amarcord

L’anello mancato: 1-Val di Fanes

Le vette a Nord della piana del Lago Verde

La ricerca di informazioni per un’amica che mi ha chiesto info per le ferie di questa estate mi ha fatto tornare indietro di qualche anno, ad un progetto di 4 giorni che purtroppo non sono riuscita a chiudere.

Mappa del trek. In verde la prima tappa

…Si parte!

Era l’estate del 2007 ed  ero dalle parti di Cortina insieme al mio compagno. Prima di spostarci in Val di Fassa avevamo alcuni obiettivi: qualche escursione in mtb (che per me era una novità), le tre cime di Lavaredo, un trek ad anello fra Cortina, Fanes e il passo Falzarego, il “pellegrinaggio laico” al Vajont.

Il meteo ballerino ci ha messo i bastoni fra le ruote; con un occhio al bollettino meteo e l’altro al cielo cerchiamo la finestra ottimale per fare il trek. Individuando una finestra temporale tiratissima, ci decidiamo e partiamo.

Orrido in Val di Fanes

Prima tappa: la val di Fanes.

Partenza segnalata da Ponte de Ra Sies (1283mslm), arrivo al Rifugio La Varella (2038mslm) passando per il Passo di Limo (2172mslm). Tempo 6-7 ore.

Troviamo parcheggio per il furgone e imbocchiamo la forestale che corre ai piedi del bosco, in direzione Nord, parallela alla strada che va verso Cimebanche (segnavia 417 lungo la Valle d’Ampezzo). Dal Ponte de ra Piencia imbocchiamo la val di Fanes (segnavia 10).

Spalto di Col Becchei

Sono passati un bel po’ di anni, e alcuni ricordi sono un po’ sbiaditi, ma mi ricordo una bella valle, con orridi e cascate, che si percorre da Est verso Ovest in modo abbastanza agevole, seguendo una forestale che, con qualche tornante, risale la valle lungo il Rio Fanes, incrociando, in corrispondenza del Ponte Outo, la val Travenanzes (che doveva costituire il nostro percorso di rientro dal trek ad anello). La cosa che più mi ha colpito, a parte la tranquillità e il verde dei pascoli, sono le rocce. Ok, siamo nelle dolomiti… ma qui la conformazione di piane, pendii e versanti è fortemente influenzata dalla stratificazione della roccia.

Lungo tutto il tragitto incontriamo numerosi bikers, alcuni dei quali impegnati in un tragitto a tappe, ma nel complesso l’itinerario non è molto frequentato.

Guadagniamo quota e, costeggiando il Lago di Fanes, ci dirigiamo verso Malga Fanes Grande, da qui saliamo verso destra in direzione del lago di Limo, e dell’omonimo passo. Si scende per larga forestale in direzione Lago Verde e ci dirigiamo verso il Rifugio La Varella.

Qui…integratore salino a base di luppolo e ci rilassiamo in attesa della cena.

Per maggiori informazioni relativamente alla Val di Fanes visita questo link, oppure scarica l’opuscolo sulle valli di Fanes e Travenanzes.

Rifugio Fanes (adiacente al rifugio La Varella): sito dedicato.

Rio Fanes

Al pascolo nei pressi del Lago di Limo

Verso il Lago Verde

Conca del rifugio La Varella

In arrivo

“Arte” in alta quota

Segue…

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Antermoja, l’iniziazione

L’escursione al Lago di Antermoja via Passo delle Scalette non è banale, per lunghezza, presenza di un tratto attrezzato prima del passo, necessità di un buon senso dell’orientamento, rischio di cambi repentini, e poco piacevoli, delle condizioni meteo.

Per chi, come me, è cresciuto (escursionisticamente parlando) in Val di Fassa, questa “gita” era quella che si faceva “da grandi”. L’abbiamo sognata tutti di estate in estate, aspettando che i “grandi”, considerandoci pronti, ci accompagnassero. Qui racconterò la storia del primo tentativo compiuto, se non ricordo male, nel 1991, segnato da condizioni meteo decisamente avverse, e del giro portato a termine nel 2008.

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Il lago di Antermoja

Amarcord. Estate 1991.

La combriccola del Camping Catinaccio-Rosengarten era piuttosto eterogenea per provenienza geografica ed età. C’erano

  • la delegazione cremonese: io, anni 19, e mio fratello Valerio, anni 13;
  • la delegazione varesotta: Stefano, mio coetaneo, il figo della compagnia col ciuffo biondo di cui, ahimé, ora è rimasto ben poco (se mai leggerai queste righe non prendertela, c’est la vie… e soprattutto è colpa dei cromosomi) e suo padre Edo;
  • la delegazione comasca (purtroppo mi sfugge il nome del signore in questione);
  • la delegazione fiorentina, con le sorelle Elisa e Chiara (di poco più giovani di me) e i loro genitori

e…molti altri, che però in questa storia non sono stati coinvolti.

Quell’estate avevamo la fissa: l’Antermoja. Eravamo grandi abbastanza (oddio, non proprio tutti, ma i più giovani compensavano con la lunghezza delle gambe). Ci sentivamo pronti, doveva essere “LA GITA” dell’estate, il coronamento delle settimane passate insieme. Ma c’era sempre qualcosa che ostacolava i nostri propositi.

Ebbene, dopo molte insistenze fissiamo la data. Sveglia presto, perché si deve prendere la navetta e poi fare un pezzo a piedi prima dell’attacco del sentiero: ai tempi avevano appena deciso di chiudere al traffico la strada per il Gardeccia ed erano in corso interventi di consolidamento dell’ultimo tratto di strada, che era stato più volte danneggiato da smottamenti. La fermata della navetta non era nel piazzale del rifugio ma più sotto, c’è ancora oggi una piazzola rotonda.

Ci svegliamo la mattina, cielo sereno ma con velature.

 “Allora, andiamo?”

“No, il tempo non è stabile, meglio rimandare” dice Edo

“Ma come, è una settimana che aspettiamo, il tempo è bello!!!”

“Non mi fido, il tempo sta cambiando” ribadisce Edo, guardando in direzione del Sassolungo.

Noi continuiamo ad insistere, e alla fine convinciamo i grandi. Per sfinimento, si intende…

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Lungo il sentiero 583

Prendiamo la navetta e arriviamo all’attacco del sentiero. Intanto comincia ad arrivare qualche nuvola. Siamo io, Valerio, Stefano, Edo, il signore comasco, Elisa e suo padre.

Saliamo piuttosto velocemente verso la gola che si insinua nei dirupi di Larsech fino all’inizio del tratto attrezzato (dove Elisa, che soffre di vertigini, viene imbragata dal padre).

Arriviamo al passo. Troviamo un lago di fusione ormai quasi prosciugato, e un paesaggio lunare.

E un cielo grigio.

Rapidi, ci avviamo lungo il sentiero, orientandoci con i pochi segnali che l’occhio allenato degli adulti riesce a scorgere fra i sassi…perché obiettivamente non è poi così facile vederli. Passi veloci, zero pausa per fermarsi a tirare il fiato o per mangiucchiare qualcosa. Giusto il tempo di mangiare un po’ di cioccolato, sotto un cielo sempre più grigio.

Superato un altro passo, giungiamo in vista della conca del lago di Antermoja, sotto l’omonima cima caratterizzata da un’inconfondibile cengia che la attraversa diagonalmente. Scendiamo velocemente verso il rifugio, che raggiungiamo dopo quasi quattro ore di cammino.

Appena in tempo…

Tuoni, diluvio universale. E una grandinata epocale. Guardiamo fuori dalle finestre, sembra sia nevicato. Finito l’inferno la pioggia continua fitta ed insistente, e sul prato rimane uno straterello di ghiaccio.

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Verso passo Dona, dopo la grandinata

Nel momento clou della tempesta chiediamo al rifugista se nel caso possiamo restare lì. Tutti e 7.

“Guardate, siamo pieni. Se proprio non ce la fate o non ve la sentite di scendere vi posso far dormire qui in sala pranzo, ma vuol dire che prima di mezzanotte non si può dormire e alle cinque vi devo svegliare”.

Traduzione: se riuscite a tornare vi fate, e mi fate, un grosso favore….

Finito di mangiare aspettiamo un po’, e poi ci facciamo coraggio. Usciamo sotto la pioggia e ci avviamo verso valle, lungo il sentiero che va verso la testata della Val di Dona. Da lì i possibili percorsi di rientro sono tre:

  • Dalla val Udai: da evitare assolutamente in caso di pioggia, il sentiero è molto ripido e corre accanto al torrente, se si scivola ci si fa parecchio male;
  • Dalla Val di Dona, che è splendida ma ha una strada di rientro verso valle con pendenze a dir poco proibitive;
  • Dalla Val Duron, il tragitto più lungo ma più sicuro.

Gli adulti, ovviamente, puntano direttamente verso il Passo delle Ciaregole, e da qui, su sentiero ripido e scivoloso, arriviamo in Val Duron poco a valle di Maso Stefin.

La Val Duron è splendida, intendiamoci, ma farsela sotto l’acqua, bagnati fradici, con i piedi zuppi non è proprio la cosa che una persona desidera fare prima di morire (l’impermeabilizzazione dei miei scarponi lasciava alquanto a desiderare, l’ho scoperto attraversando un prato zuppo e con erba alta…). Ma per la serie “canta che ti passa” creiamo una canzoncina ad hoc, sulle note di “Sotto questo sole” dei “Ladri di biciclette”

Sotto l’alluvione / è bello camminare se / poi la doccia puoi fare

Siamo col cappello / il kway e anche l’ombrello ma / mezzi (*) fino al cervello

Rane e pesciolini / ci sono anche i girini, si / negli scarponcini

(*) bagnati fradici, in fiorentino

Arriviamo a Campitello per scoprire che… l’autobus per Pozza era passato da cinque minuti, quindi ci riparariamo sotto un portico, al freddo, bagnati, ad aspettare il successivo… che arriva dopo quasi un’ora.

Arriviamo in campeggio e ognuno attua le sue strategie per riacquistare una temperatura corporea degna di un animale a sangue caldo. Chi si fionda sotto la doccia bollente, chi accende la stufa in roulotte… Ma la cosa certa è che, quando ci ritroviamo più tardi nella roulotte di Chiara from Bèrghem si vede bene chi era andato all’Antermoja e chi no, la discriminante sta nell’essere in grado di stare seduti sui divanetti della sua roulotte formato transatlantico…

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Mappa della zona del Catinaccio d’Antermoja

Giro completo. Estate 2008

Visto il racconto di cui sopra mi è sempre rimasto il pallino di rifare il giro, e di chiuderlo bene.

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Verso Passo Scalette

Ecco, l‘occasione è arrivata nell’estate del 2008, l’ultima estate pre-gnomo nella quale mi sono potuta cimentare in giri di ampio respiro. Ci sono andata, beccando stavolta una splendida giornata di sole, con il mio compagno. E devo dire che, avendo tempo e modo di guardarmi intorno, il giro merita. Veramente.

L’attacco è in corrispondenza di un ponticello sulla destra, lungo la strada che sale al rifugio Gardeccia (appena sotto al piazzale), segnavia 583. Si sale nei boschi che stanno sotto i Dirupi di Larsech fino ad infilarsi in una stretta gola, da cui scende il torrente che la strada che sale al rifugio guada subito dopo la Regolina. E chi ha presente quel torrente capisce che razza di forza può avere l’acqua, infatti al passo delle Scalette c’è una diga di ritenuta per frenare la forza dell’acqua che qui si accumula in fase di disgelo.

L’ultimo tratto del sentiero, ripido e con alcuni semplici passaggi su roccia, altri su sfasciume, è il più esposto e parzialmente protetto con cavi. Svalicando si scende leggermente e si segue un sentiero per un tratto piuttosto pianeggiante, con alla sinistra un laghetto. Si prosegue percorrendo un vallone nel quale si capisce che in periodo di disgelo si forma un lago, alternando tratti pianeggianti a saliscendi, attraversando un paesaggio che definire lunare è un eufemismo. Arrivando al passo di Lausa, sopra la conca dell’Antermoja, la vista si allarga sulle cime vicine, spaziando dall’Antermoja, alla Croda del Lago, Sassopiatto, gruppo del Sella… e, abbassando lo sguardo, il lago di Antermoja, accanto al quale sorge il rifugio omonimo, che si raggiunge scendendo su roccette. Essendoci stata a distanza di anni posso dire che il paesaggio si è modificato nel tempo, in particolare i detriti trasportati dai torrenti in ingresso nel lago ne stanno riducendo le dimensioni.

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Vallone di Lausa

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Catinaccio di Antermoja

Il rientro, visto il bel tempo, può avvenire attraverso la val Udai (580/579). Questa valle ha una particolarità, presenta infatti un caso di “cattura di sorgente: se si osserva la val di Dona arrivando dall’Antermoja si nota infatti che, nella parte più alta, essa è percorsa da un torrente che improvvisamente piega a destra e, infilandosi in uno stretto passaggio, precipita in val Udai. In sostanza, a causa di fenomeni erosivi il torrente è stato deviato, “catturato” dalla valle adiacente. Il sentiero di rientro passa proprio accanto a questo torrente, ed è parecchio ripido. Scendendo risulta inoltre evidente la sovrapposizione fra le rocce dolomitiche e le rocce nere di origine vulcanica che, fuoriuscite nel corso di eruzioni sottomarine, hanno in sostanza “ucciso” la barriera corallina (ne avevo parlato a proposito dell’escursione al Buffaure).

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Val di Dona e Val Duron, con Sassopiatto, Gruppo del Sella, Sass Becè e Marmolada

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Splendida val di Dona. Sulla destra si intravede il torrente “catturato” dall’attigua Val Udai

Si passa sotto alcune cascate e si va a prendere una comoda forestale che porta a Ronch, e da qui, percorrendo un sentiero costeggiato da alcune cappelline che sono le stazioni di una Via Crucis, a Pera e alla partenza della navetta.

Volendo scendere dalla val Duron si deve invece seguire il segnavia 578 da Pian de le Gialine e poi la strada di fondovalle (532).

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Lavaredo (hai voluto la bici?)

Ovvero: la prima salita vera.

Lavaredo… “dove tutto è cominciato”… no, dai, non facciamo i  retorici… ma in effetti la prima salita vera, in bici, l’ho fatta qui. Con una mtb da 150 euri della decathlon. Bisognava pur sostituire quella per l’arrampicata con un’altra fissazione 😀 .

Allora: nel 2006 ho avuto grossi problemi ad un ginocchio. In tutta l’estate ho fatto tre – escursioni – tre perché a salire andavo come una lippa ma la discesa era un supplizio. 50 m di dislivello e cominciavano i dolori. Di andare ad arrampicare manco a parlarne… principalmente per l’avvicinamento, ma in sostanza avevo paura che il ginocchio non tenesse, che qualche torsione strana mi mettesse definitivamente KO. E, una volta sfiammato, non ho più ricominciato perché la paura (di cadere, di scartavetrarmi sulla roccia…) alla terza volta che ricominci, a 34 anni, è difficile da mandar via. E diciamocelo… era anche venuto il momento di cambiare perché le domeniche in parete erano diventate un po’ come timbrare il cartellino. Avevo bisogno di fare qualcosa d’altro. E la sosta forzata aveva fatto maluccio anche al mio compagno (arrampicatoriamente parlando, di intende).

L’anno successivo mi lascio così convincere a prendere la mtb visto che non dava noia alle mie cartilagini. Pur chiedendomi, io che ho sempre smadonnato a fare i cavalcavia: ma che cavolo ci vado a fare in bicicletta in montagna?

Compro la bici e partiamo, destinazione Cortina.

Appena arrivati, in pratica dopo aver fatto solo salite di ordinaria amministrazione (ovvero per andare a fare la spesa in paese), il mio socio se ne esce con la proposta da pazzo.

“Andiamo alle tre cime di Lavaredo”
“Si, bene. Ci informiamo come funzionano l’accesso, gli orari…”
“No, in bici ”
“Tu sei scemo”
“Perché? Ce la facciamo…”
“Non ce la faremo MAI. Soprattutto IO”

Totale: ci mettiamo in marcia. Tanto torneremo indietro…

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Lago di Misurina. Sullo sfondo, il Sorapiss

Partenza da Misurina. Di prima mattina, con aria frizzantina e praticamente senza riscaldamento, iniziamo la salita. I ricordi sono confusi, un po’ per gli anni passati, un po’ per la scarsa lucidità del momento. Mi ricordo una rampa bastardissima subito all’inizio, io che sbaglio a cambiare e mi devo fermare con una sensazione di cuore che pulsa impazzito a quota tonsille. Il primo tratto è un supplizio, poi si rifiata in corrispondenza della sbarra del pedaggio.

E la strada ricomincia a salire. E io che penso alle parole di un mio collega, un salitomane: “quando ci sono i tornanti si può rifiatare prendendo la traiettoria giusta”. Rifiatare una cippa (ops…) qui ci sono tornanti a cavatappo! E interminabili rampe monopendenza!!! Ci fermiamo per ripigliarci. Arriva un tipo: “dura, dura…”. Si, è dura, ma almeno tu pedali, io mi sono fermata venti volte. E ne manca, ancora…

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Panorama dalla strada verso il rifugio Auronzo

Ma c’è qualcosa che non va. Non è che sulla bici sono troppo “ingrugnata”? Alzo un po’ il sellino e la situazione migliora. Ho scritto “migliora” non “diventa una passeggiata”. Diciamo che la densità di madonne si riduce. Pian pianino arrivo… e pure per prima! Si ok… il mio compagno pedalava su una ciofeca… la mtb da supermercato che ho comprato quando, in una volta sola, mi sono trovata senza auto (distrutta) e senza bici (rubata, o dimenticata da qualche parte in quel di Melzo).

La salita si conclude al rifugio Auronzo, che a dire il vero è sul lato brutto delle tre cime.

E quindi?

Leghiamo le bici e facciamo il giro (eravamo in forma, ai tempi). Non è un escursione né lunga né complicata, la consiglio quasi a chiunque. Dico “quasi” perché nel tratto sul “lato bello” dopo il rifugio Locatelli il sentiero scende in una piccola gola e risale sull’altro lato. Qui abbiamo beccato una comitiva di pensionati giapponesi che probabilmente non erano mai stati in montagna in vita loro, accompagnati da una guida alpina, un baldo (e caruccio, per essere biondo) giovane che ci guardava sconsolato alla ricerca di uno sguardo comprensivo… ecco a questi lo avrei sconsigliato.

Ritornando a bomba: dalla Forcella Lavaredo la vista si apre sul lato famoso, quello da cartolina, delle tre cime. E devo dire che merita…

Completato anche il giro, devo dire che la discesa in bici me la sono goduta…

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Le Tre Cime versione cartolina (dal rifugio Locatelli)

Info tecniche

Fatto il 04/08/2007

Salita in bici: link

Escursione attorno al gruppo: descrizione QUI e QUI

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