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Anello del Lusia variante Sottosassa – video

Ed eccolo, finalmente, in video del “girone” dell’estate 2018, l’anello Moena – Bellamonte – Lusia con partenza da Soraga, la cui descrizione è disponibile cliccando qui.

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Anello del Lusia (variante Sottosassa)

Atto secondo

Torniamo sul Lusia.

La salita lato Moena l’ho descritta QUI, ma le possibilità di arrivare quassù in mtb aumentano se si considera la salita lato val Travignolo. Ci sono tre possibili percorsi di accesso, in particolare voglio descrivere qui un percorso ad anello che ho “scovato” questa estate, e che collega Moena, Predazzo e il Lusia, percorrendo la vecchia strada che passa nel canyon del Travignolo.

Verso Zaluna

I luoghi

Moena

Il nome del comune deriva da un termine veneto e ladino che è traducibile con “mollica”: va quindi inteso come “prati molli”. Il nome “Moena” lo si ritrova anche nell’antica leggenda di Re Laurino e della figlia Ladina che, innamorata del principe Latemar, si trasferisce a Rancolin per stargli più vicino mentre è in guerra, e decide di farsi chiamare Moena.

Pur facendo parte della Val di Fassa, Moena è da secoli aggregata alla Magnifica comunità di Fiemme. E’ un paesino grazioso, con i suoi 2700 abitanti è uno dei più grandi della valle, che con l’incremento del turismo si è ampliato forse troppo, e in alcuni casi con scelte stilistiche un tanticchia discutibili. Io l’ho sempre “schifata” perché, essendo costruita sullo snodo fra la val di Fassa e la valle San Pellegrino ed attraversata dalla statale, in piena stagione era troppo caotica. Ora invece la circonvallazione devia tutto il traffico in attraversamento, e il centro è decisamente più vivibile. Presso il teatro Navalge si può visitare la mostra La Gran Vera, dedicata alla Prima Guerra Mondiale.

Da Moena parte la Marcialonga di Fiemme e Fassa (notissima gara di fondo)

Predazzo

Si trova alla confluenza delle valli di Fiemme e Fassa. Il nome deriva da “prato grande”, il paese si è sviluppato a partire dalle baite costruite da contadini e pastori di Tesero. Ora ha 4500 abitanti. Attraversandolo ho avuto la sensazione che qui sia stato conservato più che in val di Fassa l’aspetto originale del centro abitato. Gli edifici di vecchia costruzione, dalla struttura massiccia, hanno conservato i colori originali e, in alcuni casi, le pareti affrescate, senza troppi orpelli in legno (in altre località ci si è fatti un po’ prendere la mano). Qui ha sede un museo geologico.

Predazzo era anche stazione di arrivo della ferrovia che saliva da Ora, smantellata negli anni sessanta.

La Val Travignolo e Forra di Sottosassa

Il torrente Travignolo nasce sulle Pale di San Martino, percorre la Val Venegia (consigliatissima, sia per escursioni tranquille sia per mtb) e poi percorre l’omonima valle fino a Predazzo. Forma il lago di Paneveggio (artificiale). La Forra di Sottosassa si trova fra la diga di Forte Buso e Predazzo, qui si può andare in mtb, fare semplici camminate anche con bambini piccoli, e si può arrampicare.

ll parco di Paneveggio

Il territorio del Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino è situato nelle Alpi Orientali (Dolomiti Trentino Orientale) e si sviluppa intorno ai bacini idrografici dei torrenti Cismon, Vanoi e Travignolo, comprendendo la Val Venegia, la Foresta di Paneveggio, un’ampia porzione del Gruppo delle Pale di San Martino, l’estremità orientale della catena del Lagorai e una parte della catena Lusia – Cima Bocche, aree che costituiscono Siti di Importanza Comunitaria e Zone di Protezione Speciale all’interno della Rete Europea «Natura 2000».

Nella foresta di Paneveggio cresce l’abete rosso di risonanza, da secoli utilizzato per le tavole armoniche di strumenti musicali a causa delle sue capacità di trasmettere le onde sonore attraverso la fibra legnosa. In Italia cresce anche nella zona del Latemar e a Tarvisio, ma dalla val di Fiemme arrivava il legno utilizzato da Antonio Stradivari per la realizzazione dei suoi strumenti.

A Paneveggio c’è un centro Visitatori.

Planimetria percorso

Profilo altimetrico

Il percorso

Io sono partita da Soraga, quindi lo descrivo a partire da qui, anche se l’anello vero e proprio lo si percorre da Moena. Avendo perso la registrazione gps, l’ho ritracciato a mano. Non è precisissimo, ma più o meno ci siamo. Le caratteristiche sono

L = 44km

D+ = 1275m

Segnalo che sul posto è tracciato un itinerario di salita al Lusia, e io, per l’ultimo tratto, ho seguito le indicazioni. L’unico tracciato che ho trovato in rete con queste caratteristiche è il 932, che però viene descritto in discesa dal Lusia

Il torrente Costalunga a Moena

Partendo dall’ufficio turistico di Soraga mi immetto sulla ciclabile che porta in direzione Moena, mantenendosi sulla sinistra del lago. Appena fuori dal centro abitato si sale per un breve tratto, il tracciato prosegue poi in falsopiano, per poi buttarsi in picchiata verso Moena, con tratti al 12%-13% e qualche tornante. Si passa accanto al minigolf e ad un bar, si torna a salire fino alla caserma della Polizia (qui c’è un centro di addestramento), si prosegue dritto e, seguendo i cartelli, si imbocca una discesa in pavé che porta in centro a Moena, nella zona pedonale fra l’Avisio e il ponte sul rio Costalunga.

Questa è la piazza immortalata in numerosi video girati in occasione dell’alluvione di luglio (la sagoma dell’ex Albergo Corona è inconfondibile): mentre qui non ci sono segni visibili di ciò che è successo, basta spostarsi un po’ e vicino al ponte sul Costalunga sono presenti ancora alcune transenne, ci sono tratti di muretto danneggiati, ancora alcuni sacchi di sabbia forniti dalla Protezione Civile. Volgendo lo sguardo verso valle, si può anche capire il motivo di tanto disastro, in quanto il ponte adiacente è bassissimo e può fare da tappo in caso di piene violente.

Moena

Mi rimetto in sella, raggiungo la sponda destra dell’Avisio e percorro un viottolo sterrato fra il fiume e gli edifici adiacenti. E qui faccio una piccola stupidaggine, nel senso che non riesco a beccare l’inizio del percorso ciclabile verso Predazzo, e mi ritrovo a percorrere un tratto di statale. Probabilmente dovevo passare accanto al Navalge, sulla sponda opposta. Poco male… proseguo tranquilla, tanto è presto è ci sono in giro poche macchine. In corrispondenza di un punto di ristoro svolto a sinistra e imbocco un tratto in sede protetta in direzione sud, imbocco così un tratto di ciclabile asfaltata che si mantiene in destra Avisio, passando sotto la statale per San Pellegrino e proseguendo finché i cartelli non indicano di imboccare un ponte. Da qui in poi si alternano le due sponde dell’Avisio, il percorso si srotola come un nastro sinuoso lungo le sponde del torrente e in mezzo ai prati sui quali cominciano ad arrivare i primi raggi di sole, e viene percorso da runners, signore che si fanno la loro passeggiata mattutina, coppie di mezza età (ovvero poco più grandi della sottoscritta) che praticano il nordic walking, bikers. Certo che a muoversi ci si scalda, ma uscire di casa con l’aria così frizzantina non è facile, soprattutto perché il percorso è quasi interamente all’ombra… e io sono in discesa…

Moena – C’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra

Si passa ai piedi dei trampolini per il salto con gli sci (sui quali sono in corso dei lavori), a Predazzo manca poco. Con un percorso un po’ tortuoso si entra in paese. Predazzo è un paesotto piuttosto grande, e a quest’ora c’è già un bel movimento, anche di auto. Anzi, devo dire che ho avuto conferma del motivo per cui preferisco andare su sterrato piuttosto che percorrere le strade asfaltate: a me i diesel che mi passano accanto danno veramente fastidio, anche se qui basta poco per disperdere i fumi di scarico.

La gola del Travignolo

Dopo aver attraversato Predazzo seguendo le indicazioni per Passo Valles e Passo Rolle, si arriva sulla statale. La si attraversa e ci si porta su uno sterrato che costeggia il Travignolo: si passa accanto al entro sportivo proseguendo in destra idrografica, risalendo la corrente si arriva così in prossimità le campeggio. Dato che proseguendo dritti ci si infila in un viottolo dove non passa nessuno da una vita, con erba alta e qualche arbusto, è opportuno deviare a sinistra poco prima del campeggio, seguendo una ripida stradina asfaltata con indicazioni per Zaluna. Si imbocca poi un viottolo sterrato, sulla destra, con indicazione Sottosassa.  Qui si attraversano pascoli, si passa accanto a cascinali e a masi portandosi verso l’imboccatura della Forra del Travignolo. Questa zona è estremamente caratteristica: il torrente scorre in una gola scavata all’interno del porfido, modellando in parte, con la sua azione, le pareti. Ciò è ben visibile dal ponte in pietra (Ponte Lizata) che si trova proprio all’inizio della gola. Le pareti sono pressoché verticali, soprattutto su questo lato del torrente. La strada (che da qui ha segnavia 660) è ricavata nell’alveo del torrente, direttamente da questa strada si parte per affrontare le vie di arrampicata attrezzate su queste pareti. E le mie manine da ex climber si mettono per un attimo a frugare gli appigli di partenza dei monotiri, immaginando i movimenti per arrivare a moschettonare ai primi rinvii…

Chiudo qui l’attimo nostalgia e risalgo in sella.

La falesia di Sottosassa

Proseguendo lungo il torrente, il canyon si allarga un po’, ma la strada lungo il torrente finisce. ci si trova però davanti una mega rampa pavimentata dalla pendenza extra strong, chiusa da una sbarra (si entra in una proprietà privata), in fondo alla quale c’è un tornante. Ebbene si, si deve salire di lì. Mentre sburlavo, con le tacchette che tendevano a scivolare sulle piastrelline in porfido, mi ha superato mtb elettrica, condotta da una donna che soffiava come un mantice e smoccolava dei “Puttana Eva” come se non ci fosse un domani.

In fondo al salitone epocale le indicazioni per Scofa e per il ponte sospeso fanno imboccare un single track, che ad per superare uno strappo un po’ cattivo si biforca in due percorsi, per i pedoni e per le bici, . Ingnorando le indicazioni che indicano a sinistra per proseguire sul sentiero 660. Segue poi un tratto di sterrato ampio e agevole da percorrere, fino ad uscire dal bosco. Qui parte il sentierino che porta al ponte, mentre lo sterrato (342a) prosegue costeggiando alcune belle baite, con curve inizialmente ampie, che si fanno tornanti man mano che la strada si impenna per raggiungere la statale per il Rolle. Ammetto che questo pezzo mi ha un po’ stroncato, mi sono chiesta un paio di volte se poi sarei stata in grado di affrontare la salita (quella vera).

In cima alla salita c’è una sbarra, si percorre ancora un tratto di sterrato e si sbuca oltre Bellamonte, si raggiunge a statale e, dopo un paio di curve, si imbocca la strada che porta alla partenza degli impianti per il Lusia (indicazioni per Castelir).

Si sale su asfalto, dopo una curva a sinistra si incontra, sulla destra, una forestale con ottimo fondo, riconoscibilissima perché all’imbocco c’è un pannello esplicativo relativo agli itinerari storico naturalistici che si possono percorrere nell’area.

La Val di Fiemme dalla forestale fra Castelir e Paneveggio

Ci si dirige verso Est, alternando tratti tranquilli a strappi più o meno decisi, attraversando un ambiente vario: boschi, pascoli, baite (con o senza barbecue acceso). Volendo andare a Forte Dossaccio, si può prendere una deviazione sulla destra.

Si sale… e poi si scende. Dalla cartina lo avevo capito, ma non avevo valutato attentamente l’entità della discesa.

Ma sarò sul percorso giusto? Non è che sto scendendo troppo?

No, sono giusta, i cartelli indicano chiaramente per il Lusia. E quando, più indietro, avevo letto il dislivello che dovevo ancora superare mi, era venuto un colpo perché non mi tornavano i conti. Ora invece capisco da dove arrivano i 150m che mancano all’appello. Tra l’altro, mi tocca una variante: un ampio settore del bosco è recintato per taglio alberi, ad un certo punto si deve deviare dalla strada perché ci sono i macchinari che bloccano il passaggio. I forestali hanno individuato un breve percorso alternativo nel bosco: terreno sofficissimo e muschio, sembra di camminare su un piumone, e mi spiace quasi passarci sopra con la bici, ho paura di rovinare qualcosa…

Ripreso il tracciato originale, si scende ancora un po’, ma dopo un ponte, finalmente, compare il cartello che indica la deviazione per il passo. Inizia qui il tratto tosto, una strada che a vederla sulla mappa fa temere parecchio, con questi zig zag che risalgono il versante e sembrano tracciati con la squadra da uno studente di quinta geometri alle prese con il progetto stradale. Inizio a salire… e devo dire che mi aspettavo peggio. Intendiamoci, ho sempre temuto le strade “monopendenza”, e qui si viaggia, per tutta la tratta con tornanti, ad una pendenza quasi costante dell’11-12%, però riesco ad azzeccare subito rapporto e ritmo giusti, e ne esco in modo decisamente dignitoso. Già, perché fino alla sbarra che si trova all’incrocio con la forestale che arriva da Malga Bocche non metto giù il piede (e non è da me), complice la strada, che è completamente nel bosco e non mi concede nemmeno la scusa di fermarmi a fare foto. Supero alcuni gruppetti a piedi, e qualcuno ha pure l’ardire di chiedermi info sui tempi di percorrenza per “il lago”, io però glisso anche perché non ho la più pallida idea di dove si trovi questo lago (mi vengono in mente solo i laghi di Lusia e di Bocche, ma sono parecchio più in alto). Trovo parecchie mtb in discesa, ma a salire, almeno qui, non trovo nessuno.

Le Pale di San Martino

Alla sbarra, dove si incrocia una forestale contrassegnata dal n°623, posso quasi dire di essere arrivata, anche se manca ancora qualche chilometro: da qui infatti si svolta a sinistra e la salita è molto più dolce, oltretutto il paesaggio si apre consentendo di volgere lo sguardo verso Pale di San Martino e Lagorai, fra pascoli e baite graziose. Facendo lo slalom fra famigliole e passeggini, aggirando gruppi di amici che si concedono una pausa foto durante la salita con e-bike dalle parti di Malga Canvere, si arriva in vista del passo.

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Baite lungo la strada che sale da Paneveggio

Il rifugio si trova proprio sotto il colle delle Cune, i vasti pascoli consentono all’occhio di spaziare dalla catena di Cima Bocche al Lagorai e, come ho detto nell'”Atto primo“, al suo interno conserva una piccola collezione di reperti (geologici e bellici) trovati nelle zone limitrofe. Da qui è visibile la mulattiera che risale il versante in direzione Cima Lastè e Cima Bocche, mentre, poco distante dal rifugio, lungo la strada da me percorsa, si trova un monumento ai caduti del moenese. Spostandosi di qualche decina di metri si raggiunge il passo, e da qui si vede il gruppo del Catinaccio e della Roda di Vaèl. Aguzzando la vista si distinguono le Torri del Vajolet.

Il Catinaccio visto dal Lusia

Qui, anche se c’è parecchia gente, riesco a trovare un posto in un tavolo in condivisione, fuori sul terrazzo. Si, perché è decisamente ora di pranzo, e ho una voragine al posto dello stomaco, oltre che parecchia sete. E non ho voglia di dolce… quindi… mi butto su una zuppa di orzo (con speck sedano e carote, a me piace un sacco) e un bicchiere di “integratore salino a base di luppolo”, che ordino al gestore, un tizio pelato con due bicipiti più grandi delle mie cosce. E devo dire che si è trattato di una scelta azzeccata. La zuppa è saporita il giusto, e aiuta a reintegrare i liquidi. E la birra è frasca, va giù bene, ed piccola, quindi non rischio di raddrizzare le curve in discesa (quantomeno, non più di quanto possa fare la mia scarsa capacità di gestire il mezzo). Mentre aspetto il mio piatto, scambio quattro chiacchiere con il mio compagno di tavolo, che ha al suo attivo qualche Rampilonga (è il vecchio nome della Val di Fassa bike), con qualche dritta sui percorsi che si possono fare in zona, possibilmente asfalto free.

…ci sta!!!

Una volta rifocillata, il tempo di scattare qualche foto e via, in discesa lungo la forestale che scende a La Rezila e, da qui, verso Moena. In sostanza, percorro in discesa il tragitto descritto nel post precedente. E devo dire che è veramente ripido… allora non avevo smadonnato solo perché sono scarsa, il motivo concreto c’era! Arrivata sulla statale non posso riprendere la forestale che sbuca in Streda de Longiarif perché è chiusa causa frana, percorro così un tratto di statale. Qua e là è riconoscibile qualche segno lasciato dal nubifragio di luglio, e sul ciglio della strada è ancora presente una fila di sacchi di sabbia a protezione delle abitazioni retrostanti.

L’Avisio a Moena

Passo accanto al Navalge e, costeggiando l’Avisio, torno in piazza per poi risalire fino alla caserma della Polizia, da dove ci si porta sulla ciclabile. E qui la stanchezza si fa sentire: ok, ci sono tratti al 13%, ma le gambe proprio non vanno…

L’ultimo tratto è tutto in discesa fino al sottopasso della statale, da qui posso raggiungere il punto di partenza.

Possibili varianti e concatenamenti

Salita da Malga Bocche

E’ possibile salire al Lusia seguendo una strada diversa rispetto a quella qui descritta: c’è infatti una forestale che consente di salire da Paneveggio fino a Malga Bocche e che per un tratto è indicata con il segnavia 626. La si può imboccare dalla statale per il Rolle, o dalla forestale Castelir-Paneveggio: in questo caso, dopo il ponte in legno non si seguono le indicazioni per il Passo Lusia, ma si prosegue fino ad intercettare la forestale di cui sopra. Poco dopo Malga Bocche si incontra lo sterrato 623 e si svolta a sinistra, ricongiungendosi, poco dopo, col tracciato già descritto.

Concatenamento con Val Venegia

Prendendo spunto dalla guida Val di Fassa e Dolomiti in MTB segnalo che è possibile percorrere un itinerario a 8 che consente di concatenare la salita alla Baita Segantini con quella al Lusia. Parcheggiando al Centro Visitatori e dirigendosi verso Passo Valles, si percorre la Val Venegia fino a Baita Segantini, per poi scendere passando per Malga Juribello e la statale di Passo Rolle. La salita al Lusia può avvenire per uno dei due percorsi descritti, per poi scendere a Bellamonte su comodo sterrato, segnavia 660 e rientrare al punto di partenza. Anni fa, non conoscendo la zona abbiamo affrontato separatamente le due salite, invece devo dire che il concatenamento è fattibile anche per persone non esageratamente allenate.

Val Venegia

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In volo su Passo Rolle

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AKU adotta il Sentiero dei Laghi di Colbricón in Dolomiti

Nell’ambito dell’iniziativa ‘Adotta un sentiero del Parco’, concepita dal Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino (Dolomiti), l’azienda calzaturificio AKU ha ‘adottato’ il sentiero dei Laghi di Colbricón che parte dal Passo Rolle.

planetmountain.com, 18/05/2016

Il sentiero CAI 348 che da Passo Rolle giunge ai laghi di Colbricón è uno degli itinerari che permette di osservare e vivere alcuni degli scenari naturali più straordinari del Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino. A partire dalla primavera del 2016 questo sentiero verrà “adottato” da AKU trekking & outdoor footwear.

L’iniziativa “Adotta un sentiero del Parco”, concepita dal Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, parte dalla considerazione che i sentieri rappresentino l’anello di congiunzione tra l’uomo e la natura e alla pari dell’acqua e dell’aria dovrebbero essere considerati un bene comune. Nati con il diffondersi capillare degli insediamenti umani sull’arco alpino, i sentieri sono anche un bene storico oltre che un patrimonio culturale per la conoscenza del territorio. “Sono una risorsa a disposizione della collettività” è il pensiero del direttore del Parco Vittorio Ducoli,”e sarebbe bello che chi frequenta la montagna fosse coinvolto nel mantenere questo patrimonio, anche attraverso forme innovative e originali, come appunto “l’adozione””.

Per le aziende e gli enti interessati ad “adottare” un sentiero del Parco, significherà custodirlo, prendersene cura, condividendone l’uso responsabile, collaborando con l’Ente Parco alla sua gestione/manutenzione.

Per un’azienda come AKU che progetta e produce calzature di alta qualità per la montagna e da tempo è impegnata a sostenere iniziative rivolte ad una corretta fruizione dell’ambiente naturale, la proposta del Parco è stata subito accolta con interesse e disponibilità. L’attività produttiva di AKU da sempre trae ispirazione da chi vive e lavora in montagna e ha un rapporto diretto con la natura in generale. Infatti, numerosi utilizzatori di calzature AKU sono da sempre boscaioli, contadini, pastori a cui si aggiungono i tanti appassionati di escursionismo, trekking e alpinismo. Per AKU prendersi cura dell’ambiente e dei luoghi in cui vengono impiegate le proprie calzature è quindi una forma d’impegno responsabile che si traduce, in primo luogo, adottando modalità produttive che limitino l’impatto ambientale e fornendo al mercato la massima trasparenza sull’origine del prodotto.

Sui sentieri sentiamo la terra
I sentieri non sono il mondo di ieri, è un mondo che va attualizzato con un approccio nuovo. Sono opere che ci riportano alla dimensione del limite, alla ri-umanizzazione delle montagne, per un turismo lento che ama scoprire i veri patrimoni. I sentieri non nascono a caso, sono opere sapienti, spesso geniali, tracciati con la saggezza del montanaro.

Quando camminiamo, a differenza di altre forme di trasporto mediate fra i nostri piedi e la terra, entriamo in contatto con i luoghi, li attraversiamo, sfruttiamo al massimo la nostra capacità di osservazione e di conoscenza fornita dai nostri sensi (la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto e perfino il gusto se troviamo qualcosa di commestibile). Lo spostamento diventa esperienza. Attraverso il sentiero sentiamo la terra che abbiamo sotto i piedi. Nelle altre forme di viabilità c’è una separazione fra noi e la terra. Quando camminiamo su un sentiero c’è un rapporto di empatia totale con la terra, un rapporto diretto senza mediazioni.

GALLERY

SCHEDA: Sentiero dei Laghi di Colbricón, Dolomiti

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Come quando fuori piove. Il museo geologico.

Le giornate di pioggia in montagna, soprattutto quando si va in giro con gnomi al seguito, sono sempre un bel problema. Se poi il vostro gnomo ha una vitalità difficilmente gestibile in un appartamento o, peggio ancora, in una stanza di albergo… Ecco che urge un “piano B”.

Se siete in val di Fiemme o di Fassa un buon “piano B” è costituito dal Museo Geologico di Predazzo, Fondato nel 1899 per iniziativa della Società Magistrale di Fiemme e Fassa allo scopo di valorizzare il patrimonio geologico e naturalistico locale e di promuoverne la conoscenza, è ora una sezione del Muse di Trento. È stato recentemente sistemato: lo scorso anno siamo andati a fare una escursione guidata al Buffaure, e ci ha accompagnato Thomas, che ha curato l’allestimento del museo.

Qui potete trovare una ricostruzione della complessa storia geologica della zona (i sedimenti marini, le barriere coralline che hanno originato la dolomia, i vulcani), una storia che ha trasformato queste valli in una specie di paradiso un terra per geologi già nel XIX secolo. Sì, perché esistono rocce che portano nomi di questi luoghi perché qui sono state scoperte (ad esempio la monzonite, una roccia magmatica, o la predazzite, un tipo di calcare usato anche per decorare la chiesa attigua al museo), ma in tutta la zona si trovano molte tipologie di minerali e rocce. Del resto, soprattutto in val di Fiemme, ma anche nel vicino Vanoi, l’attività estrattiva ha sempre avuto un certo rilievo, a volte con risvolti drammatici: se vi ricordate  il disastro di Stava è stato originato dallo smottamento della parete di una vasca di contenimento fanghi per una miniera di fluorite.

Qui sono visibili anche diversi campioni di fossili rinvenuti nelle rocce sedimentarie della zona, oltre a monitor interattivi e video, dedicati a luoghi e persone: fra questi, la storia di Christomannos, l’imprenditore che ha “inventato” la Statale delle Dolomiti e fondato numerosi alberghi in zona, e di Maria Mathilda Ogilvie Gordon, scozzese, ai tempi non ammessa all’Università di Berlino in quanto donna ma che con i suoi studi ha dato un contributo notevole allo studio della geologia delle dolomiti.

Un’installazione un po’ curiosa è costituita dalla ricostruzione in legno di un camino vulcanico munito di panca (sembra un po’ una sauna, anche per il profumo dell’essenza utilizzata) all’interno del quale vengono proiettate alcune immagini di colate laviche.

Nella saletta video vengono proiettati filmati dedicati alle dolomiti e alle persone che hanno legato la loro vita a questi luoghi: alpinisti quali Tita Piaz, Emilio Comici, Cesare Maestri, Nives Meroi, Mauro Corona, ma anche i volontari del soccorso alpino della val di Fassa.

Una curiosità: quando nei secoli scorsi gli scienziati venivano qui a studiare la geologia delle dolomiti alloggiavano presso l’alberto Nave d’Oro di Predazzo. Il libro degli ospiti era diventato un sunto delle ricerche dell’epoca, perché ogni geologo vi scriveva impressioni e appunti, o vi riportava i propri schizzi. Ora l’albergo non esiste più, ma l’ultimo proprietario ha donato alla collettività questi quaderni, che ora sono esposti presso questo museo.

Per quanto riguarda aperture (possono variare in funzione del periodo) e prezzi: trovate tutto sul sito del Muse, ma sappiate che il prezzo del biglietto è decisamente contenuto, anzi, è previsto anche un biglietto famiglia. Sono inoltre previsti laboratori per bambini.

La visita al museo può essere completata con il vicino “Sentiero geologico del Dos Capèl”.

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Pellicole in guerra

Rassegna cinematografica sulla Grande Guerra

di Mauro Morandini – predazzoblog.it, 16/03/2016

A Predazzo, pellicole in guerraun viaggio nella rappresentazione cinematografica del primo conflitto mondiale, con materiali girati dal 1914 alla fine della guerra

Forte Dossaccio

Venerdì 18 marzo 2016 alle ore 21.00  si terrà presso Aula Magna del Comune di Predazzo la serata di presentazione di “Pellicole in Guerra”, un viaggio nella storia della cinematografia durante il primo conflitto mondiale con materiali unici girati nel periodo compreso tra il 1914 e il 1919.

Quale rapporto ha legato fin dal principio due realtà così distinte, come cinema e guerra?
Pellicole in guerra” fa parte della rassegna Forti d’Inverno, ed è un viaggio nella rappresentazione cinematografica del primo conflitto mondiale.

Se in alcuni casi il set era effettivamente il fronte, in altri la scena del conflitto venne invece ricreata artificiosamente dal regista e il confronto tra realtà e finzione diventa molto labile agli occhi dello spettatore. Verrà posta l’attenzione su tematiche accompagnanti ogni conflitto e sempre di attualità,  come il ruolo della propaganda o le rovine causate dalla guerra. L’incontro sarà preceduto da un breve prologo volto ad introdurre il contesto storico nel quale si girarono queste pellicole, oltre ad alcune nozioni sulla storia del cinema ai suoi albori.

Forte Dossaccio

Con l’occasione si porterà a conoscenza del pubblico anche il neo costituito gruppo di progettazione sul Circuito dei Forti del Trentino e per il quale fanno parte sette giovani collaboratori della Fondazione Museo Storico di Trento, il cui compito fondamentale è quello di coordinare e promuovere le iniziative e gli eventi a carattere culturale sul tema della Grande Guerra, affiancandosi nella collaborazione a comuni, aziende per il turismo ed associazioni di volontariato. Lo scopo è di valorizzare e dare maggiore visibilità alla rete dei forti della Provincia e al Sentiero della Pace.

L’area trentina rappresenta storicamente una delle zone a più alta concentrazione di sistemi difensivi realizzati dall’Impero Asburgico ed in particolare una quindicina di tali strutture sono state elette come le testimonianze più rappresentative lungo quello che allora era il confine tra Impero Austro-ungarico e Regno d’Italia. Diversi di questi monumenti, patrimonio storico ed architettonico di particolare pregio, sono stati di recente restaurati e riportati al loro antico splendore. Fra questi si annovera per il Comune di Predazzo anche Forte Dossaccio.

La rassegna è composta da una decina di estratti di film girati tra il ’14 e il ’18.  L’intento è capire come veniva raffigurato il conflitto attraverso lo strumento cinematografico e dunque: finzione o realtà, propaganda, punto di vista americano e punto di vista europeo ecc. La visione dei filmati è accompagnata da commenti riguardo le opere e il contesto bellico in cui si collocano.
Alcuni titoli sono:
“Charlot Soldato” (Chaplin)
“Hearts of the Wolrd” (Griffith)
“Civilization” (Ince)
“Maciste Alpino” (Pastrone)
“La guerra e il sogno di Momi” (Chomòn-Pastrone)
“La guerra d’Italia a 3000metri sull’Adamello” (Comerio)
…e altri

Un’occasione da non perdere, sia per gli appassionati di “cinema”, sia per coloro studiano ed hanno la passione per la documentazione storica relativa alla Grande Guerra.  Una prospettiva e un punto di vista nuovo sugli argomenti e le ragioni che hanno trascinato nel conflitto mondiale l’Europa intera con milioni di morti e uno sconvolgimento geopolitico senza precedenti.

Ingresso libero.

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Dolomiti Ski Jazz 2016

Musica calda tra paesaggi ghiacciati: questa l’originale idea che da ben diciannove edizioni è alla base del Dolomiti Ski Jazz, un festival che ha il sapore dell’avventura, musicale e sportiva. In Val di Fiemme, dal 12 al 19 marzo, la black music più popolare, il jazz, il funk faranno parte del paesaggio invernale delle Dolomiti, con numerosi concerti all’aperto in alta quota nei luoghi di riferimento per gli sport invernali.

Raggiungibili con gli impianti di risalita o sciando, offrono uno stimolante cocktail di natura e sport, di neve e musica. Al Dolomiti Ski Jazz i concerti si ascoltano con gli sci ai piedi, direttamente sulle piste, tra una discesa e l’altra, con un orecchio ai ritmi più coinvolgenti e l’occhio sui paesaggi alpini innevati. Sonorità sempre nuove e paesaggi ogni giorno diversi per i concerti che si svolgono verso l’ora di pranzo nei suggestivi rifugi in alta quota, tutti a ingresso gratuito.

La sera invece ci si rilassa a fondo valle, dove la musica continua a pieno ritmo tra teatri, locali notturni e hotel, con i nomi di spicco del programma: Donny McCaslin, Ty Le Blanc, Roberto Gatto, Boris Savoldelli tra gli altri.

info@dolomitiskijazz.com 

Il Programma QUI

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43° Marcialonga

43a Marcialonga di Fiemme e Fassa

Moena – Cavalese, 31/01/2016

Marcialonga di Fiemme e Fassa (TN) del 31 gennaio è alle porte. La celeberrima dello sci di fondo al via alle ore 8:00 da Moena.
Angelo Corradini, Gessica Defrancesco e Alessandro Zorzi raccontano Marcialonga. Baby, Story, Stars, Mini, Young e Light in tre giornate di competizioni per tutte le età

“È una data scritta su ogni calendario, un giorno che tutti ricordano, un momento che tutti programmano, è la Marcialonga”. Sono le parole del presidente della Marcialonga, Angelo Corradini, frasi coinvolgenti che ricordano a concorrenti ed appassionati che la sfida delle sfide dello sci di fondo è alle porte. Il 31 gennaio la fantastica storia di Marcialonga proseguirà.
La competizione regina dello sci di fondo sta per mostrarsi agli occhi del mondo, un confronto capace di creare una commistione perfetta fra campioni di ogni epoca e semplici appassionati della disciplina. Un affascinante carosello di atleti lungo 70 km, una ‘mandria’ di circa 8000 bisonti sbufferà sul tracciato da Moena a Cavalese, cavalcando fra boschi, scenari innevati e centri abitati delle Valli di Fassa e Fiemme, in Trentino.
La Marcialonga non è solamente la gara che tutti conoscono ed apprezzano, bensì una conformazione di più elementi, a cominciare dalla Marcialonga Baby, novità assoluta delle ore 16.00 di venerdì 29 gennaio. Dedicata alla gioia e al benessere dei più piccoli, sarà una soave camminata sulla neve per i bambini fino ai 6 anni con gli sci allacciati alle scarpine.
Sabato 30 gennaio alle 9.30 la Marcialonga Story regalerà un viaggio con la macchina del tempo, una palpitante rievocazione fra i ricordi che si disputerà da Lago di Tesero a Predazzo, rigorosamente con sci ed abbigliamento antecedenti il 1976. Alle ore 13.00 la Marcialonga Stars accoglierà i VIP in una sciata e “ciaspolata” a scopo benefico in favore della LILT. Giovani al via alle ore 14.00 e 14.30, con gli squarci di natura ed agonismo regalati da Minimarcialonga e Marcialonga Young, quest’ultima riservata alle stelle che conquisteranno il proscenio degli anni a venire.
Stand gastronomici, musica, intrattenimento e numerosi altri eventi di contorno animeranno i duelli innevati, in un clima festoso da sempre marchio di fabbrica Marcialonga, come sottolinea la Soreghina Gessica Defrancesco, ambasciatrice Marcialonga: “Marcialonga è sinonimo di festa. È magnifico vedere i fondisti di ogni nazionalità e colore che apprezzano il tuo tifo, ti ringraziano con uno sguardo, un sorriso o semplicemente alzando il bastoncino. Marcialonga unisce, non solo le due valli, rende partecipi tutti, dai tifosi ai volontari”. Questi ultimi sono all’opera per ultimare la realizzazione del percorso di gara, un impegno negli occhi e nel cuore di tutti coloro che si adoperano per far sì che la pista sia perfetta, è il caso di Alessandro Zorzi, uno degli addetti all’innevamento artificiale del tracciato Marcialonga: “Per me Marcialonga è un impegno costante accompagnato da tanta passione”.
Domenica 31 gennaio alle prime luci dell’alba i fondisti si alzeranno, preparandosi a gareggiare sul candore innevato di una delle più brillanti ski-marathon internazionali: la quarantatreesima edizione della Marcialonga di Fiemme e Fassa. Start alle ore 8.00 anche per la versione ridotta, Marcialonga Light di 45 km con arrivo a Predazzo.
Marcialonga e la gente, un binomio di successo arricchito dalla novità dell’ulteriore bagno di folla col passaggio in centro a Canazei, poiché Marcialonga è prima di tutto la passione e l’entusiasmo di chi vi assiste e ne fa parte.

PROGRAMMA QUI

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Ziano di Fiemme, 29 gennaio 2016, uno spettacolo dal vivo e festa in piazza

Nelle ultime edizioni erano più di settemilacinquecento gli atleti pronti a scivolare sulla neve bianchissima del tracciato della Marcialonga. Una lunga marcia nel paesaggio che sarà inaugurata per l’edizione 2016 con uno spettacolo tutto su misura, multimediale, chesciVolando proporrà al pubblico il 29 gennaio a Ziano di Fiemme. Un vero e proprio palcoscenico all’aperto, alle ore 18.00 in Piazza Italia, dove scorrerà – tra immagini, voci, musica e commenti dal vivo – il Novecento.

E ci saranno i fatti della storia e i suoi protagonisti, le immagini e la musica, le curiosità e l’abbigliamento che hanno segnato i passaggi epocali del secolo breve. Paolo Mei, speaker ufficiale del giro d’Italia e commentatore di tante gare sportive, porterà la sua fresca e abile parola a commento degli avvenimenti sportivi più salienti del 900. Sotto il palco una grande cornice dorata dove passeranno gli atleti, che per l’occasione presteranno una posa per un fermo immagine dal vero, a fissare per ogni decennio un modo diverso di scivolare sulla neve. Una serata che racconterà il lungometraggio di un secolo che ha visto cambiare il mondo. Un viaggio doveroso dentro il Novecento, la sua narrazione parallela alle vicende dello sport e delle nostre abitudini.

Insieme a Paolo Mei sarà sul palco di Ziano la grazia di Claudia Morandini, ex atleta, presentatrice, commentatrice sportiva, che legherà, con un sottile filo d’argento la parte storica a quella attuale, con un benvenuto speciale alla 43esima Marcialonga delle Valli di Fiemme e Fassa agli atleti più blasonati che si sfideranno il 31 gennaio 2016, ai 34 Paesi del Mondo che hanno deciso anche quest’anno di esserci, per celebrare i valori più nobili dello sport.

A conclusione della Cerimonia, una festa in Piazza, organizzata dal Comune di Ziano, con la musica degli ATRIO, l’animazione per i bambini e degli stand gastronomici dove mangiare e bere qualcosa di caldo in compagnia.

 

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Al rogo!

di Matteo Serafin (Meridiani Montagne) – lastampa.it, 30/12/2015

La rievocazione storica di un processo alle streghe, in Val di Fiemme

La “caccia alle streghe” è un fenomeno caratteristico della Controriforma, anche se i primi roghi risalgono al Medioevo. Una ferita dell’umanità che ha macchiato un po’ tutte le Alpi, e oggi è oggetto di rievocazioni e nuovi studi. Le prime persecuzioni ci portano sul meraviglioso altopiano di Fié allo Sciliar, nel cuore delle Dolomiti, ai tempi delle rivolte contadine contro i vescovi di Bressanone e di Trento. Le persecuzioni più feroci, oltre a quelle di Fié allo Sciliar e della Val di Fiemme,  sono avvenute in Valcamonica (80 roghi), a Como (60 roghi), a Mirandola nell’Appennino modenese (10 roghi), a Peveragno di Cuneo (9 roghi), a Bormio (34 roghi). Senza dimenticare Triora, il piccolo borgo medievale adagiato sulla cresta del Monte Trono in Valle Argentina nelle Alpi Liguri (IM), dove a partire dal 1587 ebbe luogo il più cruento ed efferato processo effettuato dall’Inquisizione, ricordato oggi da un recentissimo museo. Oggi la memoria è spesso confinata a leggende e folklore locale per destare facili emozioni nei turisti grandi e piccini.

La rievocazione dei processi della Val di Fiemme

Sabato 2 gennaio alle 21 nel centro di Cavalese, davanti al Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme, è andata in scena una rievocazione storica degli 11 processi che ebbero luogo dal 1501 al 1506 e che costarono  la vita a decine di donne. Il corteo con 100 comparse in costume inizia con l’uscita delle sventurate sulla “pubblica piazza”, si avvia per le strade del centro fino al Parco della Pieve, dove dopo la lettura dei capi d’accusa presso il Banco de la Reson (ricostruzione dell’antico parlamento) viene celebrato il processo e si attende la tremenda sentenza. Conclude la manifestazione un grande rogo, in cui i presenti vengono invitati a gettare tra le fiamme «le nostre angosce, le nostre incongruenze, i nostri egoismi, le streghe insomma del nostro tempo, ben più terribili, malefiche e perniciose di quelle delle antiche memorie». Anche in questo caso si tratta evidentemente di una ricostruzione non certo rigorosa, ad uso e consumo dei turisti, e come tale è stata contestata da storici e da alcuni residenti, seppure per ragioni diverse. Ma la rievocazione di Cavalese ha senz’altro il merito di tener viva la memoria.

Qui il video dell’edizione 2014 della rievocazione storica

Una mostra nel palazzo della Magnifica Comunità

Chi vuole invece approfondire la storia ha tempo fino al 28 marzo per visitare la mostra “Caccia alle Streghe – I processi in Val di Fiemme agli inizi del Cinquecento”. Tutto ebbe inizio attorno al 1500, quando il Governatore del Tirolo Leonhard von Völs iniziò una durissima repressione contro le rivolte contadine prendendo a pretesto la superstizione. L’anno seguente anche il capitano Vigilio Firmian, che tiranneggiava la Val di Fiemme per conto del Principe Vescovo di Trento, iniziò una dura repressione contro la comunità fiemmasca, i cui rappresentanti riuniti in assemblea avevano fatto ricorso all’imperatore contro i dazi esosi imposti dai vescovi. In questo caso, il pretesto fu l’inondazione del torrente Avisio, e il primo indiziato fu tal Giovanni delle Piatte, al quale fu contestato il possesso di “un libro, un cristallo, erbe e radici”. L’indiziato alla fine venne fatto confessare, rivelando i nomi di decine di donne. Il palazzo vescovile di Cavalese (TN), oggi sede della Magnifica Comunità che ospita mostre e una bella pinacoteca, divenne quindi il quartier generale della caccia alle streghe. Particolare interessante, tutte le vittime, comprese quelle che riuscirono a fuggire, secondo le più attuali ricerche storiche erano parenti dei membri dell’assemblea che avevano fatto ricorso all’imperatore contro le imposte del Principe Vescovo. A tutte vennero confiscati i beni, per un totale di 1135 fiorini che vennero intascati dalla famiglia Firmian, i veri cattivi di questa storia.

Locandina della mostra

Si legge sul sito del Comune di Cavalese

L’idea di realizzare una mostra dedicata ai processi per stregoneria in val di Fiemme nasce dallo studio storiografico condotto da Italo Giordani, edito nel 2005 con il titolo I Processi per stregoneria in val di Fiemme 1501, 1504-1506. Gli avvenimenti trattati s’inseriscono in un panorama storico e geografico estremamente ampio e variegato. La magia nacque con l’uomo e già nelle comunità primitive si distinguevano delle personalità capaci di controllarla. Questa abilità garantiva a tali soggetti prestigio e un ruolo sociale dominante, ma nei millenni il potere di controllare la Natura cominciò a non essere più concepito come qualità benefica. La magia, ritenuta uno strumento diabolico, iniziò ad essere considerata stregoneria e per questo venne temuta e combattuta come male nocivo per l’intera umanità.

Dal tardo Medioevo le pratiche curative che differivano dalla nascente scienza medica, allo stesso modo, vennero ritenute blasfeme e pertanto condannate. A fare le spese di questo radicale cambiamento ideologico furono i guaritori ciarlatani e in particolare le donne, tradizionalmente dedite alla cura della famiglia e della comunità come erboriste, ostetriche e levatrici. Proprio i nuovi dettami, alimentati dall’ignoranza e dalla superstizione, furono responsabili dello sviluppo dell’immaginario a noi familiare; quello della strega che, antagonista delle favole della nostra infanzia, è una vecchia ripugnante, piena di pustole che svolazza nel cielo in sella alla sua scopa…

L’esposizione, ospitata proprio dall’edificio che fu teatro dei processi, presenta al pubblico i fatti storici documentati dalle fonti. Ne deriva l’immagine di un passato censore ed inquisitore, di una Chiesa e di uno Stato corrotti, disposti ad eliminare con la forza qualsiasi voce dissenziente; utilizzando le armi della paura e del fuoco per riportare l’uomo alla “ragione”. I testi che accompagnano la mostra non danno risposte, se non problematiche, alla bestialità umana con l’auspicio d’invitare il visitatore alla riflessione, affinché le nuove pagine della storia non contengano mai più gli stessi orrori

Categorie: cultura, Info Turistiche, iniziative | Tag: , , , | 3 commenti

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