Articoli con tag: Francia

Ladri di biciclette

Ladri di biciclette: restituite la bici al giramondo Etienne Godard

di Gianluca Nicoletti – lastampa.it, 09/10/2017

Ladri di biciclette mettetevi una mano sulla coscienza. Quanto potrete mai farci con quella bici impolverata che avete rubato al signor Etienne Godard, il giramondo che aveva già pedalato in quasi un anno per 15.000 partendo da Hong Kong per tornare a casa sua in Francia…Gli mancava poco, ma appena è arrivato dalle nostre parti…L’ha persa di vista un minuto e si è volatilizzata. Riporto per intero il suo appello su Facebook…Vi conviene tutto sommato fargliela riavere, meglio la sua lauta ricompensa che i quattro soldi di un ricettatore…

Amici di Facebook. Ieri pomeriggio 30 settembre 2017, sono stato derubato della mia bicicletta da viaggio sulla spiaggia di Castel Volturno (Lido Costazzurra). Stavo viaggiando da 11 mesi per 15.000 km da Hong Kong al nord della Francia, dove vivo. Per me è stato un brutto colpo perché questa bicicletta e tutto l’ equipaggiamento nelle 4 borse verdi avevano un grande valore sentimentale oltre che finanziario.Vi chiedo aiuto per trovarla con i suoi bagagli (fotocamera, Iphone, attrezzi da campeggio, vestiti, occhiali da vista e da sole …) Offro una lauta ricompensa a chi mi aiuterà a trovare la mia bici e il mio materiale. Pubblico alcune foto della bici carica per potervi aiutare nella ricerca. Vi prego di inviare questo messaggio a chiunque sia interessato o sulla vostra bacheca di FB se lo desiderate. Grazie di cuore !puoi raggiungere il mio amico italiano al 348 415 7276

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Izoard, l’estetica del “grimpeur” fatica, sacrificio, solitudine

Scalare il colle leggendario del ciclismo dove oggi arriva il Tour. Non solo sport ma metafora della vita: le salite sono per gli umili, le discese per i campioni

di Domenico Quirico – lastampa.it, 20/07/2017

Dietro il tornante, in un passaggio aspro della salita dell’Izoard, nella solitudine abbagliante, nel silenzio raschiato appena dallo sfrigolio della catena, mi è apparsa davanti, all’improvviso una panchina, verniciata di verde, il sedile e la spalliera di legno. Forse l’unica in quei venti chilometri di salita. Una vera panchina: solitaria, pigra, malinconica. Di quelle che aspettano, pazienti e deluse, all’ombra di un platano o di una quercia, nella piazzetta di ogni cittadina e di ogni villaggio di Francia. Basterebbe, forse, quella panchina lassù, a duemila metri, sul colle leggendario del ciclismo, per dare testimonianza di una stanca civiltà provinciale, il segno preciso di un ordine antico e nobile che è la Francia. Invece era soltanto un invito al riposo, una segreta tentazione alla fatica del pedalare.

Eppure ero salito agilmente: fino a quel momento… La panchina mi ha fatto cadere addosso la stanchezza all’improvviso, come un cappuccio di lana. No, non sono stanco. Fermarsi vuol dire non ripartire, l’umiliante resa dell’imboccare la discesa del ritorno. Accorcio il rapporto di una unità e con uno sforzo doloroso mi strappo dalla tentazione. La strada monotona si allunga verso il vertice del colle a 2400 metri come un Calvario. Ho deciso di salire l’Izoard «en velò», alla vigilia del Tour, perché scalare le montagne in bicicletta non è solo sport: è un magnifico transito di dannazione dove lo spazio, guadagnato metro dopo metro, superficie dell’essere, ascolta battere il suo cuore, battere il tempo e non ne impallidisce. E la vetta è il punto dove lo spazio afferra il tempo e non lo lascia più fuggire.

La partenza

Per questo son partito presto da Guillestre dove ufficialmente inizia questo lato della salita, per non incontrare il peloton degli altri amatori come me; per ascoltare il silenzio della montagna. E infatti la strada, almeno per un po’, è ancora vuota e deserta.

Addio Guillestre con i tuoi chilometri ingannatori, quasi piani, ora entro nella valle del Guil, una gola stretta tra pareti fosche di roccia in cui in fondo scorre il torrente. E’ un silenzio caldo, un riposo denso di luce, un abbandono pieno di coscienza. La bicicletta, di fronte alle grandi scene della natura, ti offre straordinari impressioni di suono, ti pare di udire le voci del silenzio. Il ciclismo agonizza nelle città, gli appartengono la campagna i monti la provincia gli spazi. Il ciclismo non ha nome nei luoghi consacrati al football e al basket…

Tra loro ho sempre amato il «grimpeur», lo scalatore puro. Uomini piccoli, scuri, agili, febbrili, che sognano la salita come una liberazione, la aspettano, le vanno incontro come per un richiamo definitivo e irrefutabile. La montagna è la loro rivincita di uomini senza carne, di acrobati dell’ascesa. E’ l’unica occasione che hanno per rivoluzionare le gerarchie, i ruoli, le dipendenze della corsa. Se la perdono tornano nani. I belli del ciclismo Anquetil, Kubler, Cipollini soffrono le salite.

Mi è indifferente lo sprinter, brutale e temporaneo. Non mi esalta il passista tuttofare e lo specialista della corsa di un giorno. Hanno colli da torello, taglie da macchina pestasassi. Gli scalatori, Jiménez, Pantani, i colombiani, Trueba, Gaul, Bahamontes, quelli invece sono una specie letteraria.

Lo scalatore puro sa di Zola e di Verga, è dolorosamente verista, sputa sangue per staccare tutti in salita e poi in discesa il passista, pesante, strafottente, in due pedalate lo raggiunge e getta in polvere la sua fatica. Ridiscendere a valle per trovare il traguardo lo annulla, solo restare in altitudine, nell’aria rarefatta gli da forza e vita. Il ciclismo è in questa brutale metafora della vita, della politica, della storia: lo scalatore più del gregario è il vero proletario di questo sport popolare, dannato alla fatica di Sisifo di azzannare le montagne e poi perdere un Giro o un Tour in venti chilometri a cronometro o di discesa.

L’arena

L’Izoard non è la salita più dura del ciclismo, me ne accorgo salendola; ci sono qui intorno pendii più impietosi, erte tremende. Il Galibier per esempio o a un passo, sul versante italiano, il colle dell’Agnello, salita brutale, che ti contorce le mascelle nello spasimo dello sforzo, le labbra arricciate, gli occhi inferociti dalla fatica. Ma l’Izoard è interminabile, ti chiede nascosta capacità di ostinazione, volontà fredda e silenziosa. Perché ti lusinga ti inganna ti attira a sé, facendoti credere che sia facile domarlo, che i suoi pendii in fondo siano lievi. Mentre è lui, sempre lui che fissa il margine tra il difficile e il terribile. Per questo sull’Izoard si sono vinti e persi i Tour. Qui se l’avversario è in crisi diventi spietato, c’è un’aria di arena, di mattanza. Ho visto una foto del ’36: il belga Maes in fuga passa sulla vetta, ha occhi di lupo, la gioia crudele di chi sa che l’avversario sanguina. Il vinto è «le roi René», il francese Vietti. Al traguardo si inventerà un patetico raffreddore per giustificare il distacco. Aveva sbagliato rapporto, pensando di piegare la montagna con le sue leve…

Adesso ho lasciato l’ultimo villaggio, case vuote, silenziose come se fossero disabitate. Eppure ci sono auto e segni di vita. E’ come se gli uomini della montagna si nascondessero in attesa dell’arrivo del Tour di oggi quando la montagna intera sarà folla rumore auto e grida.

I pini fanno ancora un’ombra riposata e densa nel bosco umido e sonoro, pare una immensa grotta. La selva di abeti, attorno alla strada che sale ora con pendenze più forti, è tiepida cordiale e profonda come una donna. Non mi piace alzarmi sui pedali, vorrei sentire sempre il corpo e la bici, in coppia, sgominar l’aria, sbriciolarla con il movimento delle gambe come se fossero cosa sola.

La cavalcata di Bobet

Da qui iniziò, mi pare, nel 1953 la cavalcata di Louison Bobet, l’unico uomo tre volte primo sull’Izoard. Aveva già attaccato sul Vars, che anche oggi ne sarà il prologo faticoso, e aveva cominciato a tirar il collo agli avversari. Ma era sull’Izoard che aveva deciso di piantarli. Quanto bastava per arrivare in vetta con il distacco che l’avrebbe confermato per quello che era: il campione, il dio dei francesi, senza rivali senza nessuno né niente che gli potesse stare dietro. La sola cosa che interessa ai campioni: la folla gli urli le mani le braccia le strade le curve le salite, arrivare dove nessuno arriva e col tempo con cui nessuno riesce a farcela.

L’ho visto Bobet, nei cinegiornali del tempo, salire agile, composto, alzava la testa quel tanto per vedere il varco nel muro di folla, di gendarmi che faceva siepe sulla strada. Non vedeva volti, solo la fila di scarpe e poi di calzoni e sottane. Ha piantato i primi allunghi qui dove la strada dopo la «Maison du roy» svolta a sinistra e la pendenza sale all’otto e all’undici per cento. Allunghi, di curva in curva di rampa in rampa, come chiodi nella carne dei poveri cristi che inseguono, indietro, lenti e gocciolanti sudore come i secchi di una draga.

Ora ci siamo: un attimo di respiro, 500 metri, sulle rampe e sulle svoltate a forcina. E poi è la Casse Déserte. Il paesaggio si fa torvo, la pietraia di grigio calcare pare di ossami, qualche nube si appesantisce sulle cime. Non so perché la retorica degli aedi sportivi la chiama paesaggio lunare: la luna è una terra morta, qui la montagna è ben viva, una vita minerale ma possente, quasi urla una sua esistenza fatta di ghiaie gialle, guglie come altari a misteriose intangibili divinità della montagna. La strada è obliqua, tracciata da uno spillo. La rupe liscia dai due lati sale e scende implacabile, senza appigli.

Il capolavoro di Bartali

Qui fu la corsa capolavoro di Bartali nel ‘38. I suoi rivali erano belgi, Vervaecke e Vuissers, detto il calvo. Sì è vero: le cronache francesi dicono che nell’affanno dell’inseguire i due cadono, bucano. Ma quel che conta sono le pedalate tremende del toscano, li attacca implacabile sul Vars, li finisce sulla Casse Déserte. La banda degli chasseur des Alpes è salita sul colle con gli ottoni, suona a pieni polmoni per l’uomo in azzurro che passa come una tromba di uragano e si getta nella discesa verso Briançon. Ah, les italiens!. Cinque italiani nei primi sei posti! Le squadre sono nazionali, si va al Tour come alla guerra Ancora due anni e su queste montagne scaveranno trincee, si combatteranno battaglie vere… Ecco sono in cima. mantenere il controllo del respiro, trovare il giusto rapporto. Sul colle non c’è nulla, una stele che ricorda i genieri militari che costruirono la strada, qualche transenna per il provvisorio traguardo di oggi che poi sparirà, una baracca in legno che vende l’umile mercanzia dei souvenir ciclistici.

Nelle gazzette sportive la montagna è «domata», «vinta». Retorica. E’ l’Izoard che, se vuole, se tu hai umiltà ti accetta, ti lascia venire a sé.

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Record dell’ora a 105 anni

Ciclismo, nuovo record a 105 anni: Robert Marchand percorre 22 chilometri in un’ora

repubblica.it, 04/01/20147

Più di 22 chilometri percorsi in un’ora. Potrebbe sembrare uno sforzo da nulla per un atleta professionista ma a stabilirlo è stato un uomo francese di 105 anni. Robert Marchand è nato ad Amiens nel 1911 e nel suo palmares poteva già vantare il record all’ora per la categoria 100-104 anni. Oggi però, al Velodrome di Saint-Quentin-en-Yvelines, in Francia, l’ultracentenario transalpino ha aggiornato gli almanacchi e ha stabilito il nuovo primato di percorrenza all’ora per la categoria over 105, appositamente creata per lui, con 22.547 chilometri percorsi in sella alla sua bicicletta.

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La rivolta dei fattorini a pedali

Da Parigi parte la rivolta dei fattorini a pedali della gig economy

lifegate.it, 04/10/2016
I fattorini in bici sono il simbolo di una nuova logistica urbana sostenibile. Eppure, le loro condizioni di lavoro ricordano molto il passato.

Fare la spola in bicicletta fra ristoranti e abitazioni di clienti affamati con in spalla la loro cena. Da qualche ora nel weekend a diverse ore tutti i giorni, per compensi che possono superare i 1000 euro al mese. È questo il quotidiano delle migliaia di fattorini che lavorano in Europa per piattaforme internazionali come Deliveroo o Foodora. Un lavoro sempre più ambito da studenti e giovani adulti, ma anche il simbolo di una nuova logistica urbana.

Come funziona la gig economy

Dietro questa patina moderna e sostenibile si nasconderebbero però fattorinicondizioni di lavoro che non lo sono. Come le più note Uber e AirBnB in altri campi, le Food Tech – la famiglia cui appartengono le piattaforme di consegne nel gergo degli investitori – fanno proprie le regole della cosiddetta “gig economy”, l’economia dei concertini. Rapporti di lavoro occasionali, fugaci, ripetuti nel tempo e pagati a prestazione che ricordano quelli dei musicisti che si esibiscono nei piccoli club. Nei fatti però, i ragazzi delle consegne in bici sottostanno a regole che tanto ricordano quelle di un dipendente a tutti gli effetti: pressione da parte della gerarchia, obbligo di portare l’uniforme, turni da rispettare, niente ferie o malattia, ancor meno sussidi di disoccupazione, assicurazioni infortuni o contributi per la pensione. Impossibile per giunta negoziare le tariffe, come ogni libero professionista dovrebbe poter fare. In sintesi, zero costi per la piattaforma, zero garanzie per chi fa le consegne.

Fattorini in bici

Fattorini in bici che consegnano un pasto. Foto © ERIC FEFERBERG/AFP/Getty Images

La rivolta dei fattorini in bici parigini

I primi in Europa a provare sulla loro pelle le conseguenze di questo modello sono stati i “rider” parigini. Quando a fine luglio di quest’anno TakeEatEasy, importante piattaforma nata in Belgio nel 2013, ha chiuso i battenti, i 2.500 ragazzi delle consegne che lavoravano per lei in Francia si sono ritrovati appiedati dall’oggi al domani, senza la paga di luglio e senza nessuna garanzia. Alcuni di loro facevano parte del Collectif des coursiers franciliens nato a maggio di quest’anno e che oggi conta circa 1000 membri riuniti attorno a un gruppo Facebook. La sua prima battaglia sarà quella di far riconoscere, in sede legale, che fra piattaforme e ragazzi delle consegne esisteva un rapporto di subordinazione e che quindi questi ultimi devono poter beneficiare di tutte le garanzie che spettano a un dipendente.

Proteste lavoratori

In Europa avanzano le proteste per le condizioni di lavoro dei ragazzi delle consegne. Foto © Russell Davies / Flickr

Una cooperativa dei fattorini su due ruote

E domani? Piuttosto che attendere il fallimento della prossima piattaforma – a settembre è toccato a una francese, Tok Tok Tok, chiudere per farsi riassorbire da una piattaforma spagnola – c’è chi vorrebbe organizzarsi per unire le forze e reclamare migliori condizioni di lavoro. Ad esempio ispirandosi ai colleghi belgi che, assunti tramite una società di interim, hanno potuto se non altro farsi pagare fino all’ultima consegna nonostante il fallimento di Take Eat Easy. Un alleato di peso in questa mobilitazione si è già manifestato: a fine settembre, il consiglio comunale della capitale francese ha deciso di studiare la fattibilità di una cooperativa di fattorini su due ruote, sull’esempio di quelle che federano già alcuni tassisti della capitale. Simbolo della rivoluzione ecologica nella mobilità, la bicicletta si sta trasformando in strumento di emancipazione nel mondo del lavoro 2.0.

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Sette giorni senz’auto

Sette giorni senz’auto, Parigi lancia la sfida

Biciclette, auto elettriche e mezzi di trasporto pubblici saranno a disposizione gratuitamente, per sperimentare la “mobilità dolce” e “i trasporti alternativi più rispettosi della qualità dell’aria”.

di Cristina Barbetta – vita.it, 23/08/2016

Sette giorni senz’auto, dal 19 al 25 settembre. E` la sfida che il Comune di Parigi lancia agli abitanti dell’Île-de-France (la regione in cui si trova la capitale francese). Che potranno usufruire gratuitamente di altri mezzi di trasporto: biciclette, mezzi pubblici e le auto elettriche Autolib, per sperimentare la “mobilità dolce” e i “trasporti alternativi più rispettosi della qualità dell’aria”.

Il comune di Parigi lancia questa sfida “ludica ed eco-cittadina” insieme ad Ademe ( Agenzia per l’ambiente e il controllo dell’energia) e all’associazione Wimoov, che accompagna soggetti fragili (persone con handicap, anziani, persone in inserimento professionale…) verso una mobilità autonoma e duratura.

Gli obiettivi dell’iniziativa sono, spiega il comune di Parigi in un comunicato stampa, “sensibilizzare i parigini sul fatto che l’auto e le motociclette possono essere sostituite da mezzi di trasporto o servizi di mobilità alternativa per la maggior parte dei tragitti che si effettuano quotidianamente” e ancora “promuovere un cambiamento progressivo di comportamento in materia di mobilità e ridurre così l’uso dei mezzi di trasporto individuali”.

Venti volontari (automobilisti o motociclisti che abitano o lavorano a Parigi), che utilizzano veicoli inquinanti, saranno selezionati a sorte, e ricompensati “nel corso di una cerimonia di assegnazione di premi organizzata dal comune di Parigi”.

Questo “sacrificio” ecologico di una settimana precederà la “giornata senz’auto” (“La journée sans voiture“). Quest’anno alla sua seconda edizione, la giornata si tiene il 25 settembre a Parigi, per sensibilizzare sul problema dell’inquinamento legato al traffico.

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Parigi-Londra: 400km in sella lungo l’Avenue Verte

cicloturismo.it, 29/02/2016

L’Avenue Verte è un’avventura di 400 km che da Parigi ci trasporta fino a Londra. Si tratta di una moderna pista ciclabile inaugurata in occasione dei giochi olimpici del 2012 che sfrutta in gran parte ciclabili locali, strade secondarie e sentieri pedalabili. Il percorso si snoda lungo la valle della Senna fino al mare, attraversa La Manica e prosegue tra verdi boschi e prati inglesi fino a raggiungere le porte della città.

Quello dell’Avenue Verte è un itinerario adatto a tutti in quanto scorre per lo più in piano ed è costellato di paesi e cittadine dove è possibile riposare e rifocillarsi. Il tratto francese, in particolare, è totalmente privo di salite: si snoda lungo gli argini della Senna Marne del fiume Epte. Il percorso oltremanica è invece leggermente più impegnativo ma la fatica è ripagata da fantastici panorami su giardini, prati e boschi ombrosi. Programmando tappe da 50 – 60 km, e quindi pedalando per 4 – 5 ore ogni giorno,  saranno sufficienti 8 giorni in sella per concludere l’itinerario.

Il percorso

Da Parigi, imboccando il canale St. Denis, si raggiunge direttamente la Senna. Il paesaggio costellato di ville e splendidi giardini si fa via via più selvaggio ma non meno affascinante. Dopo Nantarre la pista prosegue sulla sponda destra del fiume e si inoltra nella foresta di Saint-Germain-en-Laye. Arrivati in Normandia il panorama cambia ancora e si pedala tra castelli e fattorie, vasti parchi e ville settecentesche. Si passa da Théméricourt e da Bray-et-Lû, dove si comincia a seguire l’Epte arrivando a Gisors e quindi a Forges-les-Eaux, pochi km  dal mare. Si prosegue fino all’estuario dell’Arques, dominato dall’omonimo castello, per terminare il tratto francese a Dieppe, cittadina marittima immortalata in molti quadri impressionisti.

Da Dieppe sarà necessario imbarcarsi su un traghetto per Newhaven, sulla costa inglese, ma è consigliabile proseguire ancora almeno fino alla cittadina di Eastbourne. Da qui inizia il tratto più faticoso a causa del continuo saliscendi imposto dal territorio collinare: si toccano Polgate, Heathfield e Tunbridge Wells. Quest’ultima è una località termale e perciò ideale per fermarsi a riposare. La ciclabile riparte poi a Goombrige col nome di “The Forest Way” lungo la quali si incontrano alcuni pittoreschi villaggi come Forest Row e East Grinstead. Quindi si imbocca la“Worth Way” che attraversa una meravigliosa foresta e si giunge a Crawley, circa 90 km da Londra.

Proseguire in bicicletta non è consigliabile a causa del traffico da e per la capitale, meglio prendere il treno e in appena 45 minuti vi ritroverete nella city.

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Il piano bici di Parigi

Torniamo a pensare a Parigi in positivo…

Il nuovo piano bici di Parigi: cosa prevede il prossimo quinquennio

tuttogreen.it, 21/04/2015

La capitale francese vuole diventare la capitale mondiale della bicicletta ed essere percepita come una città amica dei ciclisti: scopriamo il nuovo piano bici di Parigi per il quinquennio 2015-2020.

Abbiamo già parlato in altre occasioni del nuovo corso parigino in relazione alle due ruote e il nuovo piano bici conferma il trend in atto: il piano 2015-2020 prevede un investimento pari a oltre 150 milioni di euro, con il quale sarà possibile raddoppiare la lunghezza delle vie ciclabili entro il 2020, passando dagli attuali 700 km fino ai 1400 km previsti, ed agevolare così gli spostamenti casa-lavoro su due ruote.

Con questo ambizioso progetto si punta a realizzare un’area ciclabile che si estende lungo due assi principali della città (nord-sud ed est-ovest) collegando anche le aree boschi periferiche della capitale francese.

Il piano bici francese ha pensato anche alla sicurezza e alla tutela dei ciclisti predisponendo il doppio senso nelle vie a senso unico e delle regole atte a garantire la convivenza tra i diversi utenti dello spazio pubblico. Sono state previste anche nuove norme per la circolazione come il diritto di precedenza dei ciclisti ai semafori che sarà esteso a tutti gli incroci della città.

Anche la disponibilità di stazioni e parcheggi per i veicoli a due ruote sarà ampliata secondo il piano parigino che ha in programma la realizzazione di nuove aree più piccole ma in numero maggiore.

Uno degli obiettivi più ambiziosi e alti di questo progetto consiste sicuramente nel mirare a costruire una cultura della bici sostenendo la realizzazione di luoghi ad essa dedicati, come officine per la riparazione, centri per l’apprendimento, etc. In parallelo si cerca di rendere questo passatempo pienamente esprimibile grazie alle piste ciclabili all’interno della capitale parigine e nei suoi boschi realizzate come percorsi cicloturistici. A questo proposito anche gli incentivi rivolti agli acquirenti di bici elettriche nuove o bici cargo rientra in questo tipo di politica. Si prospetta anche il rinnovo del bike sharing di Vélib con la messa a disposizione anche di ebike.

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Il Parco a pezzi

Il Parco della Vanoise, insieme al contiguo Parco del Gran Paradiso, costituisce l’area protetta più vasta d’Europa. Come scritto più sotto, e come riportato nella “Carta” del parco, il territorio ha comunque avuto uno sviluppo turistico, con particolare riguardo nei confronti del turismo invernale, mentre la fruizione dell’area nel periodo estivo ha margini di crescita notevoli.

Mi chiedo: ha senso rinunciare alla conservazione del territorio, alla tutela di ecosistemi e di ambienti in cui in passato l’uomo ha trovato un suo equilibrio con la natura, alla possibilità di incentivare la fruizione (responsabile) del territorio anche nel periodo estivo, in cambio della possibilità di ampliare comprensori sciistici che già ora sono molto importanti per le dimensioni e per la notorietà data dalle gare di coppa del mondo? Ha veramente tutti questi margini di crescita il turismo invernale, c’entra la burocrazia o è una questione culturale?

I borghi della Savoia rinnegano la Vanoise: il parco si ridurrà di due terzi

L’area protetta più antica della Francia si ridurrà dagli attuali 2mila chilometri quadrati a poco più di 500: 26 comuni dei 29 che racchiudono il suo territorio hanno rifiutato di siglare la “carta di adesione” all’Ente, che penalizza ulteriori sviluppi sul fronte del turismo sciistico

repubblica.it, 27/09/2015

Val d’Isère dal Col de l’Iseran

Francia. Nubi dense sul Parco nazionale della Vanoise e sul suo futuro. La più antica area protetta Oltralpe, situata nella Savoia, al confine con il Piemonte e la Valle d’Aosta (e con lo stesso Parco del Gran Paradiso) vedrà il suo territorio ridursi a un terzo dell’estensione attuale che è di circa 2 mila chilometri quadrati. Tutta colpa di una legge, promulgata nel 2006 ma diventata operativa in questi mesi, che vincola i comuni nel cui territorio è ospitata l’area protetta ad “aderire” alla stessa, pena la cessazione stessa dello status. Ebbene, delle 29 municipalità dell’area interessata, appena due hanno ratificato la carta, contro 26 rifiuti (e un comune che non si è ancora espresso, lo farà domani). Un caso unico in tutto il Paese, nel quale esistono altri 10 Parchi Nazionali, in queste settimane alle prese con lo stesso problema: in quei casi l’adesione media delle comunità locali è stata dell’ordine del 75 per cento, con il caso limite del “sì” unanime nella Guadalupa.

Il rifiuto non è del tutto una sorpresa nel territorio dei grandi comprensori sciistici (Val Thorens, Courchevel, Tignes, La Plagne solo per citarne alcuni), che vedono nel Parco il freno inibitore a possibili ulteriori sviluppi. Stupiscono però le proporzioni, perché se il diniego era scontato per i comuni più grandi, non si può dire lo stesso di quelli minori, dove i risultati hanno sovvertito ogni pronostico, tra polemiche e colpi di teatro. A Termignon, il sindaco Rémi Zanatta, favorevole alla carta, è stata messa in minoranza dal suo consiglio municipale, nonostante l’85 per cento del territorio comunale sia parte del nucleo del parco, il “coeur” (cuore) che comunque rimarrà area protetta. “I bambini nascono ‘anti-parco’ – ha detto con sarcasmo misto a desolazione la signora Rémi -. E ogni pretesto è buono per parlarne male”.

La zona di Bonneval-sur-Arc

La stessa cosa è accaduta ad Aussois, dove il sindaco, nonché ex presidente del Parco Alain Marnézy è stato sconfessato dal suo consiglio. Scenario ancora più divisivo a Champagny-en-Vanoise, dove il consiglio comunale, in larga maggioranza favorevole alla firma della “carta” ha voluto sottoporre il problema alla consultazione popolare, ricevendo il 75 per cento di pareri contrari. “Ci siamo dovuti rassegnare a votare contro – ha raccontato al Figaro il sindaco René Ruffier-Lanche -. D’altra parte, ci troviamo all’interno di un parco atipico, dove molti comuni hanno enormi potenzialità di sviluppo turistico-economico finanziario. E certo non possono essere rari gruzzoli distribuiti dall’ente parco a influenzare una simile decisione”. Per intenderci, la piccola Champagny fattura 600 mila euro annui grazie al movimento del turismo sciistico; le sovvenzioni distribuite dal Parco nel 2015 ammontano ad appena 148 mila euro, da dividere per 29 comuni.

Ma non è soltanto una questione di soldi. I comuni sembrano aver percepito la Carta come un nuovo, ulteriore vincolo burocratico (che si aggiunge agli altri esistenti, “Riserve naturali”, “Zone Natura 2000”). “Il tutto ha messo i comuni e le rispettive amministrazioni nelle condizioni di non poter far più nulla”, ha spiegato André Plaisance, il sindaco di Saint-Martin-de-Belleville, uno dei due comuni che hanno ratificato la carta. Risultato: la Vanoise, uno dei gioielli delle Alpi Occidentali, creato nel 1963, vedrà il suo territorio ridursi dagli attuali 2mila chilometri quadrati, a poco più dei 530 chilometri quadri che rappresentano il suo “coeur”, quello che appunto non si potrà toccare per legge.

Un’area di montagna bellissima, nonostante i comprensori sciistici, che occupano solo le parti più alte di alcune delle vallate, rimanendo perlopiù “nascosti” anche a chi percorre l’area in automobile. Una zona famosa per gli stambecchi e per l’alta concentrazione – una delle più alte delle Alpi – di aquile reali. Un piccolo-grande eden che sta per ridursi, come titola il Figaro, citando un tipico detto francese, nonché omonimo libro di Balzac – a una pelle di zigrino.

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Francia, agevolazioni su due ruote

Francia: le agevolazioni fiscali arrivano di corsa…sui pedali

Adottato un nuovo modello energetico per contribuire alla crescita compatibile e creare nuove opportunità economiche

di Katia Caruso – fiscooggi.it, 04/09/2015

Riduzione d’imposta per le imprese che si dotano di un “parco biciclette”, esenzione fiscale ed esonero contributivo dell’ “indennità chilometrica di bicicletta”. Sono le misure agevolative previste dalla legge sulla transizione energetica per la crescita verde e adottate dal governo per incentivare imprese e dipendenti all’utilizzo di questo mezzo di trasporto più eco-friendly.

La transizione energetica per la crescita verde

La legge, cui l’Assemblea nazionale ha dato l’ultimo via libera poche settimane fa, rappresenta il traguardo di un percorso iniziato nel 2004 con l’adozione della Charte de l’environnement (Carta dell’ambiente) e culminato con l’istituzione di un nuovo modello energetico in grado non solo di combattere in maniera concreta i cambiamenti climatici e di contribuire alla crescita compatibile con il rispetto del territorio e della popolazione, ma anche di creare nuove opportunità economiche dal punto di vista dell’occupazione, del miglioramento della competitività delle imprese, dell’innovazione e dello sviluppo di tecnologie pulite e della conquista di nuovi mercati nell’ambito delle energie rinnovabili, del trasporto pulito e dell’efficacia energetica.

La normativa approvata

La legge pone obiettivi chiari e stabilisce gli strumenti operativi finalizzati al loro raggiungimento. In particolare, gli obiettivi sono quelli di attestare la quota di energia nucleare al 50% nella produzione di elettricità entro il 2025, ridurre il consumo finale di energia del 50% entro il 2050 rispetto al 2012, diminuire del 50% il volume dei rifiuti da discarica entro il 2050, aumentare la quota di energie rinnovabili al 32% del consumo finale lordo di energia nel 2020 e 32% nel 2030, ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 40% tra il 1990 e il 2030 e del 75% al 2050, diminuire il consumo di combustibili fossili del 30% nel 2030 rispetto al 2012.

La parte più importante della riduzione dei consumi energetici riguarderà gli edifici, siano essi pubblici o privati. Si prevedono enormi interventi di isolamento, anche nei centri storici, e un radicale passaggio ai sistemi di riscaldamento più efficienti (ad esempio, alle pompe di calore). Tra le iniziative adottate per la realizzazione degli obiettivi, figurano anche misure a sostegno delle famiglie e dei soggetti economicamente più vulnerabili nel consumo di elettricità e gas, della diffusione dei contatori elettronici, dell’utilizzo energetico dei rifiuti non riciclabili e della mobilità sostenibile.

Ed è previsto anche il graduale aumento della carbon tax. La tassa, il cui vero nome è “contributo clima-energia”, graverà sulla componente carbonio dei consumi industriali di fonti fossili. Attualmente fissata a 14,50 euro per tonnellata, con la legge sulla transizione energetica salirà dai 22 euro per tonnellata nel 2016 a 56 euro nel 2020 e a 100 euro nel 2030. Il peso dell’aumento della supercarbon tax sarà compensato da alcuni interventi di riduzione del carico fiscale e contributivo gravante sulle imprese e sui lavoratori dipendenti.

Le agevolazioni fiscali e contributive

Tra gli interventi di riduzione del carico fiscale, l’articolo 39 della legge sulla transizione energetica introduce, a decorrere dal 1° gennaio 2016, un abbattimento d’imposta a favore delle imprese assoggettate all’imposta sulle società (IS) che si doteranno di un flotta di biciclette da mettere gratuitamente a disposizione dei propri dipendenti per gli spostamenti quotidiani casa-lavoro. La misura del beneficio è pari al costo generato dalla messa a disposizione dei mezzi (oltre alle spese sostenute per l’acquisto delle biciclette, anche quelle, ad esempio, per kit e interventi di riparazione, per corsi e lezioni, per la predisposizione di docce, spogliatoi ed armadietti), entro il limite del 25% del prezzo di acquisto della flotta di biciclette. La riduzione è computata esclusivamente sull’IS dovuta nell’esercizio nel corso del quale il costo è generato e, qualora sia superiore all’imposta dovuta, l’eccedenza non né rimborsabile né riportabile. Un decreto ministeriale stabilirà le disposizioni relative alle modalità di attuazione della misura agevolativa e i conseguenti obblighi dichiarativi in capo alle imprese beneficiarie.

Sempre nell’ambito delle misure di riduzione del carico fiscale, il successivo articolo 50 istituisce, dal 1° luglio di quest’anno, un’indennità chilometrica (il cui ammontare sarà stabilito con successivo decreto) riconosciuta ai lavoratori dipendenti che per il tragitto casa-lavoro utilizzano la bicicletta, anche elettrica. L’indennità chilometrica è cumulabile con il rimborso corrisposto dal datore di lavoro per il costo sostenuto dal dipendente per l’abbonamento al trasporto pubblico o per il noleggio di biciclette pubbliche.

Dal punto di vista della tassazione, la norma stabilisce la non imponibilità – ai fini dell’ dall’imposta sui redditi (IR) – delle somme ricevute dal dipendente a titolo di rimborso chilometrico, al pari del contributo ricevuto a titolo di rimborso delle spese per l’abbonamento ai mezzi pubblici o al servizio pubblico di noleggio delle biciclette.

Infine è previsto l’esonero dal versamento dei contributi (fino ad un importo che sarà stabilito con successivo decreto) dovuti dal datore di lavoro sulle somme corrisposte a titolo di indennità chilometrica ai propri dipendenti-ciclisti.

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