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Gran tour del Sassolungo in mtb

Il Gruppo del Sassolungo è uno dei gruppi montuosi che più amo: isolato da quelli vicini, è maledettamente scenografico e “fotogenico” e, pur avendo caratteristiche ben definite, ha un aspetto totalmente diverso se visto dalla bassa Val di Fassa, dal Sella, dalla Val Gardena o dall’Alpe di Siusi. Con intorno la Val Duron e i verdi pascoli dell’Alpe di Siusi, penso sia il sogno di molti bikers avventurarsi ai suoi piedi, ma mica tutti ne hanno per fare la Hero, magari il percorso lungo…

Ma, se si hanno fiato e gambe (o una E-MTB e la si sa condurre sul ripido) la circumnavigazione è possibile ed è di gran soddisfazione. Noi abbiamo testato 3 versioni diverse e sempre in senso antiorario. Volendo si può invertire il giro e (forse) incasinarsi ulteriormente la vita. Pronti a pedalare con noi?

La versione di Massimo

Qualche anno fa il mio compagno, alla ricerca di nuove emozioni, si è messo a studiare un itinerario per girare attorno al Sassolungo. In parte è già “tracciato”, visto che ci passa la Hero, si tratta di chiudere i pezzi mancanti. Ad un certo punto gli dico:

Ma scusa, perché per forza in senso orario? La salita lato Val Duron la conosci bene, prova a salire dall’altra parte!

Inverte il giro, lo prova e rientra entusiasta. C’è da dire che, pur non essendo un fenomeno, va (molto più di me) e si può permettere di fare salite rognosette. Vi riporto una descrizione sintetica dell’itinerario. Ovviamente ometto l’avvicinamento Pozza-Canazei (che figura però nei dati dell’itinerario sotto riportati) per concentrarmi sul tour vero e proprio.

Itinerario

Riporto in estrema sintesi il percorso seguito (la descrizione dei vari tratti è descritta nelle altre opzioni o in escursioni descritte in precedenza).

  • Da Campitello, seguendo il lungo Avisio in sponda sinistra si arriva a Canazei, ci si porta all’inizio del sentiero segnavia 655
  • Si risale la forestale fino a portarsi sulla state si raggiunge il Lupo Bianco
  • Su forestale (stesso segnavia) si raggiunge il Rifugio Valentini
  • Si segue un sentiero che porta sulla sterrata che passa a monte della Città dei Sassi (percorso Hero medio), fino al Rifugio Comici
  • In discesa (segnavia 526, deviare poi sul 528) ci si dirige verso Monte Pana, tenendosi sulla forestale dove il 528 si stacca da essa, ci si innesta su forestale segnavia 30
  • Si raggiunge Saltria, Tirler Alm e da qui Passo Duron
  • Si scende lungo la val Duron, si devia per Pian e si raggiunge Campitello

Dati percorso

  • Distanza: 54km 800m (compreso tratto da/per Pozza)
  • Lunghezza effettiva anello: 40km circa (Campitello – Campitello)
  • Dislivello: 1890m (D+/D-)

La versione di Barbara

Col moroso impegnato a fare il giro di cui sopra, anche a me viene una voglia matta di provare. Ma io non ho mai fatto la salita al Sella (e so che è tosta), però c’è una funivia che capita a fagiolo. Lato Gardena sono già pratica, mi manca l’ultimo pezzo di salita al Duron… E quindi… Ok ci provo.

Vado in bici fino a Campitello per prendere una delle prime corse per il Col Rodella e sfruttare la giornata. Non salivo qui da un bel pezzo, non lo ricordavo così bello il panorama, e con la luce del mattino, e poca gente in giro, è ancora più bello. Il Sella, la Marmolada… emozionante!

Inforco la bici e scendo verso il Salei e poi a Passo Sella. Dal piazzale di partenza della cabinovia per il rifugio Demetz so che dovrei seguire il sentiero 657 per raggiungere baita Michl, ma so anche che devo trovare il modo di passare a destra della baita pena finire su un sentiero fangoso, che è anche il “bagno pubblico” del bestiame. E niente, anche stavolta non becco la deviazione giusta e vado ad impantanarmi, sotto lo sguardo divertito del malgaro. Da qui seguo in discesa il percorso individuato per l’anello Selva – Passo Sella, deviando poi sull’adiacente bike park (percorso famiglia, molto carino). Raggiungo così Plan de Gralba.

Sbuco sulla statale e scendo in paese fino a Selva. In piazza Nives imbocco la strada che porta a La Sëlva, da qui raggiungo Saltria passando da Monte Pana, su percorso ampiamente collaudato: segnavia 308, Ciaslat, strada asfaltata per monte Pana, sterrato segnavia 30 che, dapprima in salita e poi con una lunga discesa, “aggira” il Sassolungo passando per boschi e ampi pascoli. Lungo queste strade mi imbatto per la prima volta nei segni lasciati da Vaia nel Gardenese: dalla valle principale sembra tutto a posto, invece il vento terribile di quella notte si è incanalato nelle valli che scendono dall’Alpe di Siusi e dal Sassolungo, radendo al suolo ampie porzioni di bosco.

A Saltria svolto a sinistra, su strada asfaltata (segnavia 6), per raggiungere Tirler Alm. L’asfalto finisce, si ignorano le deviazioni per incunearsi nel vallone che punta verso la cresta che fa da spartiacque con la Duron. Boschi e pascoli, tratti ripidi alternati ad altri più soft, tutto su ottimo fondo: si fatica ma fin qui nessun problema.

Il discorso cambia quando ad un bivio si svolta a sinistra. Qui si fa sul serio: il versante è ripido e lo si supera con rampe toste, tornanti, su fondo sterrato o con tratti rinforzati da autobloccanti, mentre la vista si apre ulteriormente su Sassopiatto e Odle. Nei pressi di una chiesetta ( se ho ben capito qui un tempo sorgeva l’albergo del Touring) si tira un attimo il fiato, prima di imboccare la rampa sulla sinistra: il passo è lì, ben visibile, manca poco… Peccato che la ruota slitti a pochi metri dal passo.

Eccomi qui, anche se è stata dura. La vista ripaga dalla fatica, soprattutto nell’ultimo tratto prima di Passo Duron, dove invece la vista risulta un po’ chiusa dal pendio erboso. Nel complesso, però, su questo lato la salita è più abbordabile rispetto al lato Val Duron: più continua ma con rampe un po’ meno ripide, soprattutto con un fondo decisamente più regolare.

Da qui inizia una lunga discesa, mentre la vista si apre sulla valle sottostante e verso Molignon e Marmolada. Trascurando la deviazione verso l’Alpe di Tires (ci ho provato una volta ed ho alzato bandiera bianca) si segue la mulattiera sconnessa, con molti sassi di grosse dimensioni. Il fondo diventa poi più regolare, ma a tratti si incontra parecchia ghiaia. La strada si snoda fra pascoli e ruscelli, fino ad una discesa molto ripida, con fondo in cemento (fino a qualche anno fa questo tratto era maledettamente sconnesso). Si scende in picchiata fino a Malga Ducoldaora, dove pascolano mucche e cavalli. E poi ancora giù, cercando di non incasinarsi nei tratti più ghiaiosi, fino alla spettacolare piana della val Duron.

Lasciar correre la bici, qui, è puro godimento, ed è più di una semplice ricompensa per la fatica fatta. È tutto bello in questa valle: il verde dei pascoli che fa contrasto con la scura roccia vulcanica formatasi durante eruzioni sottomarine, i torrenti, le marmotte sentinelle, i pelosissimi highlanders (razza bovina molto resistente alle intemperie). Schivando gli escursionisti, che qui si fanno più numerosi, si arriva in un piccolo angolo di paradiso : qui sorge la baita Lino Brach, un tempo un modesto casottino in legno e ora (i lavori erano cominciati 2 o 3 anni fa) ampliato e migliorato, ma il prato e le caratteristiche sculture in legno sono sempre lì, a sorvegliare la valle lato Marmolada e Denti di Terrarossa, a ricordare il vecchio gestore, morto lo scorso inverno.

Pausa pranzo e poi ancora giù fino al vicino Micheluzzi, da qui in picchiata fino alla baita Fraines (attenzione ai pedoni e alle navette!) per poi svoltare, poco sotto, verso sinistra. La bella forestale in falsopiano porta a Pian, caratteristico borgo ladino, da cui, su strada asfaltata, si torna a Campitello.

Dati percorso

  • Distanza: 35km 130m (Campitello-Campitello)
  • Dislivello positivo: 948m
  • Dislivello negativo: 1853m

Versione estesa in e-mtb

Questa estate lo abbiamo fatto anche noi.

Un po’ per necessità (ho rotto il cambio della bici scendendo dal Rifugio Firenze), un po’ per stare tutti insieme, un po’ per sentirci anche noi un po’ come Paez (Leonardo)… abbiamo noleggiato le E-MTB. E ci siamo tolti una gran bella soddisfazione!

Ma andiamo con ordine.

Ci rechiamo presso un noleggio bici in centro a Selva di Val Gardena. Il negoziante ci chiede dove vogliamo andare. “Passo Duron e rientro dal Sella” “… È tosta, voi siete abituati ad andare in bici, giusto?” Beh, si. Siamo vestiti di tutto punto, il figlio sfoggia la maglia Hero 2021, perché nel pacco gara del padre è erroneamente finita una M (ma quanto cavolo sono strette ste magliette?). Noi adulti, bene o male, andiamo. Vediamo come se la cava il dodicenne, che sul medio facile già mi semina, ma a gestire il cambio è un po’ un disastro.

Descrizione dell’itinerario

Preso possesso dei mezzi, del caricabatterie di emergenza (metti che decidiamo di allungare il giro…) e ricevute le istruzioni base, ci avviamo verso Piazza Nives, dove svoltiamo verso la Selva. Invece di proseguire verso i Ciaslat e Monte Pana, in cima alla salita asfaltata, svoltiamo a sinistra: in pratica, percorriamo al contrario l’ultimo tratto della Hero. Cercando di sfruttare il meno possibile la batteria, saliamo nel bosco, intercettiamo il segnavia 22, che seguiamo in salita, prendiamo una deviazione sulla destra, tagliando la pista Saslonc. Seguiamo per un tratto il segnavia n°23, passiamo il torrente e intercettiamo una forestale inizialmente contrassegnata dal n°528, passando a monte… di Monte Pana, immettendoci poi sulla forestale contrassegnata dal segnavia n°30. La giornata è spettacolare, cielo blu e poche nuvole, pascoli verdi e vette con ancora molta neve per essere metà giugno. Il bosco, pur se ripulito, mostra le ferite di Vaia, chissà quanti anni ci vorranno per rigenerare ciò che è andato perso.

Da Saltria in poi seguiamo esattamente il tragitto che ho seguito un paio di anni fa. Beh, con l’aiutino è decisamente tutta un’altra cosa. C’è persino il tempo per guardarsi intorno, anche sulle rampe più cattive! Cercando di non esagerare con la spinta extra, faccio quasi fatica a star dietro agli altri due, che salgono spediti.

Una volta svalicato, iniziano le raccomandazioni al giovane, che è un po’ spaventato dal fondo non proprio fenomenale delle prime discese. Scendiamo con prudenza, nonostante una piccola caduta Ettore se la cava egregiamente. Scendiamo veloci fino alla rinnovata Baita Lino Brach, dove ci fermiamo per pranzare, anche se non è ancora mezzogiorno. L’attesa è allietata da due giovani che suonano chitarra e flauto, un repertorio variegato che comprende anche “Libertango” di Astor Piazzolla, che io adoro.

Risaliamo in bici, passiamo il Micheluzzi, Baita Fraines… E ci troviamo la strada per Pian chiusa. L’ordinanza parla di lavori stradali che si protrarranno per tutta l’estate. Ecco perché la Hero questa estate è passata più sotto!!! Mentalmente impreco perché so cosa ci aspetta, e quel “cosa” non ho molta voglia di farlo in bici, e di farlo fare al figlio. Ma ci tocca, quindi…

“Ettore, scendi piano. Rallenta. Cavolo vuoi andare più piano che c’è una brutta discesa?!?!”

Arrivati alla “brutta discesa”, ci fermiamo entrambi (mentre Massimo prosegue). “Occazzo”. Ecco, appunto. La rampa che porta al ponticello sul torrente, poco prima di sbucare in paese, è tremenda. Stando ai tracciati Strava di chi ha fatto la Hero lunga siamo fra il 36% e il 40%. Per quello che ricordo, ha sempre avuto un ottimo fondo, ma il ghiaietto può renderla scivolosa, al punto che erano state legate delle corde al parapetto per agevolare i pedoni. La strada è stata migliorata grazie ad una gettata di cemento. La pendenza però è la stessa, e a fine discesa c’è una curva secca a sinistra e poi il passaggio sul ponte (un “drittone ” qui si paga caro). Io ed Ettore la facciamo a piedi, mentre Massimo, che ci ha preso gusto, sale per fare il bis.

Arrivati a Campitello, ci portiamo in sinistra Avisio e risaliamo la valle fino a Canazei, proseguiamo fino a sbucare sulla statale. Svoltiamo a sinistra e scendiamo fino alla rotonda, svoltiamo verso Passo Sella e, al primo tornante, svoltiamo a sinistra.

Ci portiamo lungo il torrente che scende dal Lupo Bianco, alla ricerca della forestale contrassegnata col n°655. Risaliamo così lungo la “pista di rientro”, caratterizzata da ottimo fondo, pendenze non impossibili ( è comunque una pista da sci…) con alcuni strappi più impegnativi. La Val de Antermont è stretta, ma davanti a noi fa capolino il Piz Ciavazes.

La strada passa sull’altro versante della valle, con una ripida rampa raggiungiamo la statale. La percorriamo fino al Lupo Bianco, anche se volendo potremmo tagliare su sterrato, scendiamo sul piazzale sulla sinistra alla ricerca del segnavia 655. La forestale sale con rampe che si fanno più cattive mentre il panorama attorno a noi diventa sempre più maestoso, con le pareti del Gruppo del Sella che sembrano quasi avvolgerci. L’indicatore della batteria scende, nonostante le opportune attenzioni e il livello di spinta non elevato (scoprirò all’arrivo che la mia bici ha una batteria meno performante rispetto alle altre due), quindi salgo con calma, mentre il figlio prende il largo. Mando suo padre all’inseguimento, impresa che si rivela più difficile del previsto. Il ragazzo ne ha, santo cielo, e sta onorando la maglia!

Raggiungiamo così un prato costellato di fiori di armentara, un balcone naturale affacciato sulla val di Fassa, vista Marmolada e Ciampac, il Sella dietro e a sinistra: uno spettacolo! È un gioiellino nascosto… in bella vista: è lì sopra, ma non ci passi per caso, devi scegliere di passare di qui, di salire al Sella in bici o a piedi, ed è una cosa che raramente si fa.

Proseguiamo ancora, puntando verso il Rifugio Valentini. Abbiamo ancora circa 250m di dislivello da superare. L’ultimo tratto è ripido e sconnesso, riusciamo ad arrivare poco sotto al rifugio, poi io ed Ettore dobbiamo mettere giù il piedino. Il Sassolungo si staglia davanti a noi, maestoso. Svalicando lo sguardo si apre verso le vette della Val Gardena.

Scendiamo a passo Sella, stavolta riusciamo ad evitare il sentiero che porta a Baita Michl, portandoci, superando un torrentello e un po’di neve, sulla pista da sci. Scendiamo e ci riportiamo sul percorso n°657, che percorre forestali a servizio delle piste da sci, alcuni tratti sono ben tenuti, altri (soprattutto quelli più ripidi) sono caratterizzati dalla presenza di molti sassi. Non mancano nemmeno i tratti su pista, in picchiata sul prato facendo lo slalom fra residue chiazze di neve. Raggiungiamo Plan de Gralba e la statale, a Plan deviamo sulla ciclabile e raggiungiamo la piazza.

Il tempo di fare merenda e ci rechiamo in negozio per restituire le bici. Piccolo bilancio :

  • Non abbiamo usato i caricabatterie
  • Io ho restituito la bici con una tacca di batteria (l’ultimo tratto di salita del Sella l’ho fatto col terrore di dover spingere l’arnese in salita)
  • I due maschietti, che avevano un mezzo più performante, l’hanno restituito con due tacche.

Il negoziante “ah beh, allora avete pedalato!”. Si, abbiamo pedalato. Un po’ di fatica l’abbiamo fatta, e ci siamo divertiti un sacco.

Dati tracciato

  • Lunghezza: 45km 800m
  • Dislivello positivo: 1754m
  • Dislivello negativo: 1754m
  • Tempo in movimento: 4h20′
  • Tempo comllessivo: 6h35′
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Anello Col Raiser – Seceda

Una splendida giornata di sole, da non sprecare in nessun modo. Ne salta fuori un regalo di promozione per il mio giovane padawan: una escursione al Seceda, da cui si può ammirare uno splendido panorama a 360° su Dolomiti, Adamello, montagne austriache. Merita, anche per chi cammina poco (e prende la scorciatoia).

Mappa dell’area, sono evidenziati i principali punti di passaggio

Il giorno della pubblicazione dei tabelloni avevamo in programma la sperimentazione della E-MTB, ma il senior di casa stava poco bene, quindi decidiamo al volo di riconvertire la splendida giornata in chiave escursionistica. Il giovane però sembra riluttante a mettersi in moto…

E niente, prima vuol vedere la pagella.

Solo dopo aver scorso soddisfatto i voti sul computer e aver constatato “di pirsona, pirsonalmente” di essere stato promosso in seconda media, ci prepariamo ed usciamo. Destinazione: Seceda.

Ci dirigiamo a piedi verso Santa Cristina, percorrendo Streda de la Tieja e poi seguendo i cartelli per la stazione di valle della cabinovia Col Raiser.

L’itinerario

Le navicelle dell’impianto percorrono lente la valle a monte di Santa Cristina, sede del comprensorio sciistico Col Raiser-Seceda. La valle, con esposizione Sud, all’altezza di Pian de La Tieja, è piuttosto stretta, ma risalendo sopra pascoli e baite, si apre a ventaglio: verde e bellissima dai prati di Seceda a Col Raiser, più ad Est diventa un pochino più selvaggia arrivando al corso del torrente principale e alla zona del rifugio Firenze. Dietro, a far da cornice, le Odle, mentre guardando verso Est si erge imponente lo Stevia, con ancora parecchia neve nei canaloni che scendono a valle.

La conformazione dei versanti, che rende particolarmente “fotogeniche” queste vette, ha una origine prettamente geologica: gli strati di base, un tempo fondali marini su cui sono nati gli atolli corallini che hanno originato le dolomiti, sono inclinati verso sud e l’erosione ha fatto il resto: pascoli ondulati verso Gardena, che sul Seceda sembrano portare direttamente verso il cielo, ripide pareti tendenti a sgretolarsi verso Nord, dove c’è la Val di Funes. Il banco di dolomia dello Stevia, che si erge massiccio a chiudere la quinta verso oriente, è in sostanza una specie di altopiano i cui bordi settentrionali e occidentali si sgretolando, rendendolo accessibile agli escursionisti. E poi ci sono i “denti” delle Odle, che, pur dando il meglio lato Funes, anche verso Gardena svettano verso il cielo blu, in un certo senso materializzano i colori della bandiera ladina.

Sbarchiamo a Col Raiser, in un posto che è contemporaneamente stazione cabinovia, negozio per turisti, punto di ristoro con terrazza panoramica e hotel. È punto nevralgico per la pratica degli sport invernali, ma anche per le escursioni. Nel nostro caso, si tratta di un percorso ad anello da percorrere in senso orario, che ci porta al Seceda e da qui a camminare ai piedi della Fermeda fino a Malga Pieralongia, già meta di una escursione alcuni anni orsono, per poi far rientro a Col Raiser.

Ci avviamo lungo una forestale che, mantenendosi in quota, si dirige verso Nord. Ignoriamo le deviazioni per il Rifugio Firenze (segnavia n°2) e per Malga Pieralongia (4a), il nostro itinerario di salita prevede un primo tratto sul sentiero n°2, per poi svoltare a destra, poco prima del Rifugio Fermeda, sul n°1A, il passaggio per Baita Daniel. Successivamente, dovremo svoltare ancora a destra sul n°6, seguendo le indicazioni per Baita Sofie e Seceda.

La pacchia del sentiero in piano non dura molto, in fondo i punti citati sono lungo piste da sci, e ben sappiamo come sono le sterrate di servizio: ripide e con tratti pavimentati per non far slittare le ruote della jeep. Avranno pur effetto tonificante sui glutei, ma spaccano un pochino le gambe. Questo è l’unico difetto, perché il paesaggio è idilliaco: è un susseguirsi di pascoli, baite, laghetti, minuscole chiesette, sotto un cielo blu e terso. Il tutto, con una splendida vista che spazia dal Sella all’alpe di Siusi e, in mezzo, Il Sassolungo, il Catinaccio, il Molignon e i Denti di Terrarossa.

Dato che siamo partiti tardi, ci stiamo avvicinando all’ora di pranzo. Il tabellone a Col Raiser diceva che il Rifugio Seceda è chiuso, ma poco sotto c’è il Sofie. Lì ci fermiamo, un po’ accaldati. Il posto sembra un po’ fighetto ma ci sediamo (quello c’è, e la vista è incantevole). L’arrivo del menù si rivela però un tuffo al cuore e un attentato al portafoglio, si viaggia sulla soglia dei 20€ per un primo o per la polenta. E anche il tagliere di speck non scherza.

Dopo un attimo di smarrimento, ci consultiamo e decidiamo di prendere il tagliere doppio, con affettati formaggio e patate. Ecco, ci arriva una cosa apparentemente “innocua” se divisa in due e che invece porta quel pozzo senza fondo di mio figlio ad alzare bandiera bianca. Anche perché il tagliere ha un bell’aspetto, ma solo in un secondo momento mi accorgo delle patate nella terrina a parte. Due a testa, quelle rosse trentine, lessate, su cui mettere il burro. Tutto buonissimo, direi, per un prezzo onesto.

Ripartiamo e percorriamo l’ultimo tratto di sentiero che ci porta alla stazione di monte dell’impianto che da Ortisei porta al Seceda. Da qui, 10 minuti su uno sterrato un po’ sconnesso e si arriva al belvedere. Ecco, a costo di farla strisciando, anche chi non cammina e sale in funivia deve arrivare fino qui. Il paesaggio dalla cima è qualcosa di impagabile. Il nastro in acciaio corten posizionato attorno ad una piazzola riporta stilizzato il profilo delle montagne e il nome delle vette: Ferméda, Sass Rigais e poi, tutto attorno, Stevia, Sella, Sassolungo, Sciliar e, più lontano, il Gruppo dell’Adamello, il Brennero, le Alpi Austriache… Sotto di noi, verso nord, ci appare la verdissima val di Funes. Il tutto praticamente senza una nuvola.

Si, cioè, quasi… Sopra alle Pale di San Martino, che si scorgono in lontananza, si sono date appuntamento le poche nuvole presenti.

A disturbare la quiete della vetta, il fastidioso ronzio di un drone, che riusciamo ad individuare con parecchia fatica…e che ci accompagna anche per un tratto della discesa. Pure qui la privacy va a farsi benedire…

Scendiamo dalla vetta per imboccare, all’altezza del Rifugio Seceda, il sentiero n°1, che scende dolcemente sul parato, puntando verso Est, per poi farsi un po’ più ripido. Qui sono stati posati elementi in cemento per preservare il fondo, ma, notoriamente, l’acqua se non ha un passaggio se lo crea, quindi ai lati del sentiero si è scavata dei solchi, che in alcuni punti hanno causato lo spostamento e la rottura degli elementi di pavimentazione. Dopo il bivio per Baita Toier, il sentiero cambia denominazione (segnavia n°2) e scende ancora, passando ai piedi delle guglie delle Odle, aggira uno sperone erboso per giungere a Baita Pieralongia, ai piedi della Fermeda di Sotto. Questo posto Ettore se lo ricorda bene: quando siamo stati qui la prima volta tirava un vento allucinante, inoltre, preso dai morsi della fame, ha assaggiato lo speck per la prima volta, ed è scoppiato l’amore…

Imbocchiamo lo sterrato 4A, che, attraversando pascoli verdi, ci porta verso sud, ad intercettare la strada percorsa la mattina. Da qui, mantenendoci in quota, torniamo a Col Raiser.

Ammiriamo ancora qualche minuto il panorama, prima di riprendere la cabinovia per tornare a valle.

Dati escursione

  • Distanza: 8km 700m (partenza e arrivo a Col Raiser)
  • Dislivello: 410m
  • Tempo in movimento: 2h 45′

Puoi trovare il tracciato sul mio profilo Strava

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Hero kids 2019

Venerdì 14 giugno, nel pomeriggio, uno stuolo di bambini fra i 4 e i 12 anni si è riversato per le strade di Selva, per scoprire il piccolo eroe che ognuno si porta dentro e che chiede solo di essere svelato. Anche questo anno i percorsi previsti sono stati tre

  • 4-5 anni: percorso 800m
  • 6-8 anni: percorso 2,3km
  • 9-12 anni: percorso 3km

I più grandicelli hanno l’opportunità di cimentarsi con la discesa finale della Hero “dei grandi” prima di portarsi all’arrivo.

kids 2019

I tre percorsi di gara

Vedere questi ranocchietti vestiti (quasi) tutti uguali, pronti scalpitanti al via e poi lanciati per le strade di Selva, pedalando o spingendo la bici, è sempre uno spettacolo.

E alla fine, festa e merenda per tutti. Perché è una festa, non una gara. L’unico premio (una bici nuova fiammante) è ad estrazione.

E il prossimo anno (se papà avrà ancora voglia di soffrire sul percorso medio) verremo ancora, col nostro marmocchio.

Faccio solo un appello agli organizzatori: le misure delle magliette andrebbero riviste. La massima è una 152, e ai più grandicelli va corta.

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La Hero secondo Max

Sole, caldo (quando va bene, perché se fa brutto sono cavoli amari), panorami splendidi, salite bastarde, discese godibilissime e tratti tecnici che ti costringono ad andare a piedi, sterrato, single track…e crampi.

Tutto questo è la Hero, soprattutto per i “bisonti” che partono dalle ultime griglie.

Ecco il filmato girato dall’Hero di casa. Peccato che a Pian Schiavaneis, oltre alle gambe di Massimo, abbia dato forfait anche la batteria del “baracchino”.

L’ultimo tratto l’ho fatto io il giorno successivo, come rientro da Passo Sella (Clicca qui per il post, con video).

Buona visione!!!

 

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Il trenino della Val Gardena

Per puro “caso” (si, insomma, stavo smanettando con un mio video girato in Val Gardena), youtube ha inserito fra i video consigliati questa chicca.

Si tratta di un video degli anni ’50, con protagonista assoluta la ferrovia della Val Gardena, della quale avevo parlato qui.

E’ interessante anche la storia di questo video, raccontata nella didascalia e nei commenti dall’utente che ha caricato il video.

Buona visione!!!

 

 

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Anello Selva – Passo Sella. Video

Ecco qui il video del percorso ad anello che consente di raggiungere Passo Sella e Città dei Sassi da Selva di val Gardena.

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Attorno alla Roda

Panoramica dallo Stalòn de Vaèl

Allora: posso finalmente dire che ho trovato un compare di escursioni che, pur non essendo (ancora) all’altezza di quello che piace fare a me, anche se quanto ad altezza fisica manca poco, mi tiene un po’ a freno impedendomi di zompettare qua e là più di quanto consentito dalle ginocchia malandate.

Si, insomma… posso finalmente contare sul figlio, che ora ha nove anni e un passo più che discreto, per non andare sempre in giro da sola.

E dove posso portare un bambino curioso alla scoperta del mondo dolomitico? Attorno alla cresta del Majaré e alla Roda di Vaèl!!!

Già, perché qui di che chiacchierare mentre si cammina ce n’è, dall’origine delle dolomiti (su cui a momenti tiene lezioni lui a me), ai fossili che si possono trovare nelle formazioni su cui sono nate le dolomiti, alle dis-avventure mie di quando, sedicenne, ho fatto l’ascensione di fine corso di arrampicata a Torre Finestra. Oltretutto il tratto dal Rifugio Paolina al Roda di Vaèl è una vita che non lo faccio, quindi…

Quindi si pianifica la giornata in montagna, orario dei mezzi alla mano: qui l’auto la si sposta solo se necessario, e visto che partenza e arrivo non coincidono… si va col bus.

Dalla carta Tabacco 06 – 1:25000 (è un po’ vecchia è vissuta…)

Scelta del percorso

Dunque: tenendo come fissi il Paolina e il Ciampedie, facciamo da Est a Ovest o il contrario?

Diciamo che la logica vorrebbe partenza dal Ciampedie e ritorno dal Paolina, per sfruttare meglio la mattina facendo pausa pranzo sotto alla Roda, d’altra parte facendo così, in caso di peggioramento del tempo, correremmo il rischio di scendere in seggiovia sotto la pioggia (e non è mai un gran divertimento). Ma ciò che fa propendere per percorrenza Ovest-Est è una questione… ehm… pratica: al Ciampedie c’è il parco giochi, e partire da lì è un bel casino. Meglio arrivarci, e al limite fermarsi lì prima di scendere (ovviamente, ometto la trasmissione di questo mio ragionamento allo gnomo).

Quindi ci organizziamo, partenza in bus da Soraga e cambio a Vigo, direzione Carezza, e la fermata è accanto alla partenza della seggiovia per il Paolina. L’attesa della coincidenza è allietata dalla vista sulle vette circostanti.

Roda di Vaèl e Majaré da Vigo

L’escursione

La seggiovia ci porta al Rifugio Paolina (2125m) passando sopra verdi prati che, in inverno, si trasformano in piste da sci; alcuni contadini sono impegnati qui nel taglio dell’erba con mezzi che, dalle mie parti, non si usano più nemmeno per l’erba del giardino. D’altra parte, le pendenze non consentono l’impiego di mezzi di dimensioni maggiori. Incuneato fra i prati c’è anche un campo da golf, disegnato in modo da sfruttare la pendenza del versante. Mentre ci avviciniamo alla cresta del Majaré, la vista si apre accanto a noi sul Latermar e, alle nostre spalle, sulla Val d’Ega e verso Bolzano. Purtroppo la foschia e le nuvole all’orizzonte nascondono alla vista le vette innevate dell’Adamello e dell’Ortles, che da qui sono visibili nelle giornate limpide.

Il Latemar

Verso la Val d’Ega

Dal rifugio imbocchiamo il sentiero in direzione Rifugio Roda di Vaèl (n° 539) che ci fa prendere quota, con una manciata di gradini, fino ad intercettare il n°549, che “circumnaviga” il Catinaccio fra i rifugi Fronza e Roda. Siamo indicativamente all’altezza del monumento a Christomannos, personaggio chiave per lo sviluppo del Turismo nel Sud Tirolo e nelle Dolomiti, e “papà” della cosiddetta “Strada delle Dolomiti”. L’aquila in bronzo è ben visibile lungo il sentiero, appollaiata sopra uno sperone roccioso a circa 2300m, dominante il Passo di Costalunga.

Monumento a Christomannos

Il sentiero ora si snoda agevole, pressoché in quota, aggirando la parte terminale della Cresta del Majaré (qui termina la ferrata omonima), mentre la vista si sposta ora verso Moena e la sovrastante valle verso il San Pellegrino, e, man mano che si procede, verso il Buffaure, la Marmolada, Il Gruppo del Sella. Avvicinandoci ai rifugi Roda di Vaèl e Pederiva compaiono alla nostra vista anche il Larsech, la cresta delle Cigolade e i Mugoni, mentre il pargolo, sollevando lo sguardo dal sentiero, si lascia scappare un sonoro

Wow!!!

Arriviamo così alla nostra prima tappa (2280m circa), e approfittiamo del fatto che siamo arrivati presto per ordinare il pranzo prima che arrivi la “folla”. Mangiamo così con vista sulla Roda di Vaèl e sulla Torre Finestra, lastrone di roccia il cui foro, nelle giuste condizioni di luce, è visibilissimo anche da fondovalle.

Il rifugio Pederiva e, seminascosto, il Roda di Vaèl

Rifugio Roda di Vaèl

Rifugio Pederiva

Con lo sguardo verso il Sella

Ci sediamo poi sul prato, guardandoci intorno e scattando qualche foto. In quel momento suona il telefono. E’ il mio compagno, che, nel frattempo, è andato a fare un giro in mtb.

Senti, ma…. Hai tu le chiavi di casa?

(attimo di panico… il moroso è chiuso fuori di casa)

Cazzo, si, le ho io… mi sono dimenticata di lasciartele. Solo che non riesco mica ad essere giù prima di due ore e mezzo-tre…

La stima è fatta ad minchiam, senza considerare l’eventuale attesa del bus.

Non preoccuparti, finite tranquilli il giro.

Certo, fossi da sola potrei anche scendere diretta verso Vigo, ginocchio permettendo, ma se faccio fare al bambino 800m di dislivello in discesa di corsa, come minimo mi disconosce come madre…

Torre Finestra e Roda di Vaèl

Paolo Fresu in concerto con Musega de Poza, 29/07/2018 – www.lausc.it

Il sentiero verso il Ciampedie

A quel punto ci rimettiamo in moto lungo il sentiero 545. L’inizio è ostico, nel senso che il dislivello che separa i rifugi dal sottostante Stalòn de Vaèl è di circa 250m, e il primo tratto di sentiero è molto ripido ed inciso dall’acqua. Arrivati nell’ampia conca erbosa però si procede agevolmente, con una splendida vista sulle cime che ci avvolgono, come se si trattasse di un teatro naturale.

E proprio questo scenario naturale è stato sfruttato anche per spettacoli in alta quota. Ad esempio, nell’ambito de “I suoni delle Dolomiti” a fine luglio in questa zona si è tenuto un concerto con Paolo Fresu e la banda Musega de Poza (nel link il video). Ecco, Fresu è uno degli artisti che spesso si esibiscono in quota, e purtroppo non sono ancora riuscita ad assistere ad un suo concerto…

Si scende lungo una forestale, a tratti ripida, fino alla malga Vaèl, da qui si procede ulteriormente seguendo i segnavia (attenzione, perché la vecchia strada non è più percorribile) e, dopo il torrente, si segue un sentiero ben segnalato che si addentra nel bosco.

Qui si procede per un primo tratto in salita e poi ci si mantiene in quota, dapprima nel bosco, successivamente si percorre una zona piuttosto scoscesa caratterizzata dalla presenza di speroni di roccia fittamente stratificata e parecchio fratturata, che forniscono l’occasione per un piccolo ripasso di geologia…

Occhio ai sassi…

Si rientra ancora nel bosco, che a tratti, si fa meno rado, finché non si sbuca sulla pista da sci che scende verso Vigo.

A lezione di geologia

La si attraversa e si riprende nuovamente il sentiero. Ma manca poco: percorso un breve tratto si intravede la sottostante sterrata, si scende e ci si ritrova a percorrere il primo tratto della pista Thoni. Si passa fra due rocce e si costeggia il rifugio Negritella. Si alza lo sguardo ed eccolo lì, il Ciampedie, la terrazza sul Catinaccio.

Il Ciampedie

Verso il Vajolet

Visto il casino combinato con le chiavi, non possiamo goderci più di tanto il panorama (e nemmeno usufruire del parco giochi). Ci avviamo quasi subito verso la funivia, alla ricerca del primo bus utile per tornare a casa (col capo cosparso di cenere).

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Anello Selva – Passo Sella

(Un ritorno da Hero)

Sbagliando strada ai piedi del Sassolungo

La lavagna degli eroi

Non so se si può considerare una routine ormai assodata, ma se il venerdì è dedicato al “kid”, il sabato al nostro “Hero”… la domenica si svolge la “Hero schiappa”, ovvero sono io a salire in sella alla mia mtb e a cimentarmi sulle salite della Val Gardena.

Lo scorso anno, complice una giornata strepitosa, ero andata all’Alpe di Siusi. Stavolta decido di cimentarmi con la salita al passo Sella, e ritorno dal percorso medio della Hero, ben consapevole che se devi percorrere una forestale che segue, anche solo parzialmente, una pista da sci…vuol dire che stai cercando guai.

La mattina facciamo colazione e liberiamo la stanza (o meglio, il mini appartamento) del garni “Ortles Angelo” che abbiamo scelto questo anno. E, come noi, anche gli altri ospiti sono qui per la Hero, come ricorda la lavagnetta appesa alla reception. Inforco la mia bestiola, che non è certo all’altezza delle bici che erano parcheggiate sotto casa in questi giorni, ma a me va bene così… in fondo il mio problema non sono certo i kg della bici, sono quelli che mi porto appresso abitualmente (oltre al pessimo allenamento). Mi “incammino” verso Plan de Gralba.

Planimetria

Profilo

Il percorso

Percorro la statale, con molta calma, percorrendo i pochi tornanti che portano verso il bivio fra Passo Sella e Passo Gardena. Il termine “calma” è decisamente ironico. Sono una vera e propria lumaca. D’altra parte il tempo per allenarmi è pressoché assente, e pensare che mi hanno spedito a lavorare in Liguria, quindi potrei anche spaccarmi un po’ sulle salite dell’entroterra. Potrei, ma non posso, perché non mi sono portata la bici, dubito accettino di custodirmela al Novotel…

Vabbé, lasciamo perdere, ora sono in ferie e mi godo la salita, mentre mi sorpassano tutti quanti, auto e ciclisti, e il panorama pian piano si allarga verso valle, e le pareti del Sassolungo e del Sella iniziano ad incombere su di me.

Salendo a Plan de Gralba – Uno sguardo verso le Odle

Arrivata a Plan de Gralba devio a destra e, da qui, passo sullo sterrato. Questo è un posto strategico per la stagione invernale, perché da qui partono gli impianti che servono le piste di Passo Sella (è sul Sellaronda, giro in senso orario). Ed è proprio lungo una di queste piste che devo salire.

Il segnavia da seguire è il 657. Mentre pedalo verso l’inizio della forestale, l’occhio mi corre sull’ampio parcheggio, e noto con piacere che ci sono alcune colonnine di ricarica per auto elettriche. Molto bene, il vento sta cambiando. E se, oltre a quello, calano un po’ anche i prezzi delle auto, quando la Picanto deciderà di passare a miglior vita potremmo anche fare il grande salto.

La salita inizialmente è dolce, il fondo ottimo. La parete del Sella si mette in mostra sulla sinistra, e lo sguardo fatica ad abbracciarla tutta. La sterrata, che corre approssimativamente parallela alla statale, si mantiene sulla sinistra della pista da sci, e comincia a bastonarmi alternando tratti pedalabilissimi a strappi dove fatico, e la ruota posteriore tende a slittare.

Ad un certo punto devo mettere giù il piedino per non cadere. Spingo ansimando la bici, mentre un tizio mi supera i scioltezza (beato lui…). Sto per risalire in sella in corrispondenza di un tratto tranquillo, ma mi fermo perché lo vedo seguire una traiettoria strana: lì, ai piedi di uno strappo che si preannuncia bastardissimo, una forestale si stacca deviando a destra, mentre quella su cui siamo va via dritta. Il tipo, dopo aver cambiato più volte direzione, sembra puntare alla bisettrice dell’incrocio. E sale lungo il prato che ricopre la pista, lungo la linea di massima pendenza.

Questo è tutto matto!

Penso io, mentre rimetto le chiappe sul sellino. Pedalo, cambiando il rapporto perché vado via tranquilla. Riscalo all’inizio della salita. Scalo ancora perché è dura, e la ruota pattina, mentre io ansimo e smadonno.

Niente, mi arrendo.

Mi sposto sul prato, risalgo, pedalo. E vado, con il cuore in gola ma vado. Ecco, non era matto, il tizio di prima. Aveva semplicemente ragione. Anche se l’erba non è cortissima, anche se il fondo qualche solchetto ce l’ha, almeno qui la ruota non slitta, e si riesce ad andare.

Salendo oltre, la strada è bella, complessivamente pedalabile, anche se di tanto in tanto viene qualche dubbio sulla direzione da seguire, perché dove si incrociano altre forestali le indicazioni scarseggiano, o sono messe in posizione tale da trarre in inganno. E questo presenta aspetti positivi e negativi. Come? Ora mi spiego.

Salendo incrocio una forestale, che sale leggermente verso sinistra. Mentre guardo la strada non mi accorgo di un cartello, che è alcuni metri più in basso rispetto all’incrocio. Che faccio, quindi? Seguo la forza, e svolto a sinistra. Dopo la curva successiva mi trovo davanti una rampa ripidissima, di quelle con le due fasce di fondo cementato per agevolare la salita dei fuoristrada, e in mezzo alle due fasce, ciottoli. Comincio a smadonnare, ad arrancare, la faccio quasi tutta mentre mi vengono in bel po’ di dubbi.

Non è che mi sto avvicinando troppo alla statale?

Infatti… in cima trovo la sbarra che chiude l’immissione sulla statale per il Sella. Torno indietro, e mi accorgo del cartello che prima mi era sfuggito.

No, dai, sulla pista da sci no…

Voglio illudermi, spero di aver interpretato male il cartello, o che qualcuno lo abbia inavvertitamente fatto ruotare un po’. Allora provo a seguire la sterrata verso destra (rispetto alla strada da cui sono arrivata. Da qualche parte si andrà… E mi trovo, dopo poco, in mezzo a un gruppo di baite, fra ruscelli e laghetti, sotto la parete del Sassolungo. Pace, silenzio. Un posto bellissimo, dove non sarei mai passata se la segnaletica fosse stata più chiara, se non avessi sperato fino all’ultimo di evitare qualcosa di veramente tosto. Purtroppo però la strada qui finisce, e mi rassegno a tornare, nuovamente, su i miei passi e ad affrontare ciò che speravo di evitare.

Sassolungo

Baite ai piedi del Sassolungo

Baite ai piedi del Sassolungo

Risalgo la pista da sci.

La pista in questione è un prato ripido; niente sterrato, stavolta. Probabilmente c’è chi se la fa in bici in discesa, a tavoletta, perché c’è una sottile striscia priva di erba. E, da sotto, si capisce che ci sono 2-3 muri (spero non di più) separati da tratti meno… stronzi. Oltre il mio sguardo non vede. Mi affido a San Fausto Coppi e comincio a salire lungo la linea di massima pendenza.

Il primo tratto lo faccio a fatica. Mi ripiglio un attimo e faccio il secondo. Tiro su la testa, vedo il terzo.

Minchia… Non ce la farò mai.

Il terzo (e ultimo), oltre ad essere ripido è pure il più lungo. Rimango ferma un attimo, come a cercare delle energie che non ci sono, e poi provo. Ne faccio circa 3/4 e poi alzo bandiera bianca, stramaledendo la mia totale mancanza di allenamento.

Ruzzo la bici fino in cima, e qui tutto diventa più abbordabile, Lo sterrato sale dolcemente, serpeggiando fra prati e qualche grosso sasso, fino ad un punto di ristoro. Qui parte la caccia al segnavia, che scovo sulla destra della baita. Ah, dimenticavo: qui lo sterrato finisce. Il resto è sentiero, lungo il quale si alternano tratti ripidi e sconnessi da fare a spinta con altri nei quali si procede agevolmente, o quasi. Siamo ai piedi della cosiddetta Città dei Sassi, ciò che è rotolato fin qui ha volume nettamente minore rispetto ai macigni che si trovano più a monte (su alcuni ci sono tracciati dei monotiri e sono frequentati da corsi di arrampicata) e l’ultimo tratto lo percorro in sella, facendo lo slalom e sbucando così in corrispondenza del Rifugio Passo Sella.

Da Passo Sella verso la Val Gardena

Mi porto sulla statale che sale al passo, ne percorro un breve tratto fino al bivio per il rifugio Valentini, vista Marmolada. Qui svolto a destra, in cima imbocco un single track che si fionda verso le piste da sci: da questo punto sono sul percorso della Hero (medio, ovviamente). In fondo però tocca affrontare un breve strappo per giungere sulla sterrata della Città dei sassi, ai piedi del Sassolungo. Da qui. la vista sul Gruppo del Sella è impagabile. Si procede mantenendo la quota pressoché costante, per arrivare ad un tratto di discesa con un passaggio tecnico, dopo il quale la strada si ricongiunge col sentiero che arriva dal Sella (526).

Si giunge così fino al rifugio Comici, con lunghi tratti in discesa o valsopiano e qualche strappetto in salita (quello più antipatico è proprio davanti al rifugio). Archiviata la giornata dedicata alle mtb, gli escursionisti sono giustamente tornati padroni dei sentieri, però quando ti trovi davanti la famigliola proprio nei punti più ripidi, suoni il campanello e non ti sente nessuno, mettere giù il piedino fa un poco girare i cosiddetti.

Arrivati al Comici, si svalica svoltando a sinistra, e qui comincia la picchiata verso Selva. Oddio, non è mica solo discesa…

Inizialmente si imbocca una ripida forestale, poi si taglia a sinistra per pascoli, con la bici che ballonzola per le irregolarità del terreno, in mezzo alle mucche che pascolano pacifiche, successivamente si segue, per buona parte del tragitto, una forestale indicata dal segnavia 22. Io sarò anche scarsa, ma la discesa non mi pare banale. Riguardandomi, successivamente, il video della discesa della vincitrice, scopro che qui lei ha sbagliato traiettoria e per poco non si è ribaltata nel torrente.

Si passa accanto alla partenza di una seggiovia, e poi giù per un ripido muretto, e poi, lungo una forestale nel bosco, con alcuni tratti parecchio sconnessi e sassosi, che mi spingono a fare una cosa che di solito non faccio, per pigrizia e per un problema tecnico alla bici: abbasso drasticamente il sellino, perché la sensazione di essere catapultata in avanti è veramente fastidiosa. E io il sellino lo tengo parecchio alto, in rapporto ai miei pochi cm, per non sforzare il ginocchio. Però per me modificare la posizione del sellino significa “uscire” la chiave inglese dalla borsa degli attrezzi, perché il meccanismo di blocco del canotto non tiene, e il mio meccanico di fiducia (il moroso) non me lo ha ancora sistemato. Insomma, una scocciatura che pago più avanti, quando la strada risale per attraversare la mitica Saslong (si, proprio quella della Coppa del Mondo).

Si ricomincia a scendere nel bosco, si attraversa la Saslong V1 (credo sia il tracciato originario) e il prato a monte di La Selva, si scende a piombo su asfalto per poi svoltare bruscamente a sinistra, lungo il viottolo che passa a monte della strada che da La Selva porta verso il centro. Anche qui è prevalentemente discesa, a parte un breve tratto, e lo sterrato si conclude, con un brusco tornante, sbucando sulla strada accanto all’ufficio postale e alla Casa di Cultura.

Da lì, all’arrivo è un attimo. Basta attraversare la strada…

Dati tecnici

Lunghezza: 17km 500m

D+: 835m

D- :  878m

Postilla

Di questo giro ho il video. Il primo tentativo di fare assemblaggio e pubblicazione ha dato pessimi risultati. Appena riesco rifo tutto…

Reloaded

Ecco il video

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Ai piedi del Sassolungo

Dove si può andare a fare un giro in montagna a portata di bambino ma con un bel panorama, partendo da Selva di Valgardena senza muovere la macchina perché in paese è tutto bloccato causa Hero?

Il percorso seguito è quello evidenziato in verde (da http://www.alpenwelt-kunden.com/www/kunden/tvb_groeden/)

La risposta è abbastanza facile: città dei sassi!!! Ovvero, una passeggiata tranquilla ai piedi del Sassolungo, dalla stazione di monte della cabinovia Ciampinoi fino a passo Sella e ritorno, così vediamo passare i bikers che si cimentano col percorso medio…e se, non ci mette troppo a fare il giro, becchiamo pure il capofamiglia sulla strada del ritorno. E l’escursione sotto il punto di vista tecnico è decisamente facile, bisogna solo sperare che non ci sia vento.

Il 16 mattina ci svegliamo con un sole spaziale. Quando io e il pargolo ci prepariamo per la nostra escursione, papà Massimo è già uscito da un pezzo. Mentre usciamo direzione stazione di valle della cabinovia, lancio uno sguardo all’orologio:  è più o meno l’ora della partenza del nostro Hero, che, dalla griglia numero 14, si appresta ad affrontare la salita per Dantercepies. Noi intanto scendiamo tranquillamente da Pian verso il paese seguendo il torrente, passando cioè dal parcheggio dei camper. Intanto un’occhiata verso il Sella la lancio: pare non ci sia vento, per fortuna.

Dopo aver provato inutilmente a raggiungere la Ciampinoi passando dal prato (ma di lì mi sa che si passa solo d’inverno), ci riportiamo sulla strada ed arriviamo alla cassa. Davanti a noi, alcuni bikers stanno facendo i biglietti. la cabinovia infatti consente di prendere quota con la due ruote, per poi affrontare il percorso di freeride o percorrere i sentieri ai piedi del Sassolungo, con  senza “aiutino” elettronico: già, perché le e-bike a ruote grasse prendono sempre più piede, per le possibilità che offrono. Il mio figliolo intanto, dall’alto delle sue due partecipazioni alla Hero kids, fa il piccolo integralista:

No, a me le bici elettriche fanno schifo. In bicicletta bisogna pedalare

Caro mio, aspetta che mamma ti porti questa estate a fare qualche giro…poi vediamo se la vedi ancora così…

Verso le Odle

Con la cabinovia superiamo i circa 700m di dislivello che portano ai 2250 della stazione di monte. Da qui il panorama si apre verso lo Sciliar e l’Alpe di Siusi, sulla la Val Gardena verso le Odle, Passo Gardena, il Gruppo del Sella e il Sassolungo. Ed è da qui che si parte per immettersi sulla Saslonch (vecchia o nuova, a seconda dei gusti), per provare il brivido della discesa a fionda lungo la pista dei campioni. Ecco, il “si parte” e generico: fate pure, io vi guardo dal bar 😀 . E mica solo loro… pure i ragazzi che si buttano col parapendio li osservo, ma da lontano. Deve essere bellissimo, per carità… ma anche no. Io i piedi li tengo ben attaccati a terra.

Sciliar e Alpe di Siusi

Dopo le foto di rito cominciamo a scendere. Seguiamo il segnavia 21, che ci porta, con qualche “tornante” in mezzo al pascolo, ad una selletta (Sela Tieja). Da qui, svoltando a sinistra si scende a Pian de Gralba, noi invece andiamo dritto lungo il 21A, passando ai piedi del Piz Sella (da non confondersi con il Sella, quello vero, che domina l’omonimo passo e la strada che sale da Selva).

Gli elicotteri Rai stanno sorvolando la zona da tempo, e ora ne vediamo uno abbassarsi: guardiamo sullo sterrato sottostante e vediamo due persone in mtb che scendono a precipizio, quella davanti ha una divisa rossa. L’elicottero li segue per un pezzo, riproducendo, lungo un invisibile sentiero sospeso, le curve seguite dai due ciclisti, ovvero Christina Kollmann-Forstner, vincitrice della Hero 60km femminile, e l’operatore video.

Rifugio Comici, al cospetto del Sassolungo

Bottger, con numero 14.

Mentre proseguiamo, altre mtb si apprestano ad affrontare la discesa, e quando arriviamo ad incrociare il 526 dobbiamo prestare attenzione. Saliamo i pochi metri che ci portano al rifugio Comici, punto di osservazione straordinario per veder transitare le campionesse e i maschietti che hanno deciso di cimentarsi su questo percorso, che è già ben bastardo di suo.

Wittlin, col numero 98.

In particolare, proprio davanti al rifugio c’è uno strappo che fa rallentare i bikers, creando così le condizioni ideali per fare foto e qualche filmato (e per fare il tifo, ovviamente). E il luogo ideale per l’appostamento diventa l’incrocio del sentiero, dove il tracciato di gara devia per scendere verso Selva.

Ci fermiamo un po’ qui, poi ci rimettiamo in marcia lungo il sentiero 526, con l’orecchio ben teso e l’occhio all’erta, per poterci scansare per tempo all’arrivo di qualche atleta. E, da pseudo ciclista che non può certo definirsi “atleta”, devo dire che fa impressione la reattività con cui affrontano questi strappi, pur con 3200m di dislivello nelle gambe. E capisco ancor di più le parole della padrona di casa, che ci ha raccontato di esser salita a Dantercepies, qualche anno prima, e di essere rimasta impressionata proprio dalla velocità

Noi così non andiamo nemmeno in discesa

Superato il punto critico, dove il sentiero compie frequenti curve e la presenza degli alberi copre la visuale, possiamo camminare più tranquilli, perché lo sguardo corre libero verso lo sterrato che corre a monte della città dei Sassi, e se arriva qualcuno ce ne accorgiamo per tempo.

Camminiamo così sotto un sole caldo, con un clima ottimale per fare una passeggiata, passando ai piedi di un gruppo montuoso (il Sassolungo-Sassopiatto) che per me è il simbolo delle dolomiti al pari del Vajolet: perché è caratteristico, è visibile da molte valli laterali di Fassa e Gardena e, ad ognuna di esse, offre un aspetto diverso del suo “carattere”. Ed è il protagonista indiscusso di una delle immagini icona della Val di Fassa, ovvero la foto del laghetto della casa cantoniera (che, per la cronaca, campeggia nel puzzle appeso nel soggiorno di casa di mia madre).

Gruppo del Sella

Genziana

E così, con il Sassolungo sulla destra e la vista dell’imponente Gruppo del Sella sulla sinistra, arriviamo ad un bivio. Noi prendiamo il sentiero più basso, così non siamo di impiccio ai bikers e ci godiamo il proseguimento della passeggiata. Mentre il figlio comincia a borbottare perché ha fame, saliamo leggermente su un agevole sentiero che attraversa il pascolo fino a raggiungere una recinzione. La passiamo, e proseguiamo lungo un sentiero che si fa via via più stretto.

Arriviamo all’inizio della Città dei Sassi, ovvero un’area caratterizzata dalla presenza di massi erratici… che hanno errato ben poco, essendo caduti dalle sovrastanti pareti del Sassolungo. Sono di dimensioni molto varie, alcuni sono sufficientemente alti da poter essere usati come palestra di roccia, e proteggono il suolo a sufficienza da consentire la crescita ad alcune conifere.

A questo punto cedo, ed “esco” il panino che mi ero portata da casa. Il pargolo infatti si è fatto un po’ troppo lagnoso, e ormai la promessa di un piatto di pasta al rifugio non è sufficiente a tenerlo buono. Facciamo quindi un pre-pranzo vista Sella, e tutte le volte che lo guardo penso a quanto siamo piccoli noi rispetto alla natura, alla sua forza, perché ce ne vuole, di forza, per sollevare di 3000m un atollo corallino di milioni di anni fa…

Gruppo Sassolungo-Sassopiatto dalla Città dei Sassi

Le vette del parco Puez-Odle dalla Città dei Sassi

Proseguiamo facendo lo slalom fra i macigni e sbuchiamo in prossimità del Rifugio Passo Sella. Questo, più che un rifugio di montagna, sembra un locale trendy per la borghesia milanese, quindi impongo all’erede di andare a mangiare al baretto sull’altro lato della statale. Qui però scopro che il menù offre panini, salamelle e cose decisamente strong per i nostri stomaci, e non c’è la pasta, quindi ritorniamo sui nostri passi e ci sediamo al rifugio. Devo dire che la mia scelta si è rilevata ottima, ho preso una crema di patate e rafano con la menta, mentre per la pasta al ragù del figlio non c’è nemmeno da chiedere, vista la velocità con cui è sparita dal piatto.

La Marmolada fa capolino dietro la cresta erbosa

Le Torri del Sella e il Sass Pordoi

Ci riavviamo sulla strada del ritorno, mentre mandiamo un messaggio al “nostro” alle prese con le salite (e le discese) del Sellaronda. Chissà dove caspita è? Sarà riuscito a passare in tempo dai vari cancelli? Se non si è ancora fatto vivo, il Campolongo lo ha passato, magari è ad Arabba….

Rododendri

Ci riportiamo lungo il tracciato di gara, e ora chi passa lo fa in modo decisamente meno…ehm… “baldanzoso”. Gente di tutte le età, di tutti i sessi, di tutte le “forme”. Ci fermiamo a fare un po’ di tifo, e arriva un signore che tira sui 60.

Bravo! Forza che fra poco è tutta discesa!

Eh, quando non ce n’è più, non ce n’è più….

Guardi, noi stiamo aspettando il mio compagno, che arriverà fra un’ora, non meno…

Ecco, il tempo stimato da me si è poi rivelato un po’ troppo ottimistico, ma qui ci arriviamo dopo…

Gente strana…

Torniamo così al Comici, e ci prepariamo ad aspettare, dandoci come tempo limite le 16.30 (la cabinovia chiude alle 17.30), nel frattempo ci dissetiamo, ci lustriamo gli occhi guardando le vette circostanti, vediamo gruppi in supporto di amici e parenti scrutare l’orizzonte alla ricerca di una mtb arancione, di una divisa rossa… e guardiamo incuriositi i personaggi pittoreschi che si aggirano in prossimità del bar. Il tutto con un clima gradevolissimo, trovare qui 22° alle quattro del pomeriggio, a metà giugno, non è che capita proprio tutti i giorni.

Aspetta che ti aspetta, mentre le facce che transitano davanti al Comici sono sempre più stravolte e si rischia qualche tamponamento fra chi si sforza di farla in sella e chi proprio non ce la fa, e in salita scende e spinge la bici, cominciamo a raccattare zaini e cappellino. Si, insomma, non proprio: il cappellino della Hero di Ettore non si trova.

Ma dove lo hai lasciato?

Boh?

‘nnamo bene!!! Torna indietro e fai il giro al contrario!

Fortunatamente una signora ci sente brontolare e viene in nostro soccorso, e il cappello lo recuperiamo. Manca solo il capofamiglia. E arriva un sms

Sella!!!

Ok, è ancora vivo, ma noi dobbiamo scendere, altrimenti ci tocca la pista da sci a piedi. Ci rimettiamo in marcia, e, sulla salita verso la stazione di monte, incrociamo un ragazzo in mtb, munito di protezioni alle ginocchia. Ecco, questo biker mettiamolo da parte (questa citazione la possono capire solo i fans i Carlo Lucarelli) e andiamo avanti. Saliamo in cabina e, mentre chiacchieriamo, osserviamo gli ultimi a lanciarsi col parapendio e sbirciamo sul sottostante percorso di freeride, arriviamo in paese. Ci dirigiamo verso la piazza, e incontriamo, tra gli altri ciclisti, un ragazzo in mtb munito di protezioni alle ginocchia.

…Ettore, guarda che quel ragazzo lo abbiamo incrociato sul sentiero!!! E’ arrivato prima di noi!

E, mentre ci avviciniamo all’arrivo, comincia ad arrivarci la voce dello speaker che pronuncia il nome degli eroi che tagliano il traguardo. E, per un attimo, mi sembra di sentire il nome del “nostro”. Poco dopo mi trovo una chiamata persa. Ci troviamo al lavaggio bici. Seduto per terra ci aspetta un rottame d’uomo, ma pur sempre #hero!!!

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Gioiellino Vallunga

Da Vallunga verso il Sassolungo e l’Alpe di Siusi

Eccoci qui, per il secondo anno consecutivo a Selva in occasione della Hero.

Al nostro arrivo, i gestori del Garni in cui alloggiamo ci raccontano che, dal punto di vista del meteo, è un periodaccio, perché piove praticamente tutti i giorni… magari anche solo un paio di acquazzoni al pomeriggio, giusto per rompere le scatole, non far asciugare la biancheria, ritardare i lavori di preparazione per la stagione estiva… e causare liti coi bimbi, che vorrebbero tanto andare a giocare al parco, ma con i giochi fradici è impossibile. Noi incrociamo le dita, fiduciosi dell’attendibilità delle previsioni meteo, riviste in meglio nelle ultime ore.

Beh, al nostro risveglio, il venerdì mattina, ci accoglie un cielo strepitoso. Dai, che forse pure sta volta ci va di culo… Già, perché sciropparsi tutti sti km per beccare il tempo brutto è una gran rottura, e, soprattutto, ognuno di noi ha un suo piccolo progettino: la Hero kids per il cucciolo di casa (che è sempre meno cucciolo…), la Hero percorso “medio” per Massimo… e la” Hero della schiappa” per la sottoscritta, che vuole ritagliarsi qualche ora per fare, finalmente, un giro decente a dispetto della preparazione fisica pressoché nulla.

E quindi… Massimo parte prestissimo per scaldare la gamba provando la Dantercepies, nel pomeriggio c’è la gara del figlio… e in mezzo io ho poco più di due ore per fare un giro soft, con zero rischi di cannare strada, cosi se per sfiga la domenica dovesse guastarsi il tempo, almeno non dovrei tornare a casa a bocca asciutta. E quindi la scelta ricade su Vallunga, il cui imbocco è proprio sopra Selva. Ecco, se capitate da queste parti, andateci (a piedi o in bici, come volete), perché merita. Diciamo che è una versione della Val Contrin senza quasi dislivello verso fondovalle, con pareti rocciose altrettanto verticali ma mooolto più verde.

Escursione in Vallunga indicata sulla mappa interattiva (www.valgardena.it). In realtà si può risalire la valle ben oltre il punto indicato (io sono arrivata fino al bivio col sentiero 16).

Parto, ben bardata vista la stagione e la quota, e prendo la ciclabile che corre a monte della strada che da Selva porta a Plan de Gralba. E all’ombra ho pure freddo. Arrivata in paese comincio a risalire alcuni strappetti, alla ricerca del sentiero da seguire. Devo cercare il segnavia 14, e finalmente lo trovo, staccandosi dal sentiero per Dantercepies corre un po’ imboscato, lungo una staccionata accanto ad un residence. E qui esco al sole, che comincia a scaldarmi dandomi l’opportunità di ammirare le vette che si stagliano fra i boschi verdissimi e il cielo azzurro intenso. E, verso il Sassolungo, le vele colorate dei parapendii scendono dolcemente verso Selva.

Il Sassolungo

Le indicazioni mi portano verso il centro di fondo. Seguo la strada asfaltata e mi trovo davanti al cancello del centro di addestramento dei Carabinieri. Mannaggia, ste caserme in posti strepitosi… e il sentiero dove è? Torno indietro di qualche decina di metri e mi accorgo che davanti ad un punto di ristoro (Baita Ciampac) c’è un passaggio. Proseguo e arrivo ad una staccionata: varco il cancello e mi trovo nel Parco Puez-Odle, in mezzo alle mucche al pascolo. Risalgo la piana lungo una forestale ben tenuta, passo accanto ad una chiesetta e proseguo, su strada molto agevole. Prendo quota abbastanza agevolmente, finché non vedo una escursionista davanti a me che, gesticolando come un matta, chiede a tutti i transitanti nel raggio di duecento metri di non far rumore.

Scendo dalla bici e mi guardo intorno. e lo vedo: un camoscio sta pascolando in tutta tranquillità, mentre la signora prova ad avvicinarsi dolcemente per fare delle foto. L’animale decide di sottrarsi alle foto della signora, e si allontana, mentre uno squadrone in mtb si avvicina e passa oltre.

Nel Parco Puez-Odle

La salita è pedalabilissima, con solo una brusca rampa sassosa a rompere le scatole. Il paesaggio è incantevole, alternando radure verdissime a tratti un po’ più brulli per i sassi trascinati da un torrente in piena.; il tutto delimitato da pareti verticali di roccia tendente al rosa. Sulla strada, alcuni escursionisti, una ragazza che corre (o meglio, trotterella) e tanti, tanti bikers: gruppi con divisa sociale, con divise delle varie edizioni della Hero, uomini e donne, ragazzi e persone diversamente giovani… un campionario di umanità su due ruote che si prepara fisicamente a fare la Hero… o a guardare gli amici arrancare sulle salite della gara, e ti chiedi se fra questi, soprattutto quelli con divisa sponsorizzata o con il fisico migliore c’è qualcuno che domani spaccherà, se qualcuno è veramente forte (oddio, magari quelli forti non si allenano in un posto così tranquillo, ma non si sa mai). Se poi ti capita di tenere aperto il cancellino di un pascolo ad un tizio con barba e ciuffo di capelli castano-rossicci che sbuca dal caschetto, che per un nanosecondo ti fa illudere di aver incontrato (quel gran figo di) Peter Sagan…

A parte qualche gradevole incontro su due ruote, proseguo il tragitto, da sola ma allo stesso tempo insieme a tutti quelli che salgono qui discorrendo del più e del meno, scambiandosi pareri sulle granfondo nelle Alpi.

Ma la Alta Valtellina è meglio come organizzazione o no? E il paesaggio?

Più selvaggio, questo è più da cartolina

Ecco, la considerazione sul paesaggio da cartolina è quello che più “ci azzecca” con il panorama al termine della sterrata, in prossimità del bivio col sentiero 16: una piana verde tempestata di fiori, una baita sulla destra, qualche masso erratico sparso qua e là, mucche al pascolo, mentre il gruppo che mi ha preceduto qui si lancia in foto artistiche all’amico che, con indosso gli scarpini di ordinanza, prova a scalare il masso accanto alla sterrata… e poi si domanda come scendere.

Arrivati!

Il problema è scendere…

Mentre due bikers si avventurano oltre, una mucca osserva incuriosita due mtb abbandonate sul prato. Chissà, magari si chiede a che specie appartengono quegli esseri cornuti… e se anche loro hanno il campanello come il suo…

Incontro fra esseri cornuti…

Per me è ora di tornare. Inverto la marcia e scendo. Il camoscio è definitivamente sparito, e io scelgo di fare una piccola variante al percorso mantenendomi un po’ in quota per poi scendere veloce sul pascolo sottostante, poco dietro il centro di addestramento dei carabinieri.

Sulla strada del ritorno

Scendo cercando un punto da cui scattare una foto alla sagoma dello Sciliar che si staglia in lontananza… e mi fiondo in paese alla ricerca del resto della famigliola.

Sciliar e Punta Santner

Categorie: i miei giri, mtb | Tag: , , , | Lascia un commento

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