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Traversata Contrin – San Nicolò

La traversata Alba di Canazei – Pozza di Fassa via Passo San Nicolò è un classico, o meglio… lo era quando ero giovane. Nell’epoca dei social, nella quale gli itinerari sono scelti in base alle foto su Instagram e sui consigli letti nei gruppi Facebook, le due valli, separatamente, sono inserite nelle categorie “escursioni facili per famiglie con bambini” e spesso snobbate da chi mira ad escursioni più corpose, per le quali viene privilegiato l’altro versante della val di Fassa. Invece le due valli possono essere considerate partenza o arrivo di traversate impegnative o giri potenzialmente “epici” e dai paesaggio mozzafiato. La traversata da Alba a Pozza non è difficile ma permette di apprezzare in pieno gli aspetti paesaggisticamente più rilevanti delle due valli, gettando uno sguardo verso le vette circostanti e… attraversando la storia geologica (e non solo) di queste valli.

Noi abbiamo deciso di affrontare il percorso da Alba, per motivi logistici e… “ortopedici”.

Percorso

Con l’autobus ci rechiamo ad Alba di Canazei e scendiamo alla stazione della funivia per Ciampac e Col dei Rossi. La partenza del sentiero è ai margini del bosco, praticamente sotto i cavi della funivia del Ciampac: guardando verso monte, sulla sinistra si trova il segnavia 602.

Si percorre la forestale per la Val Contrin, che inizialmente è pianeggiante ma ben presto svela la sua vera natura: una sequenza di rampe ripide e tornanti. Il “gradino” fra il fondovalle e Baita Locia Contrin, dove inizia la valle pensile, è di circa 250m. Fortunatamente un sentiero un po’ ripido permette di tagliare i tornanti, rendendo più varia la salita e, secondo il mio punto di vista, pure meno faticosa (preferisco di gran lunga un sentiero a una forestale, ma è questione di gusti). Lungo il sentiero è stato allestito un percorso tematico per bambini, con le storie della mucca Ombretta e del suo latte.

Raggiungiamo Baita Locia Contrin abbastanza rapidamente, qui la valle spiana e si procede spediti. Varcando un ampio cancello in legno si entra in un nuovo mondo: davanti noi la Cima di Ombretta, sulla sinistra le incombenti pareti calcaree del Gran Vernel, a destra la dolomia del Colac. In mezzo, una valle verdissima percorsa da un torrente dal greto ampio. Qui è stata recuperata una vecchia calchera, accanto alcuni escursionisti particolarmente creativi ha allestito un esercito di “ometti”, a cui l’esercito di terracotta fa un baffo 🙂 . Alle nostre spalle fa capolino il Gruppo del Sassolungo.

Più avanti, sulla destra, un paletto orfano di cartello indica dove era la partenza del sentiero per la Forcia Neigra, ora chiuso, che consentiva di raggiungere la conca del Ciampac (adesso bisogna passare dal Passo San Nicolò) . Sempre sulla sterrata, si raggiunge il ponte in legno sul Contrin: qui c’è la deviazione che porta direttamente al Passo, noi invece proseguiamo verso il Rifugio Contrin.

Passato il torrente, la strada alterna tratti dolci a strappi più ripidi. Si passa accanto a Baita Cianci, si prosegue ancora per superare le ultime rampe, finché sulla nostra sinistra appare il muro di sostegno del terrapieno su cui sorge il Contrin, con gli ombrelloni rossi (circa 1h50′ dall’inizio della salita, senza correre troppo). Ed è qui che inizia la parte più bella della valle: proprio dietro il rifugio parte il sentiero che porta alla Val Rosalia e al Passo di Ombretta, con la cima innevata della Marmolada che fa capolino dalla forcella. Da qui la maestosità della parete sud si intuisce appena, ma garantisco che trovarsi al cospetto di quei 900m di calcare fa impressione.

I prati dietro al rifugio, salendo verso il Passo di Ombretta, sono il regno delle marmotte. Se invece si prosegue sulla forestale, ad appena 10 minuti c’è la Malga Contrin, dove in passato abbiamo fatto scorta di jogurt fresco. Noi invece, dopo una breve pausa, ritorniamo accanto al rifugio e imbocchiamo il sentiero 608 in direzione Passo San Nicolò (tempo stimato un’ora).

Scendiamo fino al ponticello sul torrente, giunti sull’altra sponda ricominciamo a salire fra prati e sentieri ripidi, con le radici a costruire dei gradini naturali. Verso Est la vista si allarga verso le pareti di Marmolada e Gran Vernel. Guardando verso Nord, invece, balza all’occhio la forma ad U tipica delle valli di origine glaciale, che quasi abbraccia la sagoma del Sassolungo.

Saliamo ancora e usciamo sul pascolo, seguendo un sentiero che prima passa sul ghiaione ai piedi dei Laste de Contrin (da qui si vede anche Cima Uomo) e poi si inerpica in una zona solcata dai solchi di erosione causati dal ruscellamento dell’acqua piovana.

Ed è qui che, mentre ammiriamo il panorama che via via si apre, Ettore mi dice “ma quello che fa?”. Mi volto e vedo un tizio in e-mtb che sale lungo il sentiero. Ok, fin dove è arrivato ora si pedala (anche se sotto deve aver spinto un bel po’), ma già dove siamo noi è improponibile proseguire in sella. Incuriositi, lo lasciamo passare, augurandogli in bocca al lupo: lo avevamo sentito parlare con altri escursionisti, aveva intenzione di scendere in Val San Nicolò. Un po’ spingendo, un po’ sollevando il pesante arnese, procede piuttosto spedito, alla ricerca dei pochi tratti pedalabili. Quando raggiungiamo il tratto più dolce (e col fondo migliore) del sentiero, lui è già avanti.

Attorno a noi, lo spettacolo: ci troviamo su un terrazzino naturale, con il Gruppo del Sella che chiudere la vista verso Nord. Lo sguardo verso Est percorre le pareti del Gran Vernel e della Cima di Ombretta, con la sua conca che un tempo ospitava un nevaio, il tutto poggiante su strati di roccia di base caratterizzati da pieghe ben visibili, che si ripropongono anche lato Val San Nicolò, causando non pochi problemi. Percorriamo l’ultimo tratto di sentiero sostanzialmente pianeggiante che ci porta verso in rifugio, passando accanto accanto ad una mandria di vacche nere… svaccate a ruminare sul prato. Davanti a noi spuntano il Catinaccio, la Roda di Vael, il Latemar in lontananza, mentre ci avviciniamo al passo diventano riconoscibili le cime della Val San Nicolò.

Ed eccoci al rifugio! Sono forse 15 anni che non salgo quassù, ma l’edificio appare sostanzialmente uguale, con l’esterno in legno, le persiane rosse e bianche, la sala da pranzo spaziosa ma raccolta.

Ci sediamo sul prato per mangiare, quasi sulla cresta di sommità. Con lo sguardo verso valle, alla nostra sinistra abbiamo il “corno” del Col Ombert, nel quale sono visibili alcuni rifugi dalla Grande Guerra (altri sono presenti verso Buffaure e Colac, ma oggi non ci passiamo). In pratica, siamo su una specie di terrazza, lato Val San Nicolò il versante scende ripido, mentre verso Contrin sembra quasi un altopiano. Accanto a noi, c’è un signore con un cagnolino, poco in là vediamo il biker che si appresta a scendere. I tavoli esterni sono tutti occupati, mentre dentro al rifugio c’è poca gente. Potenza di settembre, della bella giornata e delle regole anti covid. Cafferino (che ci vuole sempre), bastoncini dimenticati appesi fuori dalla porta da andare a recuperare (questo era meglio evitarlo) e scendiamo.

Il sentiero percorre pianeggiante la cresta del valico, fino al segnale che indica il Passo. Qui si scende a sinistra.. Ops.. Ma non era qui il sentiero? Me lo ricordo bene: in sostanza la zona del passo si trova su un banco di roccia che lato San Nicolò tende a franare, il sentiero era stato ricavato lungo la parete rocciosa (qui da giovane avevo trovato dei fossili) e poi spostato e allargato. E’ però evidente che il sentiero non subisce manutenzione da un bel po’, il nuovo sentiero scende (già da un bel po’) lungo un costone relativamente stabile fra due zone franose e parte poco più avanti, lungo il sentiero che porta verso il Buffaure.

Cominciamo a scendere, su sentiero ripido ma ben tenuto, tutto sommato il biker che abbiamo incontrato durante la salita si sarà divertito! Raccogliendo qua e là qualche piccolo rifiuto o mascherina, raggiungiamo in breve tempo il bosco, mentre comincia a scendere qualche goccia. Il panorama sulla nostra destra è lunare: il versante destro della valle San Nicolò è costituito da ripidi pascoli sormontato a tratti da dolomia e roccia vulcanica, ma accanto a noi c’è un brullo canalone, roccia che pare sfogliarsi a cipolla lungo una piega degli strati di base, i cui frammenti precipitano a valle e vengono trascinati nelle piene. Spesso da queste parti si scatenano violenti temporali, il torrente può gonfiarsi rapidamente e innescare frane, con conseguenze anche drammatiche.

Nella parte bassa del percorso, un tratto del sentiero è franato, il passo si fa un po’ difficoltoso per superare radici, sassi, vuoti e dislivelli, sul morbido terreno scuro del sottobosco. Arriviamo poi a lato del torrente, sul fondovalle, il sentiero si innesta sulla sterrata poco sotto Baita alle Cascate. Percorriamo la strada in discesa, chiacchierando e guardandoci intorno. Io adoro questa valle, questi pascoli punteggiati da baite e fienili mi danno un senso di pace, ma quando vedo certe cose mi incazzo: santo cielo, se ti porti il cane a spasso e raccogli i suoi scarti organici sei persona educata, ma se poi infili il sacchetto in una tana di marmotta sei doppiamente coglione.

A proposito di senso di pace… Questi posti hanno visto cose che con la pace hanno ben poco a che fare: qui durante la grande guerra sorgeva un campo base dell’esercito austriaco. A ricordarlo ci sono cippi, lapidi, pannelli informativi… e alcuni reperti rinvenuti durante la ristrutturazione di una baita. La Val di Fassa era infatti territorio austriaco e il confine correva sulle cime vicine. La Val San Nicolò era il luogo ideale per alimentare la prima linea e i campi in quota, come quello che sorgeva ai piedi di Passo delle Selle. Su queste creste e nelle trincee di confine hanno trovato la morte tantissimi giovani strappati a famiglia e lavoro, o allo studio. Giovani parlanti mille lingue e dialetti, da una parte e dall’altra del confine, che la guerra l’hanno subita o nella quale hanno creduto prima di rendersi conto che essere mandati al macello sotto i colpi del nemico non ha nulla di romantico.

Ci fermiamo a Baita Ciampié per la merenda, per poi affrontare l’ultimo tratto asfaltato fino a Sauch, dove ora c’è la fermata della navetta.

Dati percorso

  • Lunghezza 15km 500m
  • Dislivello positivo 924m
  • Dislivello negativo 640m

Vedi il percorso su Strava

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Gran tour del Sassolungo in mtb

Il Gruppo del Sassolungo è uno dei gruppi montuosi che più amo: isolato da quelli vicini, è maledettamente scenografico e “fotogenico” e, pur avendo caratteristiche ben definite, ha un aspetto totalmente diverso se visto dalla bassa Val di Fassa, dal Sella, dalla Val Gardena o dall’Alpe di Siusi. Con intorno la Val Duron e i verdi pascoli dell’Alpe di Siusi, penso sia il sogno di molti bikers avventurarsi ai suoi piedi, ma mica tutti ne hanno per fare la Hero, magari il percorso lungo…

Ma, se si hanno fiato e gambe (o una E-MTB e la si sa condurre sul ripido) la circumnavigazione è possibile ed è di gran soddisfazione. Noi abbiamo testato 3 versioni diverse e sempre in senso antiorario. Volendo si può invertire il giro e (forse) incasinarsi ulteriormente la vita. Pronti a pedalare con noi?

La versione di Massimo

Qualche anno fa il mio compagno, alla ricerca di nuove emozioni, si è messo a studiare un itinerario per girare attorno al Sassolungo. In parte è già “tracciato”, visto che ci passa la Hero, si tratta di chiudere i pezzi mancanti. Ad un certo punto gli dico:

Ma scusa, perché per forza in senso orario? La salita lato Val Duron la conosci bene, prova a salire dall’altra parte!

Inverte il giro, lo prova e rientra entusiasta. C’è da dire che, pur non essendo un fenomeno, va (molto più di me) e si può permettere di fare salite rognosette. Vi riporto una descrizione sintetica dell’itinerario. Ovviamente ometto l’avvicinamento Pozza-Canazei (che figura però nei dati dell’itinerario sotto riportati) per concentrarmi sul tour vero e proprio.

Itinerario

Riporto in estrema sintesi il percorso seguito (la descrizione dei vari tratti è descritta nelle altre opzioni o in escursioni descritte in precedenza).

  • Da Campitello, seguendo il lungo Avisio in sponda sinistra si arriva a Canazei, ci si porta all’inizio del sentiero segnavia 655
  • Si risale la forestale fino a portarsi sulla state si raggiunge il Lupo Bianco
  • Su forestale (stesso segnavia) si raggiunge il Rifugio Valentini
  • Si segue un sentiero che porta sulla sterrata che passa a monte della Città dei Sassi (percorso Hero medio), fino al Rifugio Comici
  • In discesa (segnavia 526, deviare poi sul 528) ci si dirige verso Monte Pana, tenendosi sulla forestale dove il 528 si stacca da essa, ci si innesta su forestale segnavia 30
  • Si raggiunge Saltria, Tirler Alm e da qui Passo Duron
  • Si scende lungo la val Duron, si devia per Pian e si raggiunge Campitello

Dati percorso

  • Distanza: 54km 800m (compreso tratto da/per Pozza)
  • Lunghezza effettiva anello: 40km circa (Campitello – Campitello)
  • Dislivello: 1890m (D+/D-)

La versione di Barbara

Col moroso impegnato a fare il giro di cui sopra, anche a me viene una voglia matta di provare. Ma io non ho mai fatto la salita al Sella (e so che è tosta), però c’è una funivia che capita a fagiolo. Lato Gardena sono già pratica, mi manca l’ultimo pezzo di salita al Duron… E quindi… Ok ci provo.

Vado in bici fino a Campitello per prendere una delle prime corse per il Col Rodella e sfruttare la giornata. Non salivo qui da un bel pezzo, non lo ricordavo così bello il panorama, e con la luce del mattino, e poca gente in giro, è ancora più bello. Il Sella, la Marmolada… emozionante!

Inforco la bici e scendo verso il Salei e poi a Passo Sella. Dal piazzale di partenza della cabinovia per il rifugio Demetz so che dovrei seguire il sentiero 657 per raggiungere baita Michl, ma so anche che devo trovare il modo di passare a destra della baita pena finire su un sentiero fangoso, che è anche il “bagno pubblico” del bestiame. E niente, anche stavolta non becco la deviazione giusta e vado ad impantanarmi, sotto lo sguardo divertito del malgaro. Da qui seguo in discesa il percorso individuato per l’anello Selva – Passo Sella, deviando poi sull’adiacente bike park (percorso famiglia, molto carino). Raggiungo così Plan de Gralba.

Sbuco sulla statale e scendo in paese fino a Selva. In piazza Nives imbocco la strada che porta a La Sëlva, da qui raggiungo Saltria passando da Monte Pana, su percorso ampiamente collaudato: segnavia 308, Ciaslat, strada asfaltata per monte Pana, sterrato segnavia 30 che, dapprima in salita e poi con una lunga discesa, “aggira” il Sassolungo passando per boschi e ampi pascoli. Lungo queste strade mi imbatto per la prima volta nei segni lasciati da Vaia nel Gardenese: dalla valle principale sembra tutto a posto, invece il vento terribile di quella notte si è incanalato nelle valli che scendono dall’Alpe di Siusi e dal Sassolungo, radendo al suolo ampie porzioni di bosco.

A Saltria svolto a sinistra, su strada asfaltata (segnavia 6), per raggiungere Tirler Alm. L’asfalto finisce, si ignorano le deviazioni per incunearsi nel vallone che punta verso la cresta che fa da spartiacque con la Duron. Boschi e pascoli, tratti ripidi alternati ad altri più soft, tutto su ottimo fondo: si fatica ma fin qui nessun problema.

Il discorso cambia quando ad un bivio si svolta a sinistra. Qui si fa sul serio: il versante è ripido e lo si supera con rampe toste, tornanti, su fondo sterrato o con tratti rinforzati da autobloccanti, mentre la vista si apre ulteriormente su Sassopiatto e Odle. Nei pressi di una chiesetta ( se ho ben capito qui un tempo sorgeva l’albergo del Touring) si tira un attimo il fiato, prima di imboccare la rampa sulla sinistra: il passo è lì, ben visibile, manca poco… Peccato che la ruota slitti a pochi metri dal passo.

Eccomi qui, anche se è stata dura. La vista ripaga dalla fatica, soprattutto nell’ultimo tratto prima di Passo Duron, dove invece la vista risulta un po’ chiusa dal pendio erboso. Nel complesso, però, su questo lato la salita è più abbordabile rispetto al lato Val Duron: più continua ma con rampe un po’ meno ripide, soprattutto con un fondo decisamente più regolare.

Da qui inizia una lunga discesa, mentre la vista si apre sulla valle sottostante e verso Molignon e Marmolada. Trascurando la deviazione verso l’Alpe di Tires (ci ho provato una volta ed ho alzato bandiera bianca) si segue la mulattiera sconnessa, con molti sassi di grosse dimensioni. Il fondo diventa poi più regolare, ma a tratti si incontra parecchia ghiaia. La strada si snoda fra pascoli e ruscelli, fino ad una discesa molto ripida, con fondo in cemento (fino a qualche anno fa questo tratto era maledettamente sconnesso). Si scende in picchiata fino a Malga Ducoldaora, dove pascolano mucche e cavalli. E poi ancora giù, cercando di non incasinarsi nei tratti più ghiaiosi, fino alla spettacolare piana della val Duron.

Lasciar correre la bici, qui, è puro godimento, ed è più di una semplice ricompensa per la fatica fatta. È tutto bello in questa valle: il verde dei pascoli che fa contrasto con la scura roccia vulcanica formatasi durante eruzioni sottomarine, i torrenti, le marmotte sentinelle, i pelosissimi highlanders (razza bovina molto resistente alle intemperie). Schivando gli escursionisti, che qui si fanno più numerosi, si arriva in un piccolo angolo di paradiso : qui sorge la baita Lino Brach, un tempo un modesto casottino in legno e ora (i lavori erano cominciati 2 o 3 anni fa) ampliato e migliorato, ma il prato e le caratteristiche sculture in legno sono sempre lì, a sorvegliare la valle lato Marmolada e Denti di Terrarossa, a ricordare il vecchio gestore, morto lo scorso inverno.

Pausa pranzo e poi ancora giù fino al vicino Micheluzzi, da qui in picchiata fino alla baita Fraines (attenzione ai pedoni e alle navette!) per poi svoltare, poco sotto, verso sinistra. La bella forestale in falsopiano porta a Pian, caratteristico borgo ladino, da cui, su strada asfaltata, si torna a Campitello.

Dati percorso

  • Distanza: 35km 130m (Campitello-Campitello)
  • Dislivello positivo: 948m
  • Dislivello negativo: 1853m

Versione estesa in e-mtb

Questa estate lo abbiamo fatto anche noi.

Un po’ per necessità (ho rotto il cambio della bici scendendo dal Rifugio Firenze), un po’ per stare tutti insieme, un po’ per sentirci anche noi un po’ come Paez (Leonardo)… abbiamo noleggiato le E-MTB. E ci siamo tolti una gran bella soddisfazione!

Ma andiamo con ordine.

Ci rechiamo presso un noleggio bici in centro a Selva di Val Gardena. Il negoziante ci chiede dove vogliamo andare. “Passo Duron e rientro dal Sella” “… È tosta, voi siete abituati ad andare in bici, giusto?” Beh, si. Siamo vestiti di tutto punto, il figlio sfoggia la maglia Hero 2021, perché nel pacco gara del padre è erroneamente finita una M (ma quanto cavolo sono strette ste magliette?). Noi adulti, bene o male, andiamo. Vediamo come se la cava il dodicenne, che sul medio facile già mi semina, ma a gestire il cambio è un po’ un disastro.

Descrizione dell’itinerario

Preso possesso dei mezzi, del caricabatterie di emergenza (metti che decidiamo di allungare il giro…) e ricevute le istruzioni base, ci avviamo verso Piazza Nives, dove svoltiamo verso la Selva. Invece di proseguire verso i Ciaslat e Monte Pana, in cima alla salita asfaltata, svoltiamo a sinistra: in pratica, percorriamo al contrario l’ultimo tratto della Hero. Cercando di sfruttare il meno possibile la batteria, saliamo nel bosco, intercettiamo il segnavia 22, che seguiamo in salita, prendiamo una deviazione sulla destra, tagliando la pista Saslonc. Seguiamo per un tratto il segnavia n°23, passiamo il torrente e intercettiamo una forestale inizialmente contrassegnata dal n°528, passando a monte… di Monte Pana, immettendoci poi sulla forestale contrassegnata dal segnavia n°30. La giornata è spettacolare, cielo blu e poche nuvole, pascoli verdi e vette con ancora molta neve per essere metà giugno. Il bosco, pur se ripulito, mostra le ferite di Vaia, chissà quanti anni ci vorranno per rigenerare ciò che è andato perso.

Da Saltria in poi seguiamo esattamente il tragitto che ho seguito un paio di anni fa. Beh, con l’aiutino è decisamente tutta un’altra cosa. C’è persino il tempo per guardarsi intorno, anche sulle rampe più cattive! Cercando di non esagerare con la spinta extra, faccio quasi fatica a star dietro agli altri due, che salgono spediti.

Una volta svalicato, iniziano le raccomandazioni al giovane, che è un po’ spaventato dal fondo non proprio fenomenale delle prime discese. Scendiamo con prudenza, nonostante una piccola caduta Ettore se la cava egregiamente. Scendiamo veloci fino alla rinnovata Baita Lino Brach, dove ci fermiamo per pranzare, anche se non è ancora mezzogiorno. L’attesa è allietata da due giovani che suonano chitarra e flauto, un repertorio variegato che comprende anche “Libertango” di Astor Piazzolla, che io adoro.

Risaliamo in bici, passiamo il Micheluzzi, Baita Fraines… E ci troviamo la strada per Pian chiusa. L’ordinanza parla di lavori stradali che si protrarranno per tutta l’estate. Ecco perché la Hero questa estate è passata più sotto!!! Mentalmente impreco perché so cosa ci aspetta, e quel “cosa” non ho molta voglia di farlo in bici, e di farlo fare al figlio. Ma ci tocca, quindi…

“Ettore, scendi piano. Rallenta. Cavolo vuoi andare più piano che c’è una brutta discesa?!?!”

Arrivati alla “brutta discesa”, ci fermiamo entrambi (mentre Massimo prosegue). “Occazzo”. Ecco, appunto. La rampa che porta al ponticello sul torrente, poco prima di sbucare in paese, è tremenda. Stando ai tracciati Strava di chi ha fatto la Hero lunga siamo fra il 36% e il 40%. Per quello che ricordo, ha sempre avuto un ottimo fondo, ma il ghiaietto può renderla scivolosa, al punto che erano state legate delle corde al parapetto per agevolare i pedoni. La strada è stata migliorata grazie ad una gettata di cemento. La pendenza però è la stessa, e a fine discesa c’è una curva secca a sinistra e poi il passaggio sul ponte (un “drittone ” qui si paga caro). Io ed Ettore la facciamo a piedi, mentre Massimo, che ci ha preso gusto, sale per fare il bis.

Arrivati a Campitello, ci portiamo in sinistra Avisio e risaliamo la valle fino a Canazei, proseguiamo fino a sbucare sulla statale. Svoltiamo a sinistra e scendiamo fino alla rotonda, svoltiamo verso Passo Sella e, al primo tornante, svoltiamo a sinistra.

Ci portiamo lungo il torrente che scende dal Lupo Bianco, alla ricerca della forestale contrassegnata col n°655. Risaliamo così lungo la “pista di rientro”, caratterizzata da ottimo fondo, pendenze non impossibili ( è comunque una pista da sci…) con alcuni strappi più impegnativi. La Val de Antermont è stretta, ma davanti a noi fa capolino il Piz Ciavazes.

La strada passa sull’altro versante della valle, con una ripida rampa raggiungiamo la statale. La percorriamo fino al Lupo Bianco, anche se volendo potremmo tagliare su sterrato, scendiamo sul piazzale sulla sinistra alla ricerca del segnavia 655. La forestale sale con rampe che si fanno più cattive mentre il panorama attorno a noi diventa sempre più maestoso, con le pareti del Gruppo del Sella che sembrano quasi avvolgerci. L’indicatore della batteria scende, nonostante le opportune attenzioni e il livello di spinta non elevato (scoprirò all’arrivo che la mia bici ha una batteria meno performante rispetto alle altre due), quindi salgo con calma, mentre il figlio prende il largo. Mando suo padre all’inseguimento, impresa che si rivela più difficile del previsto. Il ragazzo ne ha, santo cielo, e sta onorando la maglia!

Raggiungiamo così un prato costellato di fiori di armentara, un balcone naturale affacciato sulla val di Fassa, vista Marmolada e Ciampac, il Sella dietro e a sinistra: uno spettacolo! È un gioiellino nascosto… in bella vista: è lì sopra, ma non ci passi per caso, devi scegliere di passare di qui, di salire al Sella in bici o a piedi, ed è una cosa che raramente si fa.

Proseguiamo ancora, puntando verso il Rifugio Valentini. Abbiamo ancora circa 250m di dislivello da superare. L’ultimo tratto è ripido e sconnesso, riusciamo ad arrivare poco sotto al rifugio, poi io ed Ettore dobbiamo mettere giù il piedino. Il Sassolungo si staglia davanti a noi, maestoso. Svalicando lo sguardo si apre verso le vette della Val Gardena.

Scendiamo a passo Sella, stavolta riusciamo ad evitare il sentiero che porta a Baita Michl, portandoci, superando un torrentello e un po’di neve, sulla pista da sci. Scendiamo e ci riportiamo sul percorso n°657, che percorre forestali a servizio delle piste da sci, alcuni tratti sono ben tenuti, altri (soprattutto quelli più ripidi) sono caratterizzati dalla presenza di molti sassi. Non mancano nemmeno i tratti su pista, in picchiata sul prato facendo lo slalom fra residue chiazze di neve. Raggiungiamo Plan de Gralba e la statale, a Plan deviamo sulla ciclabile e raggiungiamo la piazza.

Il tempo di fare merenda e ci rechiamo in negozio per restituire le bici. Piccolo bilancio :

  • Non abbiamo usato i caricabatterie
  • Io ho restituito la bici con una tacca di batteria (l’ultimo tratto di salita del Sella l’ho fatto col terrore di dover spingere l’arnese in salita)
  • I due maschietti, che avevano un mezzo più performante, l’hanno restituito con due tacche.

Il negoziante “ah beh, allora avete pedalato!”. Si, abbiamo pedalato. Un po’ di fatica l’abbiamo fatta, e ci siamo divertiti un sacco.

Dati tracciato

  • Lunghezza: 45km 800m
  • Dislivello positivo: 1754m
  • Dislivello negativo: 1754m
  • Tempo in movimento: 4h20′
  • Tempo comllessivo: 6h35′
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Anello Col Raiser – Seceda

Una splendida giornata di sole, da non sprecare in nessun modo. Ne salta fuori un regalo di promozione per il mio giovane padawan: una escursione al Seceda, da cui si può ammirare uno splendido panorama a 360° su Dolomiti, Adamello, montagne austriache. Merita, anche per chi cammina poco (e prende la scorciatoia).

Mappa dell’area, sono evidenziati i principali punti di passaggio

Il giorno della pubblicazione dei tabelloni avevamo in programma la sperimentazione della E-MTB, ma il senior di casa stava poco bene, quindi decidiamo al volo di riconvertire la splendida giornata in chiave escursionistica. Il giovane però sembra riluttante a mettersi in moto…

E niente, prima vuol vedere la pagella.

Solo dopo aver scorso soddisfatto i voti sul computer e aver constatato “di pirsona, pirsonalmente” di essere stato promosso in seconda media, ci prepariamo ed usciamo. Destinazione: Seceda.

Ci dirigiamo a piedi verso Santa Cristina, percorrendo Streda de la Tieja e poi seguendo i cartelli per la stazione di valle della cabinovia Col Raiser.

L’itinerario

Le navicelle dell’impianto percorrono lente la valle a monte di Santa Cristina, sede del comprensorio sciistico Col Raiser-Seceda. La valle, con esposizione Sud, all’altezza di Pian de La Tieja, è piuttosto stretta, ma risalendo sopra pascoli e baite, si apre a ventaglio: verde e bellissima dai prati di Seceda a Col Raiser, più ad Est diventa un pochino più selvaggia arrivando al corso del torrente principale e alla zona del rifugio Firenze. Dietro, a far da cornice, le Odle, mentre guardando verso Est si erge imponente lo Stevia, con ancora parecchia neve nei canaloni che scendono a valle.

La conformazione dei versanti, che rende particolarmente “fotogeniche” queste vette, ha una origine prettamente geologica: gli strati di base, un tempo fondali marini su cui sono nati gli atolli corallini che hanno originato le dolomiti, sono inclinati verso sud e l’erosione ha fatto il resto: pascoli ondulati verso Gardena, che sul Seceda sembrano portare direttamente verso il cielo, ripide pareti tendenti a sgretolarsi verso Nord, dove c’è la Val di Funes. Il banco di dolomia dello Stevia, che si erge massiccio a chiudere la quinta verso oriente, è in sostanza una specie di altopiano i cui bordi settentrionali e occidentali si sgretolando, rendendolo accessibile agli escursionisti. E poi ci sono i “denti” delle Odle, che, pur dando il meglio lato Funes, anche verso Gardena svettano verso il cielo blu, in un certo senso materializzano i colori della bandiera ladina.

Sbarchiamo a Col Raiser, in un posto che è contemporaneamente stazione cabinovia, negozio per turisti, punto di ristoro con terrazza panoramica e hotel. È punto nevralgico per la pratica degli sport invernali, ma anche per le escursioni. Nel nostro caso, si tratta di un percorso ad anello da percorrere in senso orario, che ci porta al Seceda e da qui a camminare ai piedi della Fermeda fino a Malga Pieralongia, già meta di una escursione alcuni anni orsono, per poi far rientro a Col Raiser.

Ci avviamo lungo una forestale che, mantenendosi in quota, si dirige verso Nord. Ignoriamo le deviazioni per il Rifugio Firenze (segnavia n°2) e per Malga Pieralongia (4a), il nostro itinerario di salita prevede un primo tratto sul sentiero n°2, per poi svoltare a destra, poco prima del Rifugio Fermeda, sul n°1A, il passaggio per Baita Daniel. Successivamente, dovremo svoltare ancora a destra sul n°6, seguendo le indicazioni per Baita Sofie e Seceda.

La pacchia del sentiero in piano non dura molto, in fondo i punti citati sono lungo piste da sci, e ben sappiamo come sono le sterrate di servizio: ripide e con tratti pavimentati per non far slittare le ruote della jeep. Avranno pur effetto tonificante sui glutei, ma spaccano un pochino le gambe. Questo è l’unico difetto, perché il paesaggio è idilliaco: è un susseguirsi di pascoli, baite, laghetti, minuscole chiesette, sotto un cielo blu e terso. Il tutto, con una splendida vista che spazia dal Sella all’alpe di Siusi e, in mezzo, Il Sassolungo, il Catinaccio, il Molignon e i Denti di Terrarossa.

Dato che siamo partiti tardi, ci stiamo avvicinando all’ora di pranzo. Il tabellone a Col Raiser diceva che il Rifugio Seceda è chiuso, ma poco sotto c’è il Sofie. Lì ci fermiamo, un po’ accaldati. Il posto sembra un po’ fighetto ma ci sediamo (quello c’è, e la vista è incantevole). L’arrivo del menù si rivela però un tuffo al cuore e un attentato al portafoglio, si viaggia sulla soglia dei 20€ per un primo o per la polenta. E anche il tagliere di speck non scherza.

Dopo un attimo di smarrimento, ci consultiamo e decidiamo di prendere il tagliere doppio, con affettati formaggio e patate. Ecco, ci arriva una cosa apparentemente “innocua” se divisa in due e che invece porta quel pozzo senza fondo di mio figlio ad alzare bandiera bianca. Anche perché il tagliere ha un bell’aspetto, ma solo in un secondo momento mi accorgo delle patate nella terrina a parte. Due a testa, quelle rosse trentine, lessate, su cui mettere il burro. Tutto buonissimo, direi, per un prezzo onesto.

Ripartiamo e percorriamo l’ultimo tratto di sentiero che ci porta alla stazione di monte dell’impianto che da Ortisei porta al Seceda. Da qui, 10 minuti su uno sterrato un po’ sconnesso e si arriva al belvedere. Ecco, a costo di farla strisciando, anche chi non cammina e sale in funivia deve arrivare fino qui. Il paesaggio dalla cima è qualcosa di impagabile. Il nastro in acciaio corten posizionato attorno ad una piazzola riporta stilizzato il profilo delle montagne e il nome delle vette: Ferméda, Sass Rigais e poi, tutto attorno, Stevia, Sella, Sassolungo, Sciliar e, più lontano, il Gruppo dell’Adamello, il Brennero, le Alpi Austriache… Sotto di noi, verso nord, ci appare la verdissima val di Funes. Il tutto praticamente senza una nuvola.

Si, cioè, quasi… Sopra alle Pale di San Martino, che si scorgono in lontananza, si sono date appuntamento le poche nuvole presenti.

A disturbare la quiete della vetta, il fastidioso ronzio di un drone, che riusciamo ad individuare con parecchia fatica…e che ci accompagna anche per un tratto della discesa. Pure qui la privacy va a farsi benedire…

Scendiamo dalla vetta per imboccare, all’altezza del Rifugio Seceda, il sentiero n°1, che scende dolcemente sul parato, puntando verso Est, per poi farsi un po’ più ripido. Qui sono stati posati elementi in cemento per preservare il fondo, ma, notoriamente, l’acqua se non ha un passaggio se lo crea, quindi ai lati del sentiero si è scavata dei solchi, che in alcuni punti hanno causato lo spostamento e la rottura degli elementi di pavimentazione. Dopo il bivio per Baita Toier, il sentiero cambia denominazione (segnavia n°2) e scende ancora, passando ai piedi delle guglie delle Odle, aggira uno sperone erboso per giungere a Baita Pieralongia, ai piedi della Fermeda di Sotto. Questo posto Ettore se lo ricorda bene: quando siamo stati qui la prima volta tirava un vento allucinante, inoltre, preso dai morsi della fame, ha assaggiato lo speck per la prima volta, ed è scoppiato l’amore…

Imbocchiamo lo sterrato 4A, che, attraversando pascoli verdi, ci porta verso sud, ad intercettare la strada percorsa la mattina. Da qui, mantenendoci in quota, torniamo a Col Raiser.

Ammiriamo ancora qualche minuto il panorama, prima di riprendere la cabinovia per tornare a valle.

Dati escursione

  • Distanza: 8km 700m (partenza e arrivo a Col Raiser)
  • Dislivello: 410m
  • Tempo in movimento: 2h 45′

Puoi trovare il tracciato sul mio profilo Strava

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Alla conquista di Cima 12

Se siete in Val di Fassa, avete le gambe buone, non vi spaventano i tratti esposti e cercate un percorso a prova di distanziamento sociale, la salita a Cima 12 fa per voi. La descrizione che segue è relativa alla “salita normale” attraverso i boschi di Pozza di Fassa (ora comune di San Giovanni di Fassa).

Antefatto

Lo scorso anno mio figlio, dopo aver fatto il Re Alberto, ha compilato una specie di “lista della spesa” con le escursioni che voleva fare. Ad un certo punto ha aggiunto anche Cima 12, che sovrasta l’abitato di Pozza di Fassa. Per la precisione, mi ha chiesto di fare la ferrata Gadotti (mi hanno detto che è facile, io però non l’ho mai fatta). Per il momento questa opzione è stata ovviamente scartata, dato che ora il ragazzo ha 11 anni e deve prima imparare a manovrare cordini e moschettoni su qualcosa di molto soft. Mi hanno parlato molto bene anche del percorso sul Sass Aut, ma anche questo è da scartare per i medesimi motivi. Rimane l’opzione sentiero, che ho fatto una sola volta, quasi 30 anni fa. Ho un ricordo piuttosto vago di un paio di passaggi e uno un po’ più vivo di una sensazione fisica: una faticaccia! Del resto, si parte da fondovalle (1300m slm), la vetta è a 2446m e il percorso è “compresso”, quasi tutto su sentiero.

Il percorso è fattibile, a patto di avere gambe buone, non soffrire di vertigini, sapersi muovere su terreno instabile e su sentiero attrezzato.

Propongo quindi di affrontare Cima 12, sapendo che non sarà una passeggiata, ma che ci consentirà di partire senza toccare l’auto (la settimana di ferragosto va usata con parsimonia, soprattutto se non ci si muove prima delle 8). All’ultimo momento Massimo, il mio compagno, decide di aggregarsi. In tre ci avviamo e, da via Meida, imbocchiamo la strada che corre ai piedi del bosco, passando dietro all’Albergo Antico Bagno e ricongiungendosi alla ciclabile per Soraga.

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Da sinistra, Cima 11 e Cima 12. In primo piano, il primo caffè del mattino 🙂

Il percorso

In prossimità del ponticello sull’Avisio che consente di raggiungere San Giovanni, sulla sinistra si stacca uno sterrato con segnava 630, indicazione che va seguita fino in vetta. Ci incamminiamo lungo questa strada, poco dopo incontriamo una nuova deviazione verso sinistra. Sul cartello è stata posta l’indicazione “chiuso per frana”, sul sito dell’APT però il sentiero risulta aperto (avevo verificato prima di partire). Seguiamo pertanto le indicazioni, poco più avanti lo sterrato diventa una mulattiera in corrispondenza di una sbarra verde, sulla quale è ribadito il carrello di chiusura per frana (anche se il punto problematico, come vedremo, sarà ben oltre).

La mulattiera sale rapida nel bosco, oltrepassata un’altra sbarra verde interseca la strada forestale che sale da Soraga. La si attraversa e si continua a salire fino ad incontrare un canalone molto ripido e interessato da uno smottamento: si tratta di un impluvio in materiale detritico che periodicamente scarica acqua, fango e sassi, creando non pochi problemi anche a valle (la sottostante ciclabile è stata più volte invasa dal fango). Qui si è portato via un pezzo di sentiero, esiste però una stretta traccia che consente di attraversare la profonda incisione, richiede però attenzione perché i detriti sul lato sinistro sono instabili. Segnalo che seguendo la sterrata che sale da Soraga (incontrata più sotto), percorrendo al contrario il percorso della Val di Fassa Bike si riesce ad attraversare la frana in un punto più comodo, ma il tragitto si allunga di parecchio, inoltre il percorso non è numerato.

Poco oltre il canalone si raggiunge la radura di Pociacie (1710mslm), dove sorge una baita. Da qui i cartelli segnalano ancora un paio d’ore prima di giungere in vetta.

Pociacie

Si segue sempre il sentiero 630, che torna a salire nel bosco, inizialmente in modo dolce e poi più ripido, passando accanto al tratto sommitale del canalone in frana. Qui incrociamo le uniche due persone che troveremo lungo la salita.

Arrivati alla base della parete rocciosa si svolta a destra e si continua a salire, alternando tratti di ripido sentiero a passaggi su roccette che richiedono l’uso delle mani. Arrivati qui, mio figlio esclama “Guarda!”, mentre io sento un rumore di sassi smosso dietro di me. Con la coda dell’occhio vedo una sagoma scendere veloce e poi fermarsi qualche decina di metri sotto: un camoscio! È la seconda volta che mi capita di incontrarne uno in valle, ma stavolta è vicinissimo. Il tempo di estrarre il telefono di tasca e scattare una pessima foto e la bestia già sta ricominciando a scendere, sparendo fra gli alberi.

Incontri imprevisti

Stupiti per l’imprevisto avvistamento, ma con le gambe che cominciano ad accusare il colpo, riprendiamo a salire lungo il sentiero che, aggirato il Sass da la Luna, punta verso le rocce sovrastanti. Per me, che devo camminare con le fasce elastiche per le ginocchia (altrimenti per scendere mi tocca chiamare l’elicottero) la salita è particolarmente faticosa, inoltre le bacchette qui diventano più un impiccio che un aiuto.

Arriva il difficile…

Il sentiero comincia a sfruttare una serie di cengiette e diedri per salire lo sperone roccioso, in alcuni tratti con l’ausilio di cavi per superare i passaggi più ostici. L’attrezzatura è recente e, sinceramente, non mi pare di ricordare di aver trovato cavi la prima volta che l’ho fatta. In uno di questi tratti, passando sopra un canalone, celebriamo la dipartita degli occhiali da sole di Massimo, che precipitano sulle rocce sottostanti. I passaggi su cavo non sono difficili, ma un pochino esposti (una scivolata qui avrebbe conseguenze parecchio pesanti) e la stanchezza li fa percepire più tosti di quello che sono.

Arrivo sulla sella erbosa (manca poco…)

Raggiungiamo così la cresta erbosa sommitale, all’incrocio col sentiero per il Sass Aut. Da qui in pochi minuti raggiungiamo la croce di vetta, da cui la vista spazia dal Latemar al Catinaccio, ai gruppi del Sassolungo e della Marmolada, fino alle pareti verticali della vicina Cima 11.

In vetta!!!

Missione compiuta in 3h30′ da casa, quindi perfettamente in linea con le tabelle di marcia! Una vista che ripaga abbondantemente la fatica fatta per salire qui e la soddisfazione di addentare un panino godendoci la vetta noi tre da soli.

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Verso l’infinito e oltre!!!

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Il Gruppo del Catinaccio

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Gruppo del Sella

La discesa avviene seguendo il medesimo tracciato, mentre ci dirigiamo all’attacco del sentiero attrezzato incontriamo altre tre persone che avevano percorso la Gadotti. La discesa si rivela particolarmente spaccagambe, alla fine siamo piuttosto provati ma soddisfatti. Chi paga le conseguenze peggiori è indubbiamente Massimo, che negli ultimi anni si è dedicato esclusivamente alla bici, lasciando a me il compito di “svezzare” il pargolo sui sentieri delle nostre vacanze. Ora che il ragazzo viaggia più di me ha voluto fare un po’ il “ganassa” imbarcandosi in una escursione fisicamente impegnativa al primo giorno utile di ferie.

Nota a margine. In una estate nella quale già a luglio si raccontano di ressa da centro commerciale il primo giorno di saldi per vedere il lago di Braies, o di file chilometriche per prendere la funivia del Sass Pordoi, noi abbiamo incontrato cinque persone (più una famigliola con prole nel tratto di bosco vicino alla ciclabile di fondovalle). Questa non è certo una escursione per tutti, ma, con un po’ di fantasia e affidandosi al parere di chi conosce il territorio, si possono tranquillamente fare escursioni senza avere l’impressione di essere sui navigli all’ora dell’Ape. Insomma, ogni tanto lasciate perdere le foto fighe su istagram e consultate una guida, non ve ne pentirete.

Dati tecnici

Secondo Strava, fra andata e ritorno abbiamo fatto 11km e 1367m D+. Sinceramente, il dislivello mi pare sovradimensionato, ma non è comunque inferiore ai 1200m D+

https://www.strava.com/activities/3892430838/embed/f90cc422a20d47a14507176a0400b9b1eba17606

Tracciato dell’escursione

Altimetria

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Ai piedi delle Torri

Me lo ero ripromessa nel 2018, missione compiuta nel 2019. Ho portato lo gnomo (o ex tale) al Re Alberto, ai piedi delle Torri del Vajolet.

Ho creato un mostro. Mio figlio zompetta allegramente su sentieri su roccette, macina metri di dislivello come niente e io faccio quasi fatica a stargli dietro (anche se non è proprio tutta colpa mia, i tutori per le ginocchia ostacolano i movimenti e mi stancano, ma senza sarebbe pure peggio).

Ci ho messo qualche anno, ma c’è l’ho fatta. In passato si riusciva a portarlo in giro solo organizzando complotti da spia navigata, nel 2018 lo avevo portato a Passo Principe sorbendomi una buona dose di improperi. Questa estate c’è stato il salto di qualità, con un trittico di escursioni di tutto rispetto (Lagusel, che aveva già fatto, seguita da Re Alberto e Cima 11). Il giovane a dieci anni sta quasi per raggiungermi in altezza (oddio, sai che fatica… 😦 ) e ha due gambe belle robuste, inoltre ha sempre preferito sentieri sconnessi alle tranquille forestali (sulle quali, invece, scassava allegramente la uallera). Ora ci ha proprio preso gusto, anzi per l’estate prossima abbiamo come obiettivo il Piz Boè (lo ha chiesto lui, eh..).

Coronavirus permettendo, ovviamente…

Dunque, torniamo a noi.

Della Conca del Gardeccia e delle escursioni che partono da qui ho già parlato altre volte. Ad esempio, nel post sull’escursione a Passo Principe avevo descritto il tratto dal Gardeccia fino ai rifugi Vajolet e Preuss. Dall’estate del 2019 però la riorganizzazione del servizio trasporti in Val di Fassa e l’imposizione di maggiori vincoli di accesso alle convalli, con l’eliminazione del servizio navetta per il Gardeccia, costringe ad allungare un po’ il tragitto. Noi siamo andati (a piedi) alla partenza della seggiovia di Pera e abbiamo preso i due tronconi del rinnovato impianto che porta a Pian Pecei. Da qui si può raggiungere il Rifugio Gardeccia seguendo due diversi percorsi: oltre al percorso “classico”, la forestale su cui si innesta, in prossimità dell’ex Rifugio Catinaccio, il sentiero che arriva dal Ciampedie (contrassegnato dal segnavia n°540), c’è anche il Sentiero delle Leggende, che segue un percorso più basso e, dopo esser passato accanto a un paio di baite situate in posizione invidiabile (panoramica e tranquilla), sbuca nel piccolo spiazzo in precedenza utilizzato come “capolinea” del servizio navetta.

Lungo il Sentiero delle Leggende

Pausa ruminati

All’andata abbiamo seguito il Sentiero delle Leggende, così chiamato perché lungo il percorso ci sono tabelloni con alcune delle più famose leggende ladine: misura circa 3km e il dislivello è molto contenuto, ed è meno frequentato della forestale. Con molta calma (e un quasi scambio di bacchette con una mia omonima), passando al cospetto di placide mucche intente a ruminare, siamo arrivati al Gardeccia, impiegando meno di un’ora. Dopo una salutare (per me) pausa caffé ci siamo rimessi in cammino in direzione rifugio Vajolet (segnavia 546), lungo il medesimo percorso seguito per salire a Passo Principe.

Ex Rifugio Catinaccio

Rifugio Preuss

Rifugi Vajolet e Preuss. Sullo sfondo Passo Principe

Qui ci siamo concessi una pausa cibo, prima di imboccare in sentiero n°542 che, su roccette, in circa un’ora consente di superare i 400m di dislivello che separano dalla meta.

Gli ultimi 400 metri (in verticale)

Rifugi Vajolet e Preuss e la sottostante conca del Gardeccia

Via le bacchette, qui, perché sono d’impiccio. Il primo tratto del sentiero, un po’ sconnesso, permette di prendere quota piuttosto rapidamente, si arriva poi al tratto su rocchette, dove vari spezzoni di cavo d’acciaio consentono di tenersi per superare i passaggi più complessi senza scivolare. Il continuo passaggio di persone ha consumato qualche appoggio, rendendolo un po’ scivoloso in caso di sentiero umido, ma i cavi sono utili soprattutto in discesa, o comunque quando si incrociano persone sul percorso, perché lo spazio è poco, un occhio non troppo avvezzo può aver difficoltà ad individuare i segni biancorossi e, obiettivamente, qui le mani per salire servono.

Intendiamoci, non è una scalata e non può essere considerata certo una ferrata, ma non è un sentiero facile. Mi è capitato di vedere persone faticare non poco ed è da evitare se si teme il vuoto, ma è un percorso di gran soddisfazione, e guidare un bambino alla scoperta di questo mondo magico, raccontando le storie dei luoghi, i tuoi ricordi di ragazza, le tue emozioni, insegnargli come ci si muove in questo ambiente e vederlo salire spedito ed entusiasta… è ancora più bello. E può anche essere occasione per “portarsi avanti col programma”, spiegando come ci si comporta quando non basta una manina messa lì per sentirsi tranquilli tenendosi al cavetto, ma ci vogliono moschettoni e cordino per procedere in sicurezza.

Ci siamo quasi…

Gli escursionisti giù al rifugio Vajolet si fanno puntini, mentre si passa sotto la teleferica e i cavetti di sicurezza finiscono, con il sentiero che ora è ricavato su brecciolino scivoloso o lungo il passaggio della condotta dell’acqua, mentre si cominciano ad intravedere le sagome colorate degli scalatori armeggiare sulle pareti.

La pendenza si riduce e, mentre la conca si apre, spunta il tetto del rifugio Re Alberto e sulla destra le Torri del Vajolet si mostrano, finalmente, con la loro inconfondibile ed elegante sagoma, un ricamo di roccia che si staglia sul cielo azzurro: da sinistra, la Delago, la Stabeler, la Winkler. E il mio ometto, soddisfattissimo, si gode il panorama… e pensa a cosa ordinare per pranzo…

Al cospetto delle Torri del Vajolet

Intanto ci guardiamo intorno, il laghetto è decisamente ridimensionato rispetto all’ultima volta che sono salita qui. Escursionisti si muovono come formichine lungo la traccia che porta a Passo Santner, punto di arrivo per la ferrata che sale dal lato altoatesino del gruppo montuoso (non è difficile ed è divertente, si presta ad un bellissimo giro ad anello, condizioni dei sentieri permettendo (a inizio estate 2019 alcuni sentieri della zona erano stati chiusi per smottamenti).

Verso Passo Santner

Ettore cerca Bolzano fra le nuvole

Salendo un po’ rispetto alla conca del rifugio, proprio sotto alle torri, si raggiunge un punto estremamente panoramico, da qui si vede verso Tires e Bolzano, ma, essendo il punto di incontro dei flussi d’aria che salgono dai due versanti, è frequente che qui si formino delle nuvole: succede anche stavolta, con turbini che rimescolano l’aria carica di umidità ostacolando la vista sulla vallata sottostante.

Rifugio Re Alberto

E al rifugio, mentre io mi ordino un minestrone reintegra liquidi, Ettore ordina una pasta al ragù che avrebbe messo in difficoltà un camionista, per la prima volta lo vedo arrendersi e lasciare lì, nel fondo della zuppiera (perché a chiamarlo piatto ci vuol coraggio) un po’ di pasta.

Finito il pranzo, messo il timbro sul Passaporto delle Dolomiti ed acquistato il magnete che ora adorna il nostro frigorifero, ci rimettiamo in marcia per scendere. E qui faccio una considerazione: capisco che non tutti sappiano muoversi agevolmente in montagna, ma se oltre a far fatica ti fermi pure per foto ricordo di gruppo in un posto infognato, bloccando il passaggio per qualche minuto e costringendo gli altri a star fermi in posizione scomoda per dar modo di decidere chi deve scattare la foto, attendere il ritardatario e metterti in posa, beh allora non è questione di agibilità fisica… È che sei un pochino infame… (scusate lo sfogo…).

Souvenir (lo vendono solo qui)

Dal Preuss, fuori le bacchette e poi giù verso il Gardeccia, perché è ripido e si scivola. In corrispondenza dello sbocco della forestale nella conca noto una cosa a cui non avevo fatto caso salendo. Di lato alla strada c’è un edificio fatiscente di forma rettangolare: ricordo che i primi anni che venivo qui c’era un negozietto di souvenir e (forse) di generi alimentari. Beh, è in vendita. Se qualcuno volesse cimentarsi in un’impresa epica…

Poco sotto si celebra il rito della pausa merenda alla Baita Enrosadira, che ha una terrazza affacciata sulla valle ed è in posizione più tranquilla rispetto al Gardeccia. Le mie gambe sono stanche, i tutori fanno sentire gli effetti della limitazione alla circolazione. E qui anche Figlio comincia ad essere un po’ affaticato, ma la torta che si mangia resusciterebbe i morti.

Vendesi (rudere)

Da qui prendiamo l’agevole forestale che conduce fino a Pian Pecei, punto di snodo per gli impianti di risalita (alcuni attivi anche in estate), arrivo della “fly line” del Ciampedie e…frequentatissimo pascolo 😊, qui riprendiamo la seggiovia che ci riporta a Pera.

Dati tecnici

Dislivello in salita/discesa: 810m circa

Tempo di salita: 2h45′

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Piccola rivoluzione in Val di Fassa

Chi si appresta a passeggiare o pedalare fra boschi e cime della Val di Fassa si trova a fare i conti con alcune novità e con qualche intoppo di natura ambientale.

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Val San Nicolò

Sentieri aperti: meglio informarsi in anticipo

Partiamo dal secondo aspetto, su cui tornerò successivamente, perché è una ferita aperta per questi luoghi e per chi li vive. Lo scorso autunno il ciclone Vaia ha picchiato duro in alcune zone e i lavori di rimozione dei tronchi sono ancora in corso. Se poi ci mettiamo anche alcuni forti temporali che hanno danneggiato pesantemente qualche sentiero, ci troviamo con numerosi sentieri o percorsi forestali chiusi o interrotti in più punti. È quindi importante verificare la percorribilità dell’itinerario prescelto, onde evitare spiacevoli inconvenienti. Sul sito ufficiale dell’APT della Val di Fassa è stata aperta una sezione dedicata, con l’elenco dei sentieri e dei percorsi forestali e del relativo stato (è possibile filtrare per comune, zona di riferimento, stato percorso). Sul sito Visittrentino sono inoltre disponibili mappe interattive con indicazione delle aree interdette (sono relative all’intero territorio del Trentino e delle zone limitrofe).

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Riferimenti per info aggiornate

Modalità di accesso alle valli laterali

Altra novità riguarda le modifiche alle modalità di accesso alle valli laterali, soprattutto per quanto riguarda il comune di Sen Jan (Pozza + Vigo). In particolare :

  • La Val San Nicolò è chiusa al traffico, per accedere o si sale a piedi o si prende la navetta da Pera-Pozza o da Vidor;
  • È stato eliminato il servizio navetta per il Gardeccia, qui si può arrivare dal Ciampedie (arrivo funivia da Vigo) o da Pian Pecei (arrivo seggiovia da Pera), aggiungendo quindi 30-45 minuti di cammino.

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Quadro sinottico servizi di trasporto

Alcuni rifugisti non l’hanno presa bene, perché temono un calo delle presenze dovuto all’allungarsi dei tempi di percorrenza e all’aumento dei costi (gli impianti di risalita costa più della navetta, a meno che non si possa utilizzare La tessera PanoramaPass). Diciamo la verità: trovare la Val San Nicolò sgombra dalle auto è un toccasana, mentre la valle del Gardeccia ha, obiettivamente, problemi notevoli di frane e dissesti di vario genere, numerosi sono stati gli interventi di ripristino resisi necessari negli.ultimi anni.

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Hero kids 2019

Venerdì 14 giugno, nel pomeriggio, uno stuolo di bambini fra i 4 e i 12 anni si è riversato per le strade di Selva, per scoprire il piccolo eroe che ognuno si porta dentro e che chiede solo di essere svelato. Anche questo anno i percorsi previsti sono stati tre

  • 4-5 anni: percorso 800m
  • 6-8 anni: percorso 2,3km
  • 9-12 anni: percorso 3km

I più grandicelli hanno l’opportunità di cimentarsi con la discesa finale della Hero “dei grandi” prima di portarsi all’arrivo.

kids 2019

I tre percorsi di gara

Vedere questi ranocchietti vestiti (quasi) tutti uguali, pronti scalpitanti al via e poi lanciati per le strade di Selva, pedalando o spingendo la bici, è sempre uno spettacolo.

E alla fine, festa e merenda per tutti. Perché è una festa, non una gara. L’unico premio (una bici nuova fiammante) è ad estrazione.

E il prossimo anno (se papà avrà ancora voglia di soffrire sul percorso medio) verremo ancora, col nostro marmocchio.

Faccio solo un appello agli organizzatori: le misure delle magliette andrebbero riviste. La massima è una 152, e ai più grandicelli va corta.

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Anello del Lusia variante Sottosassa – video

Ed eccolo, finalmente, in video del “girone” dell’estate 2018, l’anello Moena – Bellamonte – Lusia con partenza da Soraga, la cui descrizione è disponibile cliccando qui.

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Nel cuore del Catinaccio

Verso Passo Principe, all’ombra del Catinaccio di Antermoja

Intro

Lo confesso: questa estate ho accarezzato l’idea di portare mio figlio al rifugio Re Alberto.

Per chi non conoscesse la Val di Fassa, Il Re Alberto si trova a 2621m slm, in una conca nel gruppo del Catinaccio ai piedi delle Torri del Vajolet, accanto ad un laghetto. Solo da questa conca le Torri si possono ammirare nel pieno del loro splendore, col la sagoma che si slancia verso il cielo, e per arrivare qui o si fa la ferrata di Passo Santner (che di suo è facile, ma il giro completo è lunghetto), o si scala la parete del Catinaccio (se si è capaci) e poi si scende, o si sale dai rifugi Vajolet e Preuβ con un sentierino su roccette, che consente di superare i circa 400m di dislivello in uno sviluppo ridottissimo.

C’ero quasi riuscita a convincere il marmocchio (per l’ultima opzione, si intende), poi abbiamo deciso di rinunciare, ma gli ho strappato una mezza promessa per il prossimo anno. Abbiamo così seguito quello che mi ero tenuta come piano “B”, più lungo ma meno impegnativo (oddio… forse, alla fin della fiera la differenza è minima…).

Si, insomma, siamo andati a Passo Principe.

Non ci venivo da un sacco di tempo, l’ultima volta avevo fatto la ferrata dell’Antermoja (bellissima e non impegnativa), insieme ad alcuni amici. E’ più un punto di passaggio che una meta vera e propria: di qui infatti si passa di ritorno dal giro dell’Antermoja, o per salire, appunto, in vetta, facendo la ferrata. Oppure ci si passa per scendere verso il rifugio Bergamo, o per risalire verso il Molignon e da lì all’Alpe di Tires. Si, insomma, è un punto di appoggio per traversate, però merita comunque una escursione, perché… la meta E’ il viaggio. Messo così sembra un discorso un po’ strampalato, però il sentiero attraversa un vallone solitario, che passa ai piedi del “lato B” delle Torri del Vajolet e al cospetto del Catinaccio di Antermoja, con la sua inconfondibile cengia diagonale. E’ molto meno affollato di altri percorsi, e, dal punto di vista paesaggistico, merita.

Mappa della zona

La nostra escursione

Il punto di partenza è la conca del Gardeccia (1950m slm). Qui ci si può arrivare tramite bus navetta da Pera o da Pozza, oppure prendendo i primi due tronconi della seggiovia Vajolet che, da Pera, porta a Pian Pecei, da qui si deve camminare ancora per mezz’ora circa su comodo sterrato. Volendo “esagerare”, si può salire al Ciampedie da Vigo e da qui si arriva al Gardeccia in circa tre quarti d’ora (segnavia 540).

Mettiamo da parte per un attimo il Ciampedie… e andiamo a Pera, alla stazione di partenza della seggiovia, dove c’è anche la fermata della navetta. Visto che non c’è troppa confusione, facciamo il biglietto e saliamo sul pulmino. Partiamo e, percorsa la rotonda sulla statale, ci dirigiamo verso Ronch e Muncion, le due frazioni a mezzacosta di Pozza. Tutte le volte che faccio questo percorso mi chiedo quanto durino questi furgoni, che fanno le “ripetute” lanciati su rampe dalla pendenza decisamente sopra la norma, rallentano se incrociano altri veicoli e ripartono allegramente su un buon 16%.

La parete del Catinaccio

Uscendo da Muncion si passa accanto all’ex Baita Regolina e si entra ufficialmente nella vallata del Gardeccia. I primi anni che venivo in valle, qui si saliva in macchina, ed era il delirio, con macchine che si incrociavano in punti strettissimi, che venivano parcheggiate in ogni dove, e tu che pregavi di non incrociare nessuno mentre con marcia bassissima salivi sulle rampe strette e ripide. Poi, dopo l’ennesimo cedimento della strada, si è deciso di cambiare strategia, ed è iniziata l’epoca dei bus navetta. Non che frane e smottamenti siano finiti, ma almeno le auto non rischiano di rimanere boccate in quota, se non addirittura sepolte da scariche di sassi e fango, si riduce l’inquinamento e il mal di pancia dei turisti. E il torrente che scende dal passo delle Scalette, che con il disgelo e i grossi temporali si porta giù la qualunque, è stato lasciato libero di fare “danni”, perché, invece di costruire un inutile ponte destinato a durare (forse) una stagione, si è lasciato un passaggio a guado.

Da Gardeccia al Rifugio Vajolet

In cordata sul Catinaccio

Arriviamo al rifugio Gardeccia, poco sotto c’è lo spiazzo di manovra dei mezzi. Qui sistemiamo scarponi e bacchette, e ci mettiamo in marcia lungo la frequentatissima mulattiera che, costeggiando il Gardeccia e lo Stella Alpina, si dirige verso il Vajolet (segnavia 546). E qui mi lancio in aneddoti e ricordi, per distrarre il figlio che su questi sterrati tende ad annoiarsi, e, senza pudore, mi chiede quando ci fermiamo a mangiare il panino, perché lo stomaco brontola.

Eh? Ma sono le 9.40!!!

Mi guarda con un sorrisino da “beh, ci ho provato”, e ricomincia a guardare in avanti.

Fra massi erratici e conifere, che a 2000 sono un po’ più piccole e rade, vediamo davanti a noi l’inconfondibile parete del Catinaccio e, più a destra, il rifugio Preuβ si staglia contro il cielo, sopra un alto sperone roccioso. L’effetto è, in un certo senso, un po’ inquietante, la collocazione è degna del castello di un principe malvagio. La forestale, dopo aver percorso un tratto tranquillo, si fa più ripida, con rampe che si fanno sempre più cattive mentre ci avviciniamo alla parete del Catinaccio. La giornata è stupenda, e alcuni scalatori stanno salendo lungo una via tracciata sulla parete.

Le Torri del Vajolet dal basso

Il marmocchio qui vuole fare il grande, tagliando un pezzo di sentiero, Rischia di infognarsi in un punto scivolosissimo, lo riporto su una traccia un po’ più marcata ed arriviamo al rifugio Preuβ (siamo a circa 2240m slm). Qui “esco” il primo panino, mentre gli presento le possibilità di continuare l’escursione (in sostanza, cerco di fargli un mini lavaggio del cervello per convincerlo a salire al re Alberto). Esibisco tutto il mio sapere indicando vette e passi circostanti, spiegando le varie possibilità e… si, salire ne vale proprio la pena, e c’è un bimbo più piccolo di lui che sta partendo insieme ai suoi familiari. Proviamo a partire, ma lo gnomo non è molto convinto. Siccome lo conosco, temendo che cambi idea sul più bello, gli prospetto l’alternativa Passo Principe, indicando in modo un po’ vago la direzione. Vada per quella. Scendiamo e ci avviamo verso la mulattiera contrassegnata dal n°584, decisamente più agevole rispetto alla salita per il Re Alberto.

Rifugio Vajolet

Sulla sinistra abbiamo il gruppo del Vajolet, che su questo lato ha pareti meno verticali e caratterizzate da “gradoni” naturali, sulla destra, passato il gruppo del Larsech, ammiriamo l’inconfondibile sagoma dell’Antermoja. La giornata splendida fa risaltare il colore rosato della dolomia, che fa contrasto con cielo blu; il verde dell’erbetta di alta quota sembra ancora più verde, mentre, insieme ad altri escursionisti, ci avviamo verso il passo, che è sempre “là dietro”. Un “dietro” che viene di volta in volta declinato in dietro la curva, dietro il colle, dietro quella roccia… finché non si comincia ad intravedere la traccia dell’ultimo tratto di sentiero, che sale ripido sul ghiaione… e il figlio un po’ si incazza, sentendosi preso in giro.

Uno sguardo alle spalle, salendo verso Passo Principe

Ma la cosa bestiale è che questo sentiero, fatto a piedi, non è per nulla impegnativo, anche se, ridendo e scherzando, il passo Principe è a circa 2600m (più o meno come il rifugio Re Alberto) e le tabelle danno circa 1h15′ dai rifugi Vajolet e Preuβ. Qui però, ad un certo punto, vediamo arrivare un piccolo gruppetto di bikers su bici da paura, che non paiono soffrire le rampette e il fondo sconnesso. Tra il sorpreso e il perplesso, lasciamo loro strada, chiedendoci che intenzioni potessero mai avere, una volta arrivati al rifugio, che ancora non possiamo vedere, ma la cui posizione è deducibile dalla bandiera che vediamo spuntare tra le rocce.

Rifugio Passo Principe

L’ultimo tratto del sentiero è caratterizzato dalla presenza di detriti, qui la roccia è particolarmente fratturata, e si sale a zig zag. E’ l’ultima fatica… e si svalica! Il rifugio è addossato alla parete, nel poco spazio a disposizione è stata ricavata anche una piazzola per l’elisoccorso, usata dai molti escursionisti come piazzola di sosta per il pic nic improvvisato. Qui possiamo riposarci (e mangiare il panino n°2, per il bambino), seduti contro la parete del rifugio per sfruttare una strisciolina di ombra.Davanti a noi, il Catinaccio di Antermoja, che sovrasta il passo. Da qui parte il sentiero per il passo di Antermoja (dal quale si raggiunge l’omonimo lago), oltre alla ferrata che porta in cima, a circa 3000m. Alla nostra sinistra invece il sentiero scende verso il rifugio Bergamo, e verso il Passo del Molignon, e da qui si vede il ripidissimo sentiero che consente di raggiungerlo, salendo a zig zag in un canalino (l’ho fatto una volta, quando ero giovane, ed è ben tosto…).

Panoramica dell’Antermoja

Verso il Passo del Molignon

Niente paparazzi!!!

La targa in ricordo di Tita Piaz

Dopo lo spuntino, il caffè, le foto, viene il momento di scendere. Ripercorriamo così il sentiero percorso all’andata e, arrivati al Vajolet ci fermiamo un attimo per rendere omaggio al grande Tita Piaz, il Diavolo delle Dolomiti, che qui era di casa (fu fra i promotori della costruzione del rifugio Re Alberto, mentre la moglie era direttrice del rifugio Vajolet).

La forestale che dobbiamo percorrere per tornare al Gardeccia, e che abbiamo in parte saltato, è veramente ripida, si scivola facilmente. Ci dobbiamo fermare in un paio di occasioni per lasciar passare il fuoristrada del rifugio.

Fra i numerosi escursionisti che, a quest’ora, scendono verso valle, c’è qualcosa che disturba la vista. E siccome io sono un po’ una carogna, questo “disturbo alla vista” lo fotografo.

 

 

 

Scendendo dal Rifugio Vajolet. I rifugi Gardeccia e Stella Apina

no comment…

Intendiamoci, ognuno ha il diritto di andare in giro come caspita gli pare. In città, al mare… ma in montagna ci vorrebbe un tanticchia di buon senso nella scelta degli scarponi, dello zaino… altrimenti utilizzi chi ti accompagna in sostituzione dei bastoncini, perché rischi di scivolare ad ogni passo…

E così cerchiamo di tenerci lontani dalla simpatica coppia, per evitare di essere travolti in caso di ruzzolone. E non ci riesce poi così difficile seminarli, anche se noi non scendiamo certo di corsa.

Arrivati nella conca del Gardeccia ci fermiamo per una provvidenziale merenda. Il “pargolo” cerca i battere il suo record di velocità di mangio-Sacher… dopodiché ci rimettiamo in marcia. Già, perché stavolta un po’ di tempo, volendo, lo possiamo trovare per stare al parco al Ciampedie (visto che qualche giorno prima siamo dovuti scendere a precipizio), ma prima dobbiamo arrivarci… decidiamo così di non riprendere la navetta, ma di fare la tranquilla passeggiata che ci porta, appunto, al Ciampedie.

La mulattiera (segnavia 540) corre in quota attraverso il bosco, numerosi cartelli illustrativi spiegano come riconoscere le principali essenze arboree e la loro origine, le caratteristiche, gli animali che popolano il bosco… e il sottosuolo. Con passo discreto ci vogliono circa 45 minuti, e il dislivello è inferiore a 100m.

La “pista azzurra”

Avvicinandosi al Ciampedie, si attraversano quelle che in inverno si trasformano in piste da sci. Qui non i sono molte piste, ma le difficoltà sono abbastanza varie. Le rosse presentano comunque dei muretti di tutto rispetto, ma quando si attraversa la nera (la famosa “Pista Tomba” si capisce… fa abbastanza impressione già così, personalmente non ci tengo a provarla in inverno…

Si arriva così in prossimità del Rifugio Negritella, da qui al cocuzzolo più panoramico del mondo sono ancora pochi minuti a piedi.

E il figlio può sfogarsi nel parchetto (se lo è meritato…)

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Dall’alba al tramonto

lastampa.it, 20/12/2018

Le pareti rocciose si stagliano nel cielo rosa dell’alba, per diventare infuocate con quello rosso del tramonto. È la luce dell’inverno a rendere questo volo con il drone sulle Dolomiti spettacolare. La temperatura ambientale va dai -12 ai -20 gradi. ”E’ un posto semplicemente mistico, affascinante, uno dei quei luoghi che ti fa capire perché l’Italia è uno dei Paesi più turistici del mondo”, ha spiegato il regista.  video Reuters

 

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