non ho mai fatto la salita al Sella (e so che è tosta), però c’è una funivia che capita a fagiolo. Lato Gardena sono già pratica, mi manca l’ultimo pezzo di salita al Duron… E quindi… Ok ci provo.

Vado in bici fino a Campitello per prendere una delle prime corse per il Col Rodella e sfruttare la giornata. Non salivo qui da un bel pezzo, non lo ricordavo così bello il panorama, e con la luce del mattino, e poca gente in giro, è ancora più bello. Il Sella, la Marmolada… emozionante!

Inforco la bici e scendo verso il Salei e poi a Passo Sella. Dal piazzale di partenza della cabinovia per il rifugio Demetz so che dovrei seguire il sentiero 657 per raggiungere baita Michl, ma so anche che devo trovare il modo di passare a destra della baita pena finire su un sentiero fangoso, che è anche il “bagno pubblico” del bestiame. E niente, anche stavolta non becco la deviazione giusta e vado ad impantanarmi, sotto lo sguardo divertito del malgaro. Da qui seguo in discesa il percorso individuato per l’anello Selva – Passo Sella, deviando poi sull’adiacente bike park (percorso famiglia, molto carino). Raggiungo così Plan de Gralba.

Sbuco sulla statale e scendo in paese fino a Selva. In piazza Nives imbocco la strada che porta a La Sëlva, da qui raggiungo Saltria passando da Monte Pana, su percorso ampiamente collaudato: segnavia 308, Ciaslat, strada asfaltata per monte Pana, sterrato segnavia 30 che, dapprima in salita e poi con una lunga discesa, “aggira” il Sassolungo passando per boschi e ampi pascoli. Lungo queste strade mi imbatto per la prima volta nei segni lasciati da Vaia nel Gardenese: dalla valle principale sembra tutto a posto, invece il vento terribile di quella notte si è incanalato nelle valli che scendono dall’Alpe di Siusi e dal Sassolungo, radendo al suolo ampie porzioni di bosco.

A Saltria svolto a sinistra, su strada asfaltata (segnavia 6), per raggiungere Tirler Alm. L’asfalto finisce, si ignorano le deviazioni per incunearsi nel vallone che punta verso la cresta che fa da spartiacque con la Duron. Boschi e pascoli, tratti ripidi alternati ad altri più soft, tutto su ottimo fondo: si fatica ma fin qui nessun problema.

Il discorso cambia quando ad un bivio si svolta a sinistra. Qui si fa sul serio: il versante è ripido e lo si supera con rampe toste, tornanti, su fondo sterrato o con tratti rinforzati da autobloccanti, mentre la vista si apre ulteriormente su Sassopiatto e Odle. Nei pressi di una chiesetta ( se ho ben capito qui un tempo sorgeva l’albergo del Touring) si tira un attimo il fiato, prima di imboccare la rampa sulla sinistra: il passo è lì, ben visibile, manca poco… Peccato che la ruota slitti a pochi metri dal passo.

Eccomi qui, anche se è stata dura. La vista ripaga dalla fatica, soprattutto nell’ultimo tratto prima di Passo Duron, dove invece la vista risulta un po’ chiusa dal pendio erboso. Nel complesso, però, su questo lato la salita è più abbordabile rispetto al lato Val Duron: più continua ma con rampe un po’ meno ripide, soprattutto con un fondo decisamente più regolare.

Da qui inizia una lunga discesa, mentre la vista si apre sulla valle sottostante e verso Molignon e Marmolada. Trascurando la deviazione verso l’Alpe di Tires (ci ho provato una volta ed ho alzato bandiera bianca) si segue la mulattiera sconnessa, con molti sassi di grosse dimensioni. Il fondo diventa poi più regolare, ma a tratti si incontra parecchia ghiaia. La strada si snoda fra pascoli e ruscelli, fino ad una discesa molto ripida, con fondo in cemento (fino a qualche anno fa questo tratto era maledettamente sconnesso). Si scende in picchiata fino a Malga Ducoldaora, dove pascolano mucche e cavalli. E poi ancora giù, cercando di non incasinarsi nei tratti più ghiaiosi, fino alla spettacolare piana della val Duron.

Lasciar correre la bici, qui, è puro godimento, ed è più di una semplice ricompensa per la fatica fatta. È tutto bello in questa valle: il verde dei pascoli che fa contrasto con la scura roccia vulcanica formatasi durante eruzioni sottomarine, i torrenti, le marmotte sentinelle, i pelosissimi highlanders (razza bovina molto resistente alle intemperie). Schivando gli escursionisti, che qui si fanno più numerosi, si arriva in un piccolo angolo di paradiso : qui sorge la baita Lino Brach, un tempo un modesto casottino in legno e ora (i lavori erano cominciati 2 o 3 anni fa) ampliato e migliorato, ma il prato e le caratteristiche sculture in legno sono sempre lì, a sorvegliare la valle lato Marmolada e Denti di Terrarossa, a ricordare il vecchio gestore, morto lo scorso inverno.

Pausa pranzo e poi ancora giù fino al vicino Micheluzzi, da qui in picchiata fino alla baita Fraines (attenzione ai pedoni e alle navette!) per poi svoltare, poco sotto, verso sinistra. La bella forestale in falsopiano porta a Pian, caratteristico borgo ladino, da cui, su strada asfaltata, si torna a Campitello.

Dati percorso

  • Distanza: 35km 130m (Campitello-Campitello)
  • Dislivello positivo: 948m
  • Dislivello negativo: 1853m

Versione estesa in e-mtb

Questa estate lo abbiamo fatto anche noi.

Un po’ per necessità (ho rotto il cambio della bici scendendo dal Rifugio Firenze), un po’ per stare tutti insieme, un po’ per sentirci anche noi un po’ come Paez (Leonardo)… abbiamo noleggiato le E-MTB. E ci siamo tolti una gran bella soddisfazione!

Ma andiamo con ordine.

Ci rechiamo presso un noleggio bici in centro a Selva di Val Gardena. Il negoziante ci chiede dove vogliamo andare. “Passo Duron e rientro dal Sella” “… È tosta, voi siete abituati ad andare in bici, giusto?” Beh, si. Siamo vestiti di tutto punto, il figlio sfoggia la maglia Hero 2021, perché nel pacco gara del padre è erroneamente finita una M (ma quanto cavolo sono strette ste magliette?). Noi adulti, bene o male, andiamo. Vediamo come se la cava il dodicenne, che sul medio facile già mi semina, ma a gestire il cambio è un po’ un disastro.

Descrizione dell’itinerario

Preso possesso dei mezzi, del caricabatterie di emergenza (metti che decidiamo di allungare il giro…) e ricevute le istruzioni base, ci avviamo verso Piazza Nives, dove svoltiamo verso la Selva. Invece di proseguire verso i Ciaslat e Monte Pana, in cima alla salita asfaltata, svoltiamo a sinistra: in pratica, percorriamo al contrario l’ultimo tratto della Hero. Cercando di sfruttare il meno possibile la batteria, saliamo nel bosco, intercettiamo il segnavia 22, che seguiamo in salita, prendiamo una deviazione sulla destra, tagliando la pista Saslonc. Seguiamo per un tratto il segnavia n°23, passiamo il torrente e intercettiamo una forestale inizialmente contrassegnata dal n°528, passando a monte… di Monte Pana, immettendoci poi sulla forestale contrassegnata dal segnavia n°30. La giornata è spettacolare, cielo blu e poche nuvole, pascoli verdi e vette con ancora molta neve per essere metà giugno. Il bosco, pur se ripulito, mostra le ferite di Vaia, chissà quanti anni ci vorranno per rigenerare ciò che è andato perso.

Da Saltria in poi seguiamo esattamente il tragitto che ho seguito un paio di anni fa. Beh, con l’aiutino è decisamente tutta un’altra cosa. C’è persino il tempo per guardarsi intorno, anche sulle rampe più cattive! Cercando di non esagerare con la spinta extra, faccio quasi fatica a star dietro agli altri due, che salgono spediti.

Una volta svalicato, iniziano le raccomandazioni al giovane, che è un po’ spaventato dal fondo non proprio fenomenale delle prime discese. Scendiamo con prudenza, nonostante una piccola caduta Ettore se la cava egregiamente. Scendiamo veloci fino alla rinnovata Baita Lino Brach, dove ci fermiamo per pranzare, anche se non è ancora mezzogiorno. L’attesa è allietata da due giovani che suonano chitarra e flauto, un repertorio variegato che comprende anche “Libertango” di Astor Piazzolla, che io adoro.

Risaliamo in bici, passiamo il Micheluzzi, Baita Fraines… E ci troviamo la strada per Pian chiusa. L’ordinanza parla di lavori stradali che si protrarranno per tutta l’estate. Ecco perché la Hero questa estate è passata più sotto!!! Mentalmente impreco perché so cosa ci aspetta, e quel “cosa” non ho molta voglia di farlo in bici, e di farlo fare al figlio. Ma ci tocca, quindi…

“Ettore, scendi piano. Rallenta. Cavolo vuoi andare più piano che c’è una brutta discesa?!?!”

Arrivati alla “brutta discesa”, ci fermiamo entrambi (mentre Massimo prosegue). “Occazzo”. Ecco, appunto. La rampa che porta al ponticello sul torrente, poco prima di sbucare in paese, è tremenda. Stando ai tracciati Strava di chi ha fatto la Hero lunga siamo fra il 36% e il 40%. Per quello che ricordo, ha sempre avuto un ottimo fondo, ma il ghiaietto può renderla scivolosa, al punto che erano state legate delle corde al parapetto per agevolare i pedoni. La strada è stata migliorata grazie ad una gettata di cemento. La pendenza però è la stessa, e a fine discesa c’è una curva secca a sinistra e poi il passaggio sul ponte (un “drittone ” qui si paga caro). Io ed Ettore la facciamo a piedi, mentre Massimo, che ci ha preso gusto, sale per fare il bis.

Arrivati a Campitello, ci portiamo in sinistra Avisio e risaliamo la valle fino a Canazei, proseguiamo fino a sbucare sulla statale. Svoltiamo a sinistra e scendiamo fino alla rotonda, svoltiamo verso Passo Sella e, al primo tornante, svoltiamo a sinistra.

Ci portiamo lungo il torrente che scende dal Lupo Bianco, alla ricerca della forestale contrassegnata col n°655. Risaliamo così lungo la “pista di rientro”, caratterizzata da ottimo fondo, pendenze non impossibili ( è comunque una pista da sci…) con alcuni strappi più impegnativi. La Val de Antermont è stretta, ma davanti a noi fa capolino il Piz Ciavazes.

La strada passa sull’altro versante della valle, con una ripida rampa raggiungiamo la statale. La percorriamo fino al Lupo Bianco, anche se volendo potremmo tagliare su sterrato, scendiamo sul piazzale sulla sinistra alla ricerca del segnavia 655. La forestale sale con rampe che si fanno più cattive mentre il panorama attorno a noi diventa sempre più maestoso, con le pareti del Gruppo del Sella che sembrano quasi avvolgerci. L’indicatore della batteria scende, nonostante le opportune attenzioni e il livello di spinta non elevato (scoprirò all’arrivo che la mia bici ha una batteria meno performante rispetto alle altre due), quindi salgo con calma, mentre il figlio prende il largo. Mando suo padre all’inseguimento, impresa che si rivela più difficile del previsto. Il ragazzo ne ha, santo cielo, e sta onorando la maglia!

Raggiungiamo così un prato costellato di fiori di armentara, un balcone naturale affacciato sulla val di Fassa, vista Marmolada e Ciampac, il Sella dietro e a sinistra: uno spettacolo! È un gioiellino nascosto… in bella vista: è lì sopra, ma non ci passi per caso, devi scegliere di passare di qui, di salire al Sella in bici o a piedi, ed è una cosa che raramente si fa.

Proseguiamo ancora, puntando verso il Rifugio Valentini. Abbiamo ancora circa 250m di dislivello da superare. L’ultimo tratto è ripido e sconnesso, riusciamo ad arrivare poco sotto al rifugio, poi io ed Ettore dobbiamo mettere giù il piedino. Il Sassolungo si staglia davanti a noi, maestoso. Svalicando lo sguardo si apre verso le vette della Val Gardena.

Scendiamo a passo Sella, stavolta riusciamo ad evitare il sentiero che porta a Baita Michl, portandoci, superando un torrentello e un po’di neve, sulla pista da sci. Scendiamo e ci riportiamo sul percorso n°657, che percorre forestali a servizio delle piste da sci, alcuni tratti sono ben tenuti, altri (soprattutto quelli più ripidi) sono caratterizzati dalla presenza di molti sassi. Non mancano nemmeno i tratti su pista, in picchiata sul prato facendo lo slalom fra residue chiazze di neve. Raggiungiamo Plan de Gralba e la statale, a Plan deviamo sulla ciclabile e raggiungiamo la piazza.

Il tempo di fare merenda e ci rechiamo in negozio per restituire le bici. Piccolo bilancio :

  • Non abbiamo usato i caricabatterie
  • Io ho restituito la bici con una tacca di batteria (l’ultimo tratto di salita del Sella l’ho fatto col terrore di dover spingere l’arnese in salita)
  • I due maschietti, che avevano un mezzo più performante, l’hanno restituito con due tacche.

Il negoziante “ah beh, allora avete pedalato!”. Si, abbiamo pedalato. Un po’ di fatica l’abbiamo fatta, e ci siamo divertiti un sacco.

Dati tracciato

  • Lunghezza: 45km 800m
  • Dislivello positivo: 1754m
  • Dislivello negativo: 1754m
  • Tempo in movimento: 4h20′
  • Tempo comllessivo: 6h35′
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Da Selva al Rifugio Firenze

Il rifugio Firenze (Utìa de Ncisles in Ladino) è ubicato ai piedi delle Odle, lato Val Gardena. È facilmente raggiungibile a piedi da Selva o da Santa Cristina ed è, insieme alla stazione di monte della cabinovia Col Raiser, un importante snodo per le escursioni nel Parco Puez-Odle. È un’ottima meta anche per escursioni in mtb. Questa estate l’ho raggiunto in entrambi i modi, di seguito riporto la descrizione dei tragitti seguiti e delle possibili varianti.

A piedi via Daunei – Juac

In realtà la decisione di andare al Rifugio Firenze è stata un ripiego, in un periodo caratterizzato da condizioni meteo poco stabili: l’opzione A era la salita al rifugio Stevia, ma la mattina, al risveglio, troppe nuvole gironzolavano attorno alla vetta e ci attanagliava il dubbio che le previsioni meteo avessero toppato sull’orario di arrivo della pioggia. Dopo un rapido consulto con Ettore (quasi dodicenne compagno di avventure, nonché mio figlio), cartina alla mano ci orientiamo su qualcosa di più tranquillo, con meno dislivello e (presumibilmente) in buona parte nel bosco. Ci prepariamo e usciamo.

Descrizione

Ci avviamo lungo la ripida strada asfaltata che porta all’abitato di Daunëi, località situata circa 150 più in alto rispetto al centro di Selva, in posizione soleggiata, tranquilla e decisamente panoramica. Si prosegue oltre le ultime case, verso il parcheggio a pagamento (qualche tornante può essere evitato prendendo un sentiero opportunamente segnalato) e ancora oltre, fino all’ingresso nel Parco Puez-Odle.

Da qui si imbocca la mulattiera contrassegnata con il n°3, che, alternando tratti tranquilli ad altri più ripidi, attraversa un bosco di conifere, lungo il quale sono state posizionate alcune sculture in legno rappresentanti strumenti di lavoro (…una enorme motosega) e animali tipici della zona, come camosci e cutrettole. Sculture analoghe sono presenti lungo altri sentieri all’ingresso del parco.

Si giunge così al rifugio Juac, situato a 1909m slm su una balconata naturale affacciata sulla valle, con vista Sassolungo. Nei pressi del rifugio è installata una enorme meridiana, che proietta l’ombra sul prato, con le ore materializzate da massi bianchi. Si segue la traccia sulla destra del rifugio, su un prato che sembra una spugna e su cui, nonostante ciò, il gestore ha avuto l’ardire di posizionare una porta da calcio. Si percorre una passerella in legno che scavalca una risorgiva, si prosegue poi prevalentemente in discesa fino ad incrociare la forestale contrassegnata dal n°1, in corrispondenza di un laghetto.

Si prosegue oltre, verso nord, seguendo i segnavia 1 e 3. La mulattiera, che presenta un fondo abbastanza regolare, passa ai piedi dello Stevia puntando verso le Odle, mentre sulla destra si vedono gli impianti a servizio del comprensorio sciistico di Col Raiser-Seceda.

La sagoma del rifugio spunta sulla nostra destra: lo raggiungiamo grazie ad un’ultima rampa su fondo piuttosto ghiaioso e, con un paio di tornanti, ci troviamo davanti alla struttura.

Ci fermiamo per un breve spuntino, con un occhio al cielo perché la situazione non ci convince più di tanto… E per fortuna che, essendo a inizio stagione, ci siamo portati i viveri perché la volpe (io) si è dimenticata soldi, bancomat, documenti… Solo i 2€ trovati in una tasca dello zaino mi consentono di prendere un caffè.

Non ci fidiamo e ci apprestiamo a rientrare alla base, mentre al rifugio arrivano alcuni bikers… col “trucco”. Già, perché in periodo di #herodolomites… son tutti Paez con la mtb elettrica! L’unico ad avventurarsi lì con la muscolare lo incontriamo proprio sulla rampa sotto al rifugio. Torniamo a casa lungo lo stesso itinerario seguito all’andata.

Dati escursione

  • Distanza complessiva: 10km 760m
  • Dislivello positivo: 554m
  • Tempo impiegato: 3h55′
  • Tempo in movimento: 2h52′

Link a percorso su Strava

In mtb da Santa Cristina (con imprevisto)

Premetto che sulla mappa in mio possesso (se non erro acquistata presso “Dolomiti Adventure”) il Rifugio Firenze non è inserito in alcun itinerario, ad eccezione di uno classificato come difficile (discesa dal Seceda, raggiungibile da Ortisei con gli impianti di risalita). Sul sito valgardena.it è invece descritto l’itinerario ad anello n° 298 “Regensburger Hütte Runde”, ovvero “Tour del Rifugio Firenze”, anch’esso classificato difficile, ma all’atto della pianificazione del tour non lo sapevo… Peccato perché questo itinerario avrebbe fatto al caso mio: prevede di prendere quota dirigendosi verso la Vallunga per imboccare, poco dopo “la Ciajota”, la mulattiera identificata col n°26, che passa sotto le rovine del castello di Wolkenstein e si innesta sul percorso fatto a piedi all’altezza dell’ingresso nel parco, evitando la ripida strada asfaltata che porta a Daunëi.

Volendo evitare la strada asfaltata spaccagambe, ho scelto consapevolmente di incasinarmi l’esistenza dirigendomi verso Santa Cristina ed affrontando la forestale che raggiunge il Rifugio risalendo la valle dalla stazione di partenza della cabinovia Col Raiser. In pratica, l’idea era quella di ripercorrere al contrario un tratto dell’itinerario indicato sulla mia mappa, su una strada che segue la pista da sci.

Meglio perire qui, con onore, che in paese su una lunga salita al 14%.

Descrizione

Da Selva mi sono quindi diretta verso Santa Cristina imboccando Streda Plan da Tieja e poi svoltando seguendo i cartelli per la stazione di valle della cabinovia.

La strada asfaltata che serve impianto ed annessi parcheggi è decisamente ripida. Prosegue poi su fondo buono, alternando bruschi strappi (talvolta asfaltati o con i “binari” per le ruote cementati) a tratti più pedalabili. Insomma, fino qui per una persona un minimo allenata è fattibilissima. Peccato che non sia il mio caso…

Si giunge poi ad un bivio, a sinistra una mulattiera molto sconnessa con indicazioni per il rifugio, a destra due strisce cementate che si inerpicano ripide sul versante: ecco, la mulattiera segnalata porta al sentierino per escursionisti, mi rassegno quindi a spingere la bici lungo la ripida salita, facendo attenzione ai mezzi di servizio dei rifugi.

Superato il “gradino”, ricomincia un’ottima forestale che transita vicino a Malga Sangon, con il panorama che si apre sempre più sulle vette aguzze delle Odle. Un ultimo strappo e ci si innesta sul sentiero percorso a piedi, all’altezza del laghetto, che con la bella giornata si trasforma in uno specchio magico.

Proseguendo, devo dire che facendola a piedi mi era sembrata più difficile, anche se, pedalando, sento un rumore strano, quasi come se la ruota fosse frenata, ma in realtà sembra tutto a posto. È solo l’ultima rampa, stretta e ghiaiosissima, a creare problemi e metto giù il piedino, prima di percorrere l’ultimo tratto e di sbucare davanti al rifugio, piuttosto a tocchi ma soddisfatta.

Stavolta i soldi li ho portati e mi sparo una fetta di strudel. Faccio qualche foto e mi accingo a tornare all’ovile.

Faccio una cinquantina di metri e sento un fracasso infernale. Diamine, va bene che ci sono sassi, però… Però non sono i sassi, è il cambio: cedimento strutturale del forcellino, mentre a me cede strutturalmente, in senso metaforico, qualcosa d’altro e dentro di me si accumula una sequela di improperi che la metà basta.

Niente, mi sa che la componente ciclistica delle mie vacanze è andata a quel paese… È pur vero che volevo cambiare la bici, ma dopo le ferie. Piuttosto attapirata scendo a valle “per gravità”, fermandomi periodicamente per spingere o sistemare il deragliatore che picchia sui raggi. Il rientro lo faccio passando per Juac, se devo sburlare un po’ preferisco farlo senza auto che mi passano accanto.

E la mia compagna di avventure finisce così nello sgabuzzino.

Dati escursione

  • Distanza complessiva: 11km 610m
  • Dislivello positivo: 590m

Link a percorso su Strava

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Buoni propositi per il 2020

Chi pedala a Capodanno, pedala tutto l’anno!!!

Ah, non era così?

Peccato!!!

Panigale

Beh, a parte le battute (stupide), in questi mesi sono stata “latitante”, ho praticamente interrotto la mia attività di scribacchina da quattro soldi e pochi followers, e non solo su questo sito, che è un po’ giochino è un po’ valvola di sfogo. Anche le mie altre “collaborazioni” si sono ridotte drasticamente. Soprattutto, pure l’attività fisica è stata interrotta, a causa dei miei moltiplicati impegni e del mutare delle condizioni al contorno (tipo che nella palestra vicino casa hanno tolto il corso di spinning nei giorni e orari che per me erano comodi).

Vabbè, come primo proposito del 2020 ci metto “ricominciare ad andare in palestra “, anche se vorrei mettere “cambiare lavoro”, opzione decisamente più complicata da attuare.

Buoni propositi 😀

In attesa di predisporre il piano di battaglia per la ripresa dell’attività fisica, ho rispolverato la bici per l’unico giro che potevo fare il 1 gennaio

  • Uscendo di casa dopo le 14.30
  • Evitando sterrato (i cacciatori il 1 gennaio stanno a tavola a mangiare o vanno a procacciarsi il cibo? A scanso di equivoci, meglio non correre rischi)

Il giro ad anello è quello che collega Grumello, Pizzighettone e Crotta d’Adda via argine. Una cosa molto soft, che è anche occasione per provare Strava, installato per scaricare un percorso di Juri Ragnoli per conto del mio moroso. Noi infatti da qualche anno utilizziamo la piattaforma del nostro GPS xplova, Strava non lo avevamo mai utilizzato.

Pizzighettone

Pizzighettone

E così, dopo essermi bardata per bene (strano, ho trovato tutto 🙂 ), sono salita in sella e via, a togliere la ruggine dalle articolazioni. Salvo poi accorgermi di aver scordato il caschetto… vabbè, non c’è in giro un’anima, per stavolta faccio senza.

Fa freddo, ma non troppo: il sole ha scaldato l’aria a sufficienza, nonostante la gelata notturna, e si pedala bene. Pochissime auto in giro, qualche famigliola a spasso col cane al guinzaglio lungo la ciclabile. Certo che quando vedo il figlio adolescente ribaltarsi sulla carreggiata dopo aver inciampato nel cordolo mi vien da pensare che i genitori più che al cane dovevano padare a lui…

Pizzighettone – le rapide e la centrale

E via per il centro storico di Pizzighettone, dove alcune comitive stanno visitando le mura, il lungo Adda e Porta Soccorso, col sole a riflettersi nel fiume e colori da tramonto incipiente. Già, in questa stagione l’effetto “sole di mezzanotte” falsa la percezione dei tempi, si fatica a stimare le ore di luce disponibili, i colori dorati danno l’impressione di un tramonto con tempi dilatati.

Passando accanto alla centrale risulta evidente che la piena natalizia (!!!) non è ancora stata completamente smaltita. Da qui si attraversa la provinciale e poi lungo la strada d’argine, incrociando qualche ciclista e pochi pedoni, con le lunghe ombre che attraversano la strada.

Fra Pizzighettone e Crotta

A Crotta si passa da via Cavallatico, un balcone sul fiume, poi si piega verso Acquanegra e quindi verso Grumello, attraversando nuovamente la provinciale e poi il passaggio a livello.

Verso Crotta

La torbiera di Crotta

Pescatore… all’ombra dell’ultimo sole

Crotta e il fiume

Le temperature ormai si stanno abbassando, come il sole all’orizzonte. La ciminiera dell’ex fornace da qui si manifesta in tutta la sua… inclinazione, mentre il paesello placido sonnecchia lungo la scarpata del fiume scomparso.

Grumello

La Fornace Fossa

A casa mi aspetta un the caldo.

Imparerò mai a centrare l’inquadratura?

L’ombra della sera 🙂

P. S.

Anche se si tratta di un esperimento, non condivido il link del percorso stava perché ho sbagliato a spegnere registrazione. Ma mi chiedo: vabbè che in pianura ogni salita sembra chissà cosa, ma chi ha chiamato “spaccagambe” la salita di Roggione ha una bella fantasia…

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Anello del Lusia variante Sottosassa – video

Ed eccolo, finalmente, in video del “girone” dell’estate 2018, l’anello Moena – Bellamonte – Lusia con partenza da Soraga, la cui descrizione è disponibile cliccando qui.

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Anello Selva – Passo Sella. Video

Ecco qui il video del percorso ad anello che consente di raggiungere Passo Sella e Città dei Sassi da Selva di val Gardena.

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Autumn in CR (con imprevisto)

La ciclabile “Strada Regina” fra Annicco e Grontorto

Domenica 23/09/2018.

Mi preparo per uscire e prendo la mtb.

Rifletto un attimo, e torno in casa.

Metto l’Autan (!!!)

Riprendo la mtb, e parto.

Pedalo immersa nei miei pensieri quando qualcosa di naturale, ma allo stesso tempo fuori luogo, mi distoglie da essi. Ci metto un attimo, e poi capisco cosa è che non mi sfagiola: le cicale a fine settembre?!?!?

No, non sto scherzando.

E’ un pomeriggio di inizio autunno, e te ne accorgi anche per la luce, che è diversa… più radente, e più calda. Il verde degli alberi è meno verde, e qualche foglia secca comincia ad accumularsi ai cigli delle strade. E passando accanto ad alcuni alberi senti ancora le cicale?!?!?

E’ un po’ surreale. Alle zanzare ormai non ci si fa più caso, sono bastati 2-3 giorni di caldo e sono rispuntate incazzatissime, ma effettivamente questa “stagione di mezzo” è un po’ anomala.

E’ doveroso approfittare di questi scampoli di estate fuori stagione per fare una pedalata in campagna, scegliendo accuratamente il giorno e l’ora perché nel frattempo è iniziata la stagione della caccia, ed è poco salutare aggirarsi sulle strade poderali il sabato, o la domenica mattina, soprattutto se non si ha la maglia giallo fluo. E così, per vedere anche che “aria tira”, scelgo un percorso prevalentemente su percorsi segnalati. Vado ad Annicco per intercettare la Strada Regina per Soresina, e da qui alle Tombe Morte, per poi imboccare la ciclabile del Naviglio Civico. Destinazione…boh? Forse Casalbuttano, se riesco anche più in là, dipende dall’ora… Insomma, ho in mente una variante più “asfaltata” dell‘Anello del Morbasco.

Ecco, l’obiettivo verrà poi ridimensionato, ma non per colpa mia.

Genivolta, Tombe Morte

Genivolta, Tombe Morte – Naviglio Civico

Mi ritrovo così a pedalare su strade familiari ma che, ogni volta che le percorro, mi fanno cogliere nuovi particolari, o, semplicemente , cambiando ora e periodo dell’anno, cambiano colori ed ombre, e l’apparentemente monotona pianura padana si rivela sempre diversa agli occhi di chi osserva, anche solo di sfuggita passando in bici. Ecco, forse ogni tanto dovrei invertire il senso di percorrenza di alcuni giri, perché mi rendo conto che alcuni scorci li vedo solo come “frame” quando mi volto. E non posso sempre inchiodare e girare la bici per tornare indietro a fare la foto…

Incontro molte persone: gruppi di amiche, famiglie, coppie di “diversamente giovani”, a piedi, di corsa, in bicicletta, e nelle tenute più disparate. Soprattutto da Soresina in poi incontro molte persone, lungo il percorso ciclopedonale che porta al santuario di Ariadello e nella zona delle Tombe morte, che è un crocevia di percorsi ciclabili molto frequentati.

Svolto a destra, e lungo il Naviglio Civico scopro che ci sono alcune aree i sosta a cui non ho mai badato in modo particolare: panche e tavoloni in pietra all’ombra di salici piangenti, con portabici semisommersi dalle foglie secche. Il tutto vista canale, pioppeti e. non molto lontano, una vecchia centrale elettrica, recentemente stata ristrutturata. Il gioco di luci ed ombre è molto bello, da foto. Ed infatti poco lontano c’è un fotografo amatoriale, armato di cavalletto, che cerca di immortalare i caldi colori di metà pomeriggio, che danno l’impressione del tramonto incipiente, anche se in realtà mancano quasi tre ore.

Peccato però per le schifezze che, qua e là, compaiono abbandonate in mezzo all’erba o galleggiano sull’acqua.

Sosta lungo il Naviglio Civico

Pioppeti lungo il Naviglio

Arrivata sulla strada fra Casalmorano e Azzanello, il percorso segnalato si scosta dal Naviglio, deviando verso Nord per poi imboccare un tratto di strada molto stretta costeggiata da due rogge, frequentata solo da pedoni, ciclisti e dai residenti nelle cascine lungo la strada.

E qui succede il patatrac. In direzione opposta vedo arrivare un’auto e una bici, guidata da un anziano. Il tipo in bici va avanti a pedalare, con dietro la macchina, che non ha lo spazio per sorpassare. L’anziano accosta, sempre pedalando, e la macchina lo sorpassa. Mentre l’auto prosegue nella mia direzione, dietro vedo il tizio che si ribalta nel fosso.

Attimo di panico, quelli dell’auto non se ne sono accorti! Poi però si fermano, e scendono, nel frattempo arrivo anche io, oltre ad altri due anziani in bicicletta. Il malcapitato è in piedi nel fosso, col volto coperto di sangue. La signora che guidava si leva i sandali, e scende lungo la riva per aiutarlo a risalire, mentre un altro signore, con non poca fatica, riesce a riportare sulla strada la e-bike caduta nel fosso. Il vecchietto, che ha 87 anni e tutti i giorni va a zonzo con la sua bici a pedalata assistita, è finito nel fosso perché ha appoggiato il piede per terra ma la sponda gli è ceduta sotto il piede: qui infatti, appena fuori dal nastro asfaltato, il terreno “sano” occupa una fascia strettissima, poi è un groviglio di sterpaglie e sabbia, e non tiene assolutamente nulla. La disavventura è costata al signore un taglio in testa, causato dalla bici che gli è caduta addosso, un graffio sulla mano e un paio di ciabatte trascinate dalla corrente.

Tra soccorso e attesa della figlia, a cui, con non poca fatica, viene spiegato come raggiungere il posto, parte più di mezz’ora. Risalgo in sella per proseguire il percorso verso Mirabello Ciria, ben sapendo che avrei dovuto accorciare il giro. Evito di riprendere la ciclabile verso Casalbuttano, e punto verso Acqualunga Badona. Mi ritrovo però sulla statale che arriva da Bergamo, e qui devo capire come deviare su sterrato, in una zona che non conosco, fra cascinali e la ferrovia. Imbocco una vicinale che passa accanto ad una grossa azienda agricola e attraverso la ferrovia. Arrivo su una strada secondaria, e cerco di orientarmi guardo il gps e poi l’orizzonte. Vedo un paesino ma non capisco quale è, poi finalmente trovo lo zoom giusto. Caspita, è vero, quello è il campanile di Paderno Ponchielli!!! OK, posso (virtualmente) considerarmi a casa. Raggiungo il paese e proseguo in direzione Luignano, da qui prendo una vicinale che mi porta a Farfengo. E da lì, l’unica difficoltà che mi separa da casa è il cavalcavia sulla statale.

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Anello del Lusia (variante Sottosassa)

Atto secondo

Torniamo sul Lusia.

La salita lato Moena l’ho descritta QUI, ma le possibilità di arrivare quassù in mtb aumentano se si considera la salita lato val Travignolo. Ci sono tre possibili percorsi di accesso, in particolare voglio descrivere qui un percorso ad anello che ho “scovato” questa estate, e che collega Moena, Predazzo e il Lusia, percorrendo la vecchia strada che passa nel canyon del Travignolo.

Verso Zaluna

I luoghi

Moena

Il nome del comune deriva da un termine veneto e ladino che è traducibile con “mollica”: va quindi inteso come “prati molli”. Il nome “Moena” lo si ritrova anche nell’antica leggenda di Re Laurino e della figlia Ladina che, innamorata del principe Latemar, si trasferisce a Rancolin per stargli più vicino mentre è in guerra, e decide di farsi chiamare Moena.

Pur facendo parte della Val di Fassa, Moena è da secoli aggregata alla Magnifica comunità di Fiemme. E’ un paesino grazioso, con i suoi 2700 abitanti è uno dei più grandi della valle, che con l’incremento del turismo si è ampliato forse troppo, e in alcuni casi con scelte stilistiche un tanticchia discutibili. Io l’ho sempre “schifata” perché, essendo costruita sullo snodo fra la val di Fassa e la valle San Pellegrino ed attraversata dalla statale, in piena stagione era troppo caotica. Ora invece la circonvallazione devia tutto il traffico in attraversamento, e il centro è decisamente più vivibile. Presso il teatro Navalge si può visitare la mostra La Gran Vera, dedicata alla Prima Guerra Mondiale.

Da Moena parte la Marcialonga di Fiemme e Fassa (notissima gara di fondo)

Predazzo

Si trova alla confluenza delle valli di Fiemme e Fassa. Il nome deriva da “prato grande”, il paese si è sviluppato a partire dalle baite costruite da contadini e pastori di Tesero. Ora ha 4500 abitanti. Attraversandolo ho avuto la sensazione che qui sia stato conservato più che in val di Fassa l’aspetto originale del centro abitato. Gli edifici di vecchia costruzione, dalla struttura massiccia, hanno conservato i colori originali e, in alcuni casi, le pareti affrescate, senza troppi orpelli in legno (in altre località ci si è fatti un po’ prendere la mano). Qui ha sede un museo geologico.

Predazzo era anche stazione di arrivo della ferrovia che saliva da Ora, smantellata negli anni sessanta.

La Val Travignolo e Forra di Sottosassa

Il torrente Travignolo nasce sulle Pale di San Martino, percorre la Val Venegia (consigliatissima, sia per escursioni tranquille sia per mtb) e poi percorre l’omonima valle fino a Predazzo. Forma il lago di Paneveggio (artificiale). La Forra di Sottosassa si trova fra la diga di Forte Buso e Predazzo, qui si può andare in mtb, fare semplici camminate anche con bambini piccoli, e si può arrampicare.

ll parco di Paneveggio

Il territorio del Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino è situato nelle Alpi Orientali (Dolomiti Trentino Orientale) e si sviluppa intorno ai bacini idrografici dei torrenti Cismon, Vanoi e Travignolo, comprendendo la Val Venegia, la Foresta di Paneveggio, un’ampia porzione del Gruppo delle Pale di San Martino, l’estremità orientale della catena del Lagorai e una parte della catena Lusia – Cima Bocche, aree che costituiscono Siti di Importanza Comunitaria e Zone di Protezione Speciale all’interno della Rete Europea «Natura 2000».

Nella foresta di Paneveggio cresce l’abete rosso di risonanza, da secoli utilizzato per le tavole armoniche di strumenti musicali a causa delle sue capacità di trasmettere le onde sonore attraverso la fibra legnosa. In Italia cresce anche nella zona del Latemar e a Tarvisio, ma dalla val di Fiemme arrivava il legno utilizzato da Antonio Stradivari per la realizzazione dei suoi strumenti.

A Paneveggio c’è un centro Visitatori.

Planimetria percorso

Profilo altimetrico

Il percorso

Io sono partita da Soraga, quindi lo descrivo a partire da qui, anche se l’anello vero e proprio lo si percorre da Moena. Avendo perso la registrazione gps, l’ho ritracciato a mano. Non è precisissimo, ma più o meno ci siamo. Le caratteristiche sono

L = 44km

D+ = 1275m

Segnalo che sul posto è tracciato un itinerario di salita al Lusia, e io, per l’ultimo tratto, ho seguito le indicazioni. L’unico tracciato che ho trovato in rete con queste caratteristiche è il 932, che però viene descritto in discesa dal Lusia

Il torrente Costalunga a Moena

Partendo dall’ufficio turistico di Soraga mi immetto sulla ciclabile che porta in direzione Moena, mantenendosi sulla sinistra del lago. Appena fuori dal centro abitato si sale per un breve tratto, il tracciato prosegue poi in falsopiano, per poi buttarsi in picchiata verso Moena, con tratti al 12%-13% e qualche tornante. Si passa accanto al minigolf e ad un bar, si torna a salire fino alla caserma della Polizia (qui c’è un centro di addestramento), si prosegue dritto e, seguendo i cartelli, si imbocca una discesa in pavé che porta in centro a Moena, nella zona pedonale fra l’Avisio e il ponte sul rio Costalunga.

Questa è la piazza immortalata in numerosi video girati in occasione dell’alluvione di luglio (la sagoma dell’ex Albergo Corona è inconfondibile): mentre qui non ci sono segni visibili di ciò che è successo, basta spostarsi un po’ e vicino al ponte sul Costalunga sono presenti ancora alcune transenne, ci sono tratti di muretto danneggiati, ancora alcuni sacchi di sabbia forniti dalla Protezione Civile. Volgendo lo sguardo verso valle, si può anche capire il motivo di tanto disastro, in quanto il ponte adiacente è bassissimo e può fare da tappo in caso di piene violente.

Moena

Mi rimetto in sella, raggiungo la sponda destra dell’Avisio e percorro un viottolo sterrato fra il fiume e gli edifici adiacenti. E qui faccio una piccola stupidaggine, nel senso che non riesco a beccare l’inizio del percorso ciclabile verso Predazzo, e mi ritrovo a percorrere un tratto di statale. Probabilmente dovevo passare accanto al Navalge, sulla sponda opposta. Poco male… proseguo tranquilla, tanto è presto è ci sono in giro poche macchine. In corrispondenza di un punto di ristoro svolto a sinistra e imbocco un tratto in sede protetta in direzione sud, imbocco così un tratto di ciclabile asfaltata che si mantiene in destra Avisio, passando sotto la statale per San Pellegrino e proseguendo finché i cartelli non indicano di imboccare un ponte. Da qui in poi si alternano le due sponde dell’Avisio, il percorso si srotola come un nastro sinuoso lungo le sponde del torrente e in mezzo ai prati sui quali cominciano ad arrivare i primi raggi di sole, e viene percorso da runners, signore che si fanno la loro passeggiata mattutina, coppie di mezza età (ovvero poco più grandi della sottoscritta) che praticano il nordic walking, bikers. Certo che a muoversi ci si scalda, ma uscire di casa con l’aria così frizzantina non è facile, soprattutto perché il percorso è quasi interamente all’ombra… e io sono in discesa…

Moena – C’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra

Si passa ai piedi dei trampolini per il salto con gli sci (sui quali sono in corso dei lavori), a Predazzo manca poco. Con un percorso un po’ tortuoso si entra in paese. Predazzo è un paesotto piuttosto grande, e a quest’ora c’è già un bel movimento, anche di auto. Anzi, devo dire che ho avuto conferma del motivo per cui preferisco andare su sterrato piuttosto che percorrere le strade asfaltate: a me i diesel che mi passano accanto danno veramente fastidio, anche se qui basta poco per disperdere i fumi di scarico.

La gola del Travignolo

Dopo aver attraversato Predazzo seguendo le indicazioni per Passo Valles e Passo Rolle, si arriva sulla statale. La si attraversa e ci si porta su uno sterrato che costeggia il Travignolo: si passa accanto al entro sportivo proseguendo in destra idrografica, risalendo la corrente si arriva così in prossimità le campeggio. Dato che proseguendo dritti ci si infila in un viottolo dove non passa nessuno da una vita, con erba alta e qualche arbusto, è opportuno deviare a sinistra poco prima del campeggio, seguendo una ripida stradina asfaltata con indicazioni per Zaluna. Si imbocca poi un viottolo sterrato, sulla destra, con indicazione Sottosassa.  Qui si attraversano pascoli, si passa accanto a cascinali e a masi portandosi verso l’imboccatura della Forra del Travignolo. Questa zona è estremamente caratteristica: il torrente scorre in una gola scavata all’interno del porfido, modellando in parte, con la sua azione, le pareti. Ciò è ben visibile dal ponte in pietra (Ponte Lizata) che si trova proprio all’inizio della gola. Le pareti sono pressoché verticali, soprattutto su questo lato del torrente. La strada (che da qui ha segnavia 660) è ricavata nell’alveo del torrente, direttamente da questa strada si parte per affrontare le vie di arrampicata attrezzate su queste pareti. E le mie manine da ex climber si mettono per un attimo a frugare gli appigli di partenza dei monotiri, immaginando i movimenti per arrivare a moschettonare ai primi rinvii…

Chiudo qui l’attimo nostalgia e risalgo in sella.

La falesia di Sottosassa

Proseguendo lungo il torrente, il canyon si allarga un po’, ma la strada lungo il torrente finisce. ci si trova però davanti una mega rampa pavimentata dalla pendenza extra strong, chiusa da una sbarra (si entra in una proprietà privata), in fondo alla quale c’è un tornante. Ebbene si, si deve salire di lì. Mentre sburlavo, con le tacchette che tendevano a scivolare sulle piastrelline in porfido, mi ha superato mtb elettrica, condotta da una donna che soffiava come un mantice e smoccolava dei “Puttana Eva” come se non ci fosse un domani.

In fondo al salitone epocale le indicazioni per Scofa e per il ponte sospeso fanno imboccare un single track, che ad per superare uno strappo un po’ cattivo si biforca in due percorsi, per i pedoni e per le bici, . Ingnorando le indicazioni che indicano a sinistra per proseguire sul sentiero 660. Segue poi un tratto di sterrato ampio e agevole da percorrere, fino ad uscire dal bosco. Qui parte il sentierino che porta al ponte, mentre lo sterrato (342a) prosegue costeggiando alcune belle baite, con curve inizialmente ampie, che si fanno tornanti man mano che la strada si impenna per raggiungere la statale per il Rolle. Ammetto che questo pezzo mi ha un po’ stroncato, mi sono chiesta un paio di volte se poi sarei stata in grado di affrontare la salita (quella vera).

In cima alla salita c’è una sbarra, si percorre ancora un tratto di sterrato e si sbuca oltre Bellamonte, si raggiunge a statale e, dopo un paio di curve, si imbocca la strada che porta alla partenza degli impianti per il Lusia (indicazioni per Castelir).

Si sale su asfalto, dopo una curva a sinistra si incontra, sulla destra, una forestale con ottimo fondo, riconoscibilissima perché all’imbocco c’è un pannello esplicativo relativo agli itinerari storico naturalistici che si possono percorrere nell’area.

La Val di Fiemme dalla forestale fra Castelir e Paneveggio

Ci si dirige verso Est, alternando tratti tranquilli a strappi più o meno decisi, attraversando un ambiente vario: boschi, pascoli, baite (con o senza barbecue acceso). Volendo andare a Forte Dossaccio, si può prendere una deviazione sulla destra.

Si sale… e poi si scende. Dalla cartina lo avevo capito, ma non avevo valutato attentamente l’entità della discesa.

Ma sarò sul percorso giusto? Non è che sto scendendo troppo?

No, sono giusta, i cartelli indicano chiaramente per il Lusia. E quando, più indietro, avevo letto il dislivello che dovevo ancora superare mi, era venuto un colpo perché non mi tornavano i conti. Ora invece capisco da dove arrivano i 150m che mancano all’appello. Tra l’altro, mi tocca una variante: un ampio settore del bosco è recintato per taglio alberi, ad un certo punto si deve deviare dalla strada perché ci sono i macchinari che bloccano il passaggio. I forestali hanno individuato un breve percorso alternativo nel bosco: terreno sofficissimo e muschio, sembra di camminare su un piumone, e mi spiace quasi passarci sopra con la bici, ho paura di rovinare qualcosa…

Ripreso il tracciato originale, si scende ancora un po’, ma dopo un ponte, finalmente, compare il cartello che indica la deviazione per il passo. Inizia qui il tratto tosto, una strada che a vederla sulla mappa fa temere parecchio, con questi zig zag che risalgono il versante e sembrano tracciati con la squadra da uno studente di quinta geometri alle prese con il progetto stradale. Inizio a salire… e devo dire che mi aspettavo peggio. Intendiamoci, ho sempre temuto le strade “monopendenza”, e qui si viaggia, per tutta la tratta con tornanti, ad una pendenza quasi costante dell’11-12%, però riesco ad azzeccare subito rapporto e ritmo giusti, e ne esco in modo decisamente dignitoso. Già, perché fino alla sbarra che si trova all’incrocio con la forestale che arriva da Malga Bocche non metto giù il piede (e non è da me), complice la strada, che è completamente nel bosco e non mi concede nemmeno la scusa di fermarmi a fare foto. Supero alcuni gruppetti a piedi, e qualcuno ha pure l’ardire di chiedermi info sui tempi di percorrenza per “il lago”, io però glisso anche perché non ho la più pallida idea di dove si trovi questo lago (mi vengono in mente solo i laghi di Lusia e di Bocche, ma sono parecchio più in alto). Trovo parecchie mtb in discesa, ma a salire, almeno qui, non trovo nessuno.

Le Pale di San Martino

Alla sbarra, dove si incrocia una forestale contrassegnata dal n°623, posso quasi dire di essere arrivata, anche se manca ancora qualche chilometro: da qui infatti si svolta a sinistra e la salita è molto più dolce, oltretutto il paesaggio si apre consentendo di volgere lo sguardo verso Pale di San Martino e Lagorai, fra pascoli e baite graziose. Facendo lo slalom fra famigliole e passeggini, aggirando gruppi di amici che si concedono una pausa foto durante la salita con e-bike dalle parti di Malga Canvere, si arriva in vista del passo.

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Baite lungo la strada che sale da Paneveggio

Il rifugio si trova proprio sotto il colle delle Cune, i vasti pascoli consentono all’occhio di spaziare dalla catena di Cima Bocche al Lagorai e, come ho detto nell'”Atto primo“, al suo interno conserva una piccola collezione di reperti (geologici e bellici) trovati nelle zone limitrofe. Da qui è visibile la mulattiera che risale il versante in direzione Cima Lastè e Cima Bocche, mentre, poco distante dal rifugio, lungo la strada da me percorsa, si trova un monumento ai caduti del moenese. Spostandosi di qualche decina di metri si raggiunge il passo, e da qui si vede il gruppo del Catinaccio e della Roda di Vaèl. Aguzzando la vista si distinguono le Torri del Vajolet.

Il Catinaccio visto dal Lusia

Qui, anche se c’è parecchia gente, riesco a trovare un posto in un tavolo in condivisione, fuori sul terrazzo. Si, perché è decisamente ora di pranzo, e ho una voragine al posto dello stomaco, oltre che parecchia sete. E non ho voglia di dolce… quindi… mi butto su una zuppa di orzo (con speck sedano e carote, a me piace un sacco) e un bicchiere di “integratore salino a base di luppolo”, che ordino al gestore, un tizio pelato con due bicipiti più grandi delle mie cosce. E devo dire che si è trattato di una scelta azzeccata. La zuppa è saporita il giusto, e aiuta a reintegrare i liquidi. E la birra è frasca, va giù bene, ed piccola, quindi non rischio di raddrizzare le curve in discesa (quantomeno, non più di quanto possa fare la mia scarsa capacità di gestire il mezzo). Mentre aspetto il mio piatto, scambio quattro chiacchiere con il mio compagno di tavolo, che ha al suo attivo qualche Rampilonga (è il vecchio nome della Val di Fassa bike), con qualche dritta sui percorsi che si possono fare in zona, possibilmente asfalto free.

…ci sta!!!

Una volta rifocillata, il tempo di scattare qualche foto e via, in discesa lungo la forestale che scende a La Rezila e, da qui, verso Moena. In sostanza, percorro in discesa il tragitto descritto nel post precedente. E devo dire che è veramente ripido… allora non avevo smadonnato solo perché sono scarsa, il motivo concreto c’era! Arrivata sulla statale non posso riprendere la forestale che sbuca in Streda de Longiarif perché è chiusa causa frana, percorro così un tratto di statale. Qua e là è riconoscibile qualche segno lasciato dal nubifragio di luglio, e sul ciglio della strada è ancora presente una fila di sacchi di sabbia a protezione delle abitazioni retrostanti.

L’Avisio a Moena

Passo accanto al Navalge e, costeggiando l’Avisio, torno in piazza per poi risalire fino alla caserma della Polizia, da dove ci si porta sulla ciclabile. E qui la stanchezza si fa sentire: ok, ci sono tratti al 13%, ma le gambe proprio non vanno…

L’ultimo tratto è tutto in discesa fino al sottopasso della statale, da qui posso raggiungere il punto di partenza.

Possibili varianti e concatenamenti

Salita da Malga Bocche

E’ possibile salire al Lusia seguendo una strada diversa rispetto a quella qui descritta: c’è infatti una forestale che consente di salire da Paneveggio fino a Malga Bocche e che per un tratto è indicata con il segnavia 626. La si può imboccare dalla statale per il Rolle, o dalla forestale Castelir-Paneveggio: in questo caso, dopo il ponte in legno non si seguono le indicazioni per il Passo Lusia, ma si prosegue fino ad intercettare la forestale di cui sopra. Poco dopo Malga Bocche si incontra lo sterrato 623 e si svolta a sinistra, ricongiungendosi, poco dopo, col tracciato già descritto.

Concatenamento con Val Venegia

Prendendo spunto dalla guida Val di Fassa e Dolomiti in MTB segnalo che è possibile percorrere un itinerario a 8 che consente di concatenare la salita alla Baita Segantini con quella al Lusia. Parcheggiando al Centro Visitatori e dirigendosi verso Passo Valles, si percorre la Val Venegia fino a Baita Segantini, per poi scendere passando per Malga Juribello e la statale di Passo Rolle. La salita al Lusia può avvenire per uno dei due percorsi descritti, per poi scendere a Bellamonte su comodo sterrato, segnavia 660 e rientrare al punto di partenza. Anni fa, non conoscendo la zona abbiamo affrontato separatamente le due salite, invece devo dire che il concatenamento è fattibile anche per persone non esageratamente allenate.

Val Venegia

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Lusia, opzione no-Cune

Premessa

Questo post è stato scritto un paio di anni fa ma mai pubblicato, perché mi ero ambiziosamente ripromessa di completarlo con tutte le varianti possibili. Ecco, dato che questa estate ho scoperto un percorso bellissimissimo e che merita di essere trattato a parte, ho deciso di rimettere mano al post originario, approfittandone per

  • stralciare le varianti sostanziali
  • mettere a posto la numerazione dei percorsi tracciati (nelle valli di Fiemme e Fassa è stata rivista integralmente)
  • inserire un alert relativamente alla situazione del percorso (conseguenza dell’alluvione avvenuta a luglio 2018)

Insomma, questo è solo l’atto primo. Seguirà il secondo, corredato di video.

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Benvenuti al Lusia

Come arrivare al Lusia in mtb e sopravvivere

Quando penso a “Lusia” e “MTB” automaticamente mi viene in mente una parola: Cune!!! Ovvero… mi compare davanti agli occhi l’altimetria dei percorsi medio e lungo della Val di Fassa Bike degli scorsi anni, che percorrevano il tratto alto della pista Le Cune per arrivare alla stazione di monte della cabinovia e, da qui, scendere a passo Lusia. E quindi… pure le foto dei tanti che qui “sburlavano” la bici causa pendenze spaccagambe…

Per fortuna ci sono percorsi meno “hard” per arrivare al passo, che, avendo tempo, voglia, fiato e gambe, possono essere utilizzati in combinazione fra loro o con percorsi limitrofi.

Io mi sono avventurata qui tre volte:

  • la prima anni fa dal lato sud (partenza da Paneveggio); per quello che mi ricordo, superato il primo “gradone”, non è impegnativa
  • la seconda nel 2016 come ultima escursione delle ferie, affrontandola lato San Pellegrino da Moena… e l’ho sentita eccome, nelle gambe (ma il problema ero io, più che la salita)…
  • la terza questa estate (2018), percorrendo in senso antiorario un anello che mi ha portato da Moena a Predazzo, poi lungo il Travignolo, per affrontare il Lusia da sud e scendere lungo il percorso fatto nel 2016.

Come primo “assaggio” vi propongo quindi il giro che ho fatto nel 2016. Direi però che è il caso di dire prima dove siamo nel mondo

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Monumento ai caduti del Moenese

Il Lusia, lo sci… e la Grande Guerra

Ai più il Lusia è noto come comprensorio sciistico, ma il passo è punto di partenza strategico per numerose escursioni sulle cime circostanti (Viezzena, Sas da Mesdì…) e nella Catena di Bocche, con i Laghi di Lusia e la ferrata del Gronton.

Cima Bocche era un elemento fondamentale della prima linea austriaca nella Grande Guerra, e la zona dei Laghi di Lusia era costellata di trincee e baracche. Qui ci sono stata in un paio di occasioni, più di vent’anni fa, e le trincee erano ancora ben visibili, con un po’ di pazienza era possibile trovare materiale bellico, anzi presso uno dei bivacchi presenti in zona erano conservati alcuni reperti interessanti.

La zona è ora inserita fra i percorsi segnalati nella mappa “Sui sentieri della Storia”, predisposta grazie alla collaborazione dell’associazione storica “Sul fronte dei ricordi” con il Comune di Moena. Si tratta dell’Itinerario 7 “Lusia-Gronton-Cima Bocche”.

Se entrate nel rifugio presente al passo noterete che di lato alla porta di ingresso, di fronte al bancone, sono presenti dei “muretti” in legno. In pratica sono due teche, in una sono conservati reperti della guerra (gavette, bombe a mano e altro), nell’altra invece sono custoditi campioni di minerali rinvenuti nelle vicinanze.

Il Lusia e la mtb: Val di Fassa Bike Classic e Marathon

Sulle carte dell’APT trovate l’indicazione dei due percorsi tracciati permanentemente, ovvero:

  • 901 (ex 201): Val di Fassa Bike Classic, 50km e 2160m dislivello;
  • 902 (ex 202): Val di Fassa Bike Marathon, 61km e 3115m dislivello.

201

Percorso 901 (ex 201)

202

Percorso 902 (ex 202)

I due percorsi partono da Moena, percorrono una serie di strade forestali che dal paese si addentrano nella valle che porta al Passo San Pellegrino e, dopo aver tagliato la pista da sci che scende alla partenza della cabinovia per il Lusia, svoltano a destra e salgono verso Le Cune, scollinando a quota più elevata rispetto al passo. Potete trovare le tracce su questo portale, nel primo tratto però differiscono da quanto segnalato sulle mappe, in quanto non fanno passare dal centro del paese.

Siccome io “non ne ho” per fare Le Cune… ho “segato via” la parte alta seguendo un percorso alternativo (e più logico, direi…).

In blu il tracciato seguito (Carta Tabacco 1:25000, che forse è il caso di cambiare, visto che non c’è nemmeno la circonvallazione di Moena…)

Il tracciato – Da Moena a Passo Lusia via La Rezila

Il percorso che descrivo presuppone il passaggio lungo una forestale che è stata danneggiata nel corso dell’alluvione di luglio. Al momento è chiusa per lavori, è quindi opportuno verificare se è stata ripristinata, in caso negativo bisogna percorrere un primo tratto della statale che sale al San Pellegrino, rimettendosi sul percorso descritto in corrispondenza del sovrappasso della pista da sci sulla statale stessa, che di seguito indicherò con (*). Complessivamente, sono quasi 900D+, da compiersi in circa 6km. Breve ma intensa, insomma…

Fissiamo come punto di partenza “convenzionale” la piazza principale di Moena, ovvero Piaz de Ramon (quella dove c’è il Post Hotel, tanto per intenderci).

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Moena, edificio all’inizio di Streda Longiarif

La prima parte del percorso è comune con i tracciati 901 e 902, quindi si prende la strada che, osservando il torrente che scende da Passo San Pellegrino, passa sulla destra (a sinistra c’è la salita della vecchia statale verso Canazei). La via si chiama Streda de Longiarif. Proseguite dritto, troverete o le indicazioni per i due percorsi o quella del segnavia 632. Si passa sotto la nuova statale, con una rampa cementata molto ripida, seguendo la pista di rientro dal Lusia. Le pendenze sono abbastanza tranquille (dopo è decisamente peggio).

Si incontra la statale per Passo San Pellegrino, la si attraversa e (*) si imbocca la strada asfaltata che porta a la Rezila. Si sale lungo una strada che si addentra nel bosco diventando presto sterrata… ad eccezione dei tornanti con fondo rivestito in cemento per consentire il transito dei mezzi di servizio per i rifugi. Il fondo è ottimo, ben tenuto per tutto il tragitto, c’è solo poca ghiaia in alcuni punti. La pendenza si fa più elevata, fino a La Rezila c’è poco per rifiatare, anzi dove si attraversa la pista da sci che scende alla stazione della cabinovia sono Madonne che volano e lingue che sfiorano la strada. Questo è il tratto che mi ha fatto più disperare, senza ombra di dubbio.

Si prosegue sempre nel bosco, e si incontra un bivio. NON seguire per Malga Pozza o Valbona: i cartelli gialli che indicano questa direzione sono quelli della Val di Fassa Bike. Andate dritti verso La Rezila – Passo Lusia, sempre su ottimo (pendente) fondo. Raggiunta La Rezila si costeggia una bella baita e si prosegue dritto (sulla sinistra c’è un percorso natura, teniamolo a mente perché tornerà utile più avanti).

Dal Lusia verso il Catinaccio

Da qui in poi la pendenza è complessivamente inferiore… Il problema è che ci sono arrivata un tanticchia brasata, e della riduzione di pendenza me ne sono accorta ben poco!!! Ancora 300m di dislivello e si arriva al Passo Lusia.

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Pausa ristoratrice con torta pere e cioccolato (buonissima, anche se la mia…)

Per il ritorno l’intenzione era quella di seguire il percorso 901-902 in discesa, quindi tornare a La Rezila e prendere il “sentiero natura” di cui parlavo prima. Si tratta di una forestale che risale nel bosco con un paio di tornanti, passa in prossimità di Malga Colvere e scende poi fino ad innestarsi sulla forestale che corre in sinistra idrografica della valle. Quest’ultima è quella che seguo quando vado a Passo San Pellegrino (si veda la descrizione dell’escursione per Fuciade). L’avrei quindi dovuta percorrere in discesa, dovendo io rientrare a Pozza sarebbe stata l’opzione migliore perché mi sarei evitata di tornare in centro a Moena, ma quando ho visto il diluvio che si stava scatenando sul Catinaccio ho preferito girare la bici e seguire il percorso, tutto in discesa, fatto all’andata. Mi sono concessa un’unica variazione che mi ha fatto ridurre un po’ la pendenza della discesa.

E se preferite la discesa?

Se schifate la salita perché preferite lanciarvi a capofitto in discesa, o se semplicemente volete affrontare percosi differenti e spingervi oltre, in Val Travignolo o verso il Rolle, potete sempre prendere la cabinovia fino al Lusia (sono due tronconi) e scendere:

  • a: verso la Valle di San Pellegrino seguendo i segnavia 622-623 e tornando alla partenza della cabinovia (tratti parecchio ripidi)
  • b: verso la Valle di San Pellegrino seguendo i percorsi 901-902: si scende al Lusia e da qui si segue il segnavia 623 fino a La Rezila e poi il 625 fino allo sterrato che sale verso il Passo San Pellegrino (cfr. percorso per Fuciade); prestare attenzione perché questo tratto che corre parallelo al torrente San Pelegrino è stato danneggiato dall’alluvione di luglio
  • c: Verso la Val Travignolo lungo il segnavia 660, si arriva sulla statale per Passo Rolle all’altezza di Bellamonte
  • d: Verso la Val Travignolo lungo il segnavia 623 fino a Malga Bocche e poi seuendo il 626, si arriva al Centro Visitatori di Paneveggio

Agli itinerari c e d farò cenno quando parlerò della salita lato Val Travignolo

Buon divertimento.

I possibili itinerari di discesa dal Lusia (da “Val di Fassa e Dolomiti in mountain bike”)

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Prima del temporale

Ci sarò prima del temporale?

…no.

E niente, il tentativo di andare al San Pellegrino da Soraga è sfumato. E non solo per l’acquazzone (quantomeno, non solo per quello di oggi).

Il resto ad una prossima puntata.

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Anello Selva – Passo Sella

(Un ritorno da Hero)

Sbagliando strada ai piedi del Sassolungo

La lavagna degli eroi

Non so se si può considerare una routine ormai assodata, ma se il venerdì è dedicato al “kid”, il sabato al nostro “Hero”… la domenica si svolge la “Hero schiappa”, ovvero sono io a salire in sella alla mia mtb e a cimentarmi sulle salite della Val Gardena.

Lo scorso anno, complice una giornata strepitosa, ero andata all’Alpe di Siusi. Stavolta decido di cimentarmi con la salita al passo Sella, e ritorno dal percorso medio della Hero, ben consapevole che se devi percorrere una forestale che segue, anche solo parzialmente, una pista da sci…vuol dire che stai cercando guai.

La mattina facciamo colazione e liberiamo la stanza (o meglio, il mini appartamento) del garni “Ortles Angelo” che abbiamo scelto questo anno. E, come noi, anche gli altri ospiti sono qui per la Hero, come ricorda la lavagnetta appesa alla reception. Inforco la mia bestiola, che non è certo all’altezza delle bici che erano parcheggiate sotto casa in questi giorni, ma a me va bene così… in fondo il mio problema non sono certo i kg della bici, sono quelli che mi porto appresso abitualmente (oltre al pessimo allenamento). Mi “incammino” verso Plan de Gralba.

Planimetria

Profilo

Il percorso

Percorro la statale, con molta calma, percorrendo i pochi tornanti che portano verso il bivio fra Passo Sella e Passo Gardena. Il termine “calma” è decisamente ironico. Sono una vera e propria lumaca. D’altra parte il tempo per allenarmi è pressoché assente, e pensare che mi hanno spedito a lavorare in Liguria, quindi potrei anche spaccarmi un po’ sulle salite dell’entroterra. Potrei, ma non posso, perché non mi sono portata la bici, dubito accettino di custodirmela al Novotel…

Vabbé, lasciamo perdere, ora sono in ferie e mi godo la salita, mentre mi sorpassano tutti quanti, auto e ciclisti, e il panorama pian piano si allarga verso valle, e le pareti del Sassolungo e del Sella iniziano ad incombere su di me.

Salendo a Plan de Gralba – Uno sguardo verso le Odle

Arrivata a Plan de Gralba devio a destra e, da qui, passo sullo sterrato. Questo è un posto strategico per la stagione invernale, perché da qui partono gli impianti che servono le piste di Passo Sella (è sul Sellaronda, giro in senso orario). Ed è proprio lungo una di queste piste che devo salire.

Il segnavia da seguire è il 657. Mentre pedalo verso l’inizio della forestale, l’occhio mi corre sull’ampio parcheggio, e noto con piacere che ci sono alcune colonnine di ricarica per auto elettriche. Molto bene, il vento sta cambiando. E se, oltre a quello, calano un po’ anche i prezzi delle auto, quando la Picanto deciderà di passare a miglior vita potremmo anche fare il grande salto.

La salita inizialmente è dolce, il fondo ottimo. La parete del Sella si mette in mostra sulla sinistra, e lo sguardo fatica ad abbracciarla tutta. La sterrata, che corre approssimativamente parallela alla statale, si mantiene sulla sinistra della pista da sci, e comincia a bastonarmi alternando tratti pedalabilissimi a strappi dove fatico, e la ruota posteriore tende a slittare.

Ad un certo punto devo mettere giù il piedino per non cadere. Spingo ansimando la bici, mentre un tizio mi supera i scioltezza (beato lui…). Sto per risalire in sella in corrispondenza di un tratto tranquillo, ma mi fermo perché lo vedo seguire una traiettoria strana: lì, ai piedi di uno strappo che si preannuncia bastardissimo, una forestale si stacca deviando a destra, mentre quella su cui siamo va via dritta. Il tipo, dopo aver cambiato più volte direzione, sembra puntare alla bisettrice dell’incrocio. E sale lungo il prato che ricopre la pista, lungo la linea di massima pendenza.

Questo è tutto matto!

Penso io, mentre rimetto le chiappe sul sellino. Pedalo, cambiando il rapporto perché vado via tranquilla. Riscalo all’inizio della salita. Scalo ancora perché è dura, e la ruota pattina, mentre io ansimo e smadonno.

Niente, mi arrendo.

Mi sposto sul prato, risalgo, pedalo. E vado, con il cuore in gola ma vado. Ecco, non era matto, il tizio di prima. Aveva semplicemente ragione. Anche se l’erba non è cortissima, anche se il fondo qualche solchetto ce l’ha, almeno qui la ruota non slitta, e si riesce ad andare.

Salendo oltre, la strada è bella, complessivamente pedalabile, anche se di tanto in tanto viene qualche dubbio sulla direzione da seguire, perché dove si incrociano altre forestali le indicazioni scarseggiano, o sono messe in posizione tale da trarre in inganno. E questo presenta aspetti positivi e negativi. Come? Ora mi spiego.

Salendo incrocio una forestale, che sale leggermente verso sinistra. Mentre guardo la strada non mi accorgo di un cartello, che è alcuni metri più in basso rispetto all’incrocio. Che faccio, quindi? Seguo la forza, e svolto a sinistra. Dopo la curva successiva mi trovo davanti una rampa ripidissima, di quelle con le due fasce di fondo cementato per agevolare la salita dei fuoristrada, e in mezzo alle due fasce, ciottoli. Comincio a smadonnare, ad arrancare, la faccio quasi tutta mentre mi vengono in bel po’ di dubbi.

Non è che mi sto avvicinando troppo alla statale?

Infatti… in cima trovo la sbarra che chiude l’immissione sulla statale per il Sella. Torno indietro, e mi accorgo del cartello che prima mi era sfuggito.

No, dai, sulla pista da sci no…

Voglio illudermi, spero di aver interpretato male il cartello, o che qualcuno lo abbia inavvertitamente fatto ruotare un po’. Allora provo a seguire la sterrata verso destra (rispetto alla strada da cui sono arrivata. Da qualche parte si andrà… E mi trovo, dopo poco, in mezzo a un gruppo di baite, fra ruscelli e laghetti, sotto la parete del Sassolungo. Pace, silenzio. Un posto bellissimo, dove non sarei mai passata se la segnaletica fosse stata più chiara, se non avessi sperato fino all’ultimo di evitare qualcosa di veramente tosto. Purtroppo però la strada qui finisce, e mi rassegno a tornare, nuovamente, su i miei passi e ad affrontare ciò che speravo di evitare.

Sassolungo

Baite ai piedi del Sassolungo

Baite ai piedi del Sassolungo

Risalgo la pista da sci.

La pista in questione è un prato ripido; niente sterrato, stavolta. Probabilmente c’è chi se la fa in bici in discesa, a tavoletta, perché c’è una sottile striscia priva di erba. E, da sotto, si capisce che ci sono 2-3 muri (spero non di più) separati da tratti meno… stronzi. Oltre il mio sguardo non vede. Mi affido a San Fausto Coppi e comincio a salire lungo la linea di massima pendenza.

Il primo tratto lo faccio a fatica. Mi ripiglio un attimo e faccio il secondo. Tiro su la testa, vedo il terzo.

Minchia… Non ce la farò mai.

Il terzo (e ultimo), oltre ad essere ripido è pure il più lungo. Rimango ferma un attimo, come a cercare delle energie che non ci sono, e poi provo. Ne faccio circa 3/4 e poi alzo bandiera bianca, stramaledendo la mia totale mancanza di allenamento.

Ruzzo la bici fino in cima, e qui tutto diventa più abbordabile, Lo sterrato sale dolcemente, serpeggiando fra prati e qualche grosso sasso, fino ad un punto di ristoro. Qui parte la caccia al segnavia, che scovo sulla destra della baita. Ah, dimenticavo: qui lo sterrato finisce. Il resto è sentiero, lungo il quale si alternano tratti ripidi e sconnessi da fare a spinta con altri nei quali si procede agevolmente, o quasi. Siamo ai piedi della cosiddetta Città dei Sassi, ciò che è rotolato fin qui ha volume nettamente minore rispetto ai macigni che si trovano più a monte (su alcuni ci sono tracciati dei monotiri e sono frequentati da corsi di arrampicata) e l’ultimo tratto lo percorro in sella, facendo lo slalom e sbucando così in corrispondenza del Rifugio Passo Sella.

Da Passo Sella verso la Val Gardena

Mi porto sulla statale che sale al passo, ne percorro un breve tratto fino al bivio per il rifugio Valentini, vista Marmolada. Qui svolto a destra, in cima imbocco un single track che si fionda verso le piste da sci: da questo punto sono sul percorso della Hero (medio, ovviamente). In fondo però tocca affrontare un breve strappo per giungere sulla sterrata della Città dei sassi, ai piedi del Sassolungo. Da qui. la vista sul Gruppo del Sella è impagabile. Si procede mantenendo la quota pressoché costante, per arrivare ad un tratto di discesa con un passaggio tecnico, dopo il quale la strada si ricongiunge col sentiero che arriva dal Sella (526).

Si giunge così fino al rifugio Comici, con lunghi tratti in discesa o valsopiano e qualche strappetto in salita (quello più antipatico è proprio davanti al rifugio). Archiviata la giornata dedicata alle mtb, gli escursionisti sono giustamente tornati padroni dei sentieri, però quando ti trovi davanti la famigliola proprio nei punti più ripidi, suoni il campanello e non ti sente nessuno, mettere giù il piedino fa un poco girare i cosiddetti.

Arrivati al Comici, si svalica svoltando a sinistra, e qui comincia la picchiata verso Selva. Oddio, non è mica solo discesa…

Inizialmente si imbocca una ripida forestale, poi si taglia a sinistra per pascoli, con la bici che ballonzola per le irregolarità del terreno, in mezzo alle mucche che pascolano pacifiche, successivamente si segue, per buona parte del tragitto, una forestale indicata dal segnavia 22. Io sarò anche scarsa, ma la discesa non mi pare banale. Riguardandomi, successivamente, il video della discesa della vincitrice, scopro che qui lei ha sbagliato traiettoria e per poco non si è ribaltata nel torrente.

Si passa accanto alla partenza di una seggiovia, e poi giù per un ripido muretto, e poi, lungo una forestale nel bosco, con alcuni tratti parecchio sconnessi e sassosi, che mi spingono a fare una cosa che di solito non faccio, per pigrizia e per un problema tecnico alla bici: abbasso drasticamente il sellino, perché la sensazione di essere catapultata in avanti è veramente fastidiosa. E io il sellino lo tengo parecchio alto, in rapporto ai miei pochi cm, per non sforzare il ginocchio. Però per me modificare la posizione del sellino significa “uscire” la chiave inglese dalla borsa degli attrezzi, perché il meccanismo di blocco del canotto non tiene, e il mio meccanico di fiducia (il moroso) non me lo ha ancora sistemato. Insomma, una scocciatura che pago più avanti, quando la strada risale per attraversare la mitica Saslong (si, proprio quella della Coppa del Mondo).

Si ricomincia a scendere nel bosco, si attraversa la Saslong V1 (credo sia il tracciato originario) e il prato a monte di La Selva, si scende a piombo su asfalto per poi svoltare bruscamente a sinistra, lungo il viottolo che passa a monte della strada che da La Selva porta verso il centro. Anche qui è prevalentemente discesa, a parte un breve tratto, e lo sterrato si conclude, con un brusco tornante, sbucando sulla strada accanto all’ufficio postale e alla Casa di Cultura.

Da lì, all’arrivo è un attimo. Basta attraversare la strada…

Dati tecnici

Lunghezza: 17km 500m

D+: 835m

D- :  878m

Postilla

Di questo giro ho il video. Il primo tentativo di fare assemblaggio e pubblicazione ha dato pessimi risultati. Appena riesco rifo tutto…

Reloaded

Ecco il video

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