Articoli con tag: libro

Il diavolo generoso

Al Trento Film Festival, domenica 29 aprile…

Il Diavolo generoso. La storia di Tita Piaz, il diavolo delle Dolomiti

di Alfredo Paluselli, Edizioni Dolomiti.

Iva Berasi, presidente di SportAbili, onlus a cui è destinata una parte degli introiti del libro, dialoga con l’autore

Domenica 29/04/2018 ore 18.00

Palazzo Roccabruna – via SS Trinità, 24 – Trento

Il ritrovamento di importanti documenti inediti, di nuove testimonianze e di moltissime fotografie hanno spinto alla realizzazione di questo curato volume sull’incredibile esistenza di Tita Piaz, il Diavolo delle Dolomiti.
Più di duecento pagine accompagneranno il lettore in un’avvincente avventura, realmente avvenuta e inequivocabilmente documentata, attraverso gli albori dell’alpinismo, due guerre mondiali, arresti, scandali, tragedie, conquiste e amori. Fino a un epilogo inatteso, sorprendente, che riassumerà i tratti infinitamente umani di un personaggio indimenticabile.

In tutta la storia sarà riconoscibile lo spirito generoso di Piaz, sempre pronto ad aiutare i più deboli. In linea con lo spirito altruista del protagonista, una parte dei proventi del libro sarà devoluta in solidarietà.

L’autore

Alfredo Paluselli: è il nipote dell’omonimo Alfredo Paluselli, il “papà” di Baita Segantini a Passo Rolle.

Si veda il post nel quale ricordava la figura del nonno e parlava del progetto di riconversione di Passo Rolle

 

Categorie: alpinismo, persone | Tag: , , , , | Lascia un commento

Il peso delle ombre

Il peso delle ombre di Mario Casella, un libro sull’alpinismo, le bugie e le calunnie

Il peso delle ombre. Racconti veri o false storie? (GCE Gabriele Capelli Editore). Nel suo ultimo libro il giornalista e alpinista Mario Casella affronta il mai definitivo, ma sempre doloroso, tema del falso in alpinismo ripercorrendo alcuni dei casi più emblematici e famosi. La sua è un’analisi che va oltre la semplice ricostruzione dei fatti e cerca di gettar luce su quel lato “oscuro” o meno bello che l’uomo porta con sé nell’alpinismo come nella vita.

di Erminio Ferrari – planetmountain.com, 14/09/2017

Anche Mario Casella quando giunse in vetta al Cho Oyu, il suo primo ottomila, si trovò a camminare in nubi tanto fitte da fargli smarrire la percezione del luogo. Sarò in cima, non ci sarò. Sì, c’era, ma come dimostrarlo? Tornare senza una foto che documentasse il coronamento della salita (non una prima, peraltro, e senza la pressione di uno sponsor a cui dover rendere conto) sarebbe bastato a fugare eventuali dubbi altrui? Allora non era un neofita Casella, e sapeva quanti alpinisti avevano dovuto subire quarti gradi per dimostrare l’indimostrabile, cioè la schiettezza della propria coscienza, il valore della parola. Perché funziona così: la calunnia – canta il don Basilio rossiniano – è “un venticello”, e l’invidia la nutre. Viceversa, le bugie rifulgono spesso di tanta luce da accecare per primo chi le concepisce. Accecarne la mente, intendo, così da impedirgli – pare – di distinguere il vero dal falso. Come l’Impostore di cui ha scritto bene Javier Cercas.

Le dispute sono grandi e gli uomini piccoli. E bisogna leggere ‘Il peso delle ombre’ – il bel libro di Casella, appena pubblicato da Gabriele Capelli (pp.192, 18 euro) – per averne conferma, pagina dopo pagina. Ottimo giornalista e ottimo alpinista, Casella ha affrontato con questo indispensabile bagaglio il doloroso e talvolta grottesco tema del falso nell’alpinismo, per distinguere tra bugie e calunnie, ma in particolare per interrogarsi sui meccanismi psichici e mentali insondabili di chi concepisce le prime, o sul dramma di chi è vittima delle seconde.

Un lavoro improbo, non tanto per l’abbondanza di materia fornita da due secoli e rotti di storia alpinistica, ma proprio per una peculiarità dell’alpinismo, quella cioè di non essere attività “misurabile” al pari di altre prestazioni sportive, di essere praticato il più delle volte lontano, lontanissimo da ogni possibile punto di osservazione e giudizio, e soprattutto di alimentare nei propri praticanti-adepti un pregiudizio di nobiltà su di sé, un qualcosa che li distinguerebbe dal resto dell’umanità osservata dall’alto di una vetta.

Tra i primi tentativi di salire il Monte Bianco, alla deriva perversa imboccata dalla commercializzazione degli Ottomila, si potrebbero narrare una infinità di storie. Casella ne ha scelte alcune, le più emblematiche, a suo giudizio. Alcuni casi, dibattuti sino all’indecenza, come quello della prima salita al Cerro Torre, che un novantenne Cesare Maestri continua a giurare di aver compiuto, e che sempre meno persone sono disposte ad attribuirgli. Altri meno noti, ma con uguale devastante effetto su chi ne è stato protagonista: dai dubbi avanzati sulle formidabili solitarie di Tomo Cesen sulle più difficili e inviolate pareti himalayane (dallo Jannu al Lhotse), alle riserve espresse a suo tempo sulla velocissima salita solitaria di Ueli Steck sulla sud dell’Annapurna, alle infanganti accuse a Reinhold Messner di avere abbandonato il fratello, di fatto uccidendolo, nella disperata discesa dal Nanga Parbat, nel 1970.

In un ambiente comunque competitivo, condizionato dalla relazione “atleta”-sponsor, e vittima a sua volta dell’impazzimento in tempo reale della comunicazione via social media, quale è da tempo l’alpinismo di punta, bugie conclamate, come quella dell’austriaco Christian Stangl, che si attribuì una salita al K2 non compiuta (per dirne una), hanno certamente concorso a confondere il giudizio: una verità “aggiustata” è già una bugia? Una ricostruzione lacunosa un’invenzione? Una omissione una menzogna? Un dubbio legittimo una diffamazione?

Citando i più bei nomi dell’alpinismo mondiale da oltre un secolo a questa parte, Casella reinterpreta questi interrogativi, accompagnandosi a una accurata ricostruzione dei fatti. Ma il suo merito maggiore è quello di avere evitato il piglio del giornalista d’inchiesta, preferendovi l’attenzione (e talvolta un’addolorata vicinanza) ai meccanismi psicologici, alle implicazioni esistenziali dei personaggi di questo dramma. Non deve essere stato facile: per chi ancora crede nell’uomo, condividendone nel suo caso una passione totalizzante come può essere l’alpinismo, ogni smentita, ogni “tradimento” è una ferita, la cui cura impegna più della salita più difficile.

Link: gabrielecapellieditore.com

Categorie: alpinismo | Tag: , , | Lascia un commento

Velotopia, la città perfetta per i ciclisti?

Se si dovesse costruire da zero la città perfetta per i ciclisti, come la si potrebbe progettare? Qualche giorno fa il Guardian ha pubblicato un estratto dal nuovo libro di Steven Fleming “Velotopia”, che Bikeitalia ha avuto il permesso di tradurre e ripubblicare.

bikeitalia.it, 12/09/2017

La città di Velotopia ha pianta circolare: le persone vogliono sempre vivere vicino al centro, e in questo modo è più facile accontentare tutti.

Il diametro della città è limitato a una lunghezza di 15 km. Di conseguenza le distanze che i pendolari devono coprire per arrivare in centro sono limitate a un massimo di 7 km, e i tempi di viaggio medi in bici sono quindi inferiori ai 30 minuti.

Il diametro di 15 km definisce un’area di 177 km quadrati. Le linee guida dello sviluppo urbano richiedono una densità minima di 30mila persone per chilometro quadrato, che è la stessa densità media di Manhattan (includendo i parchi).

A Velotopia non sono arrivati discepoli di Le Corbusier, Harvey Corbett, Robert Moses o Norman Bel Geddes. Questo vuol dire che non ci sono autostrade o grandi parcheggi per automobili. Non sono arrivati neanche discepoli di Ebenezer Howard a suggerire che la città sia sviluppata attorno a villaggi satellite con connessioni via treno verso il centro.

Velotopia non ha mai cercato i servizi di esperti di mobilità, quindi non ha alcun P&R (park and ride), ERP (electronic road pricing), PRT (personal rapid transport), corsie HOV (high-occupancy vehicle), sistemi LRT (light rail transit) o qualsiasi cosa che sembra essenziale solo perché è descritto da un acronimo. In realtà la città è completamente libera da automobili. Velotopia è basata sul principio che a niente è permesso ostacolare la ciclabilità.

Dovunque si formino gruppi di portatori di interesse che è necessario consultare per questioni pubbliche, è obbligatorio che siano formati in maggioranza da genitori di bambini piccoli. Non si tratta di carità o di “discriminazione positiva”. Questa decisione deriva semplicemente dalla volontà di ottimizzare le condizioni per un gruppo che si sposta molte volte al giorno e il cui lavoro – far crescere la prossima generazione – ha una grande influenza sul patrimonio e la produttività della città nel lungo periodo.

I vari comitati di genitori che si sono succeduti nel tempo hanno votato contro lo sviluppo di una rete ferroviaria attraverso la città. Secondo loro è sufficiente avere alcuni mezzi pubblici elettrici, a energia solare, che possano usare quando non sono fisicamente in grado di pedalare.

Velotopia ha una flotta piccola ma efficiente di questi mezzi pubblici elettrici. La loro velocità è limitata a 15 km/h, in modo da non ostacolare il traffico ciclistico. Il basso limite di velocità è compensato dal beneficio che traggono dal flusso ordinato del traffico in città: non devono mai rallentare o fermarsi, quindi la loro velocità media è più alta di quella dei mezzi pubblici nelle altre città.

La città non ha bisogno di semafori, perché non c’è alcun rischio di collisioni ad alta velocità. Gli incroci sono gestiti grazie a piccole rotonde leggermente sopraelevate. Arrivando alla rotonda, le bici sono costrette in modo naturale a rallentare, percorrendola quindi in modo sicuro, e riguadagnano velocità uscendo in discesa dalla rotonda.

C’è una grande stazione ferroviaria sotterranea nel centro città, coperta da negozi al piano terra. Sopra di questi si trova una struttura enorme che permette di parcheggiare migliaia di bici. Ma i treni che partono da questa stazione non hanno altre parti della città come destinazione; non c’è una rete ferroviaria locale: tutti i treni sono diretti ad altre città.

Tutt’intorno a Velotopia, fuori dai limiti della città, ci sono parcheggi per automobili. I visitatori che arrivano da altre parti della regione, in cui l’uso delle auto è ancora diffuso, parcheggiano qui e passano a uno dei quattro modi legali di spostarsi a Velotopia: in bici, a piedi, con risciò o con bus a guida automatica, che percorrono itinerari scelti dinamicamente in base alle necessità delle persone che li occupano. In questi parcheggi è anche possibile per gli abitanti di Velotopia noleggiare automobili se devono spostarsi fuori città – anche se molti scelgono la bici o i mezzi pubblici.

Per quanto riguarda i servizi essenziali, il trasporto non urgente di pazienti è svolto tramite risciò modificati, e la polizia gira per le strade della città in bici. Bici cargo sono usate per le consegne a case e piccoli negozi; sono legalmente costretti a usare bici cargo anche tutti coloro che non possono provare che devono necessariamente trasportare più di 500 kg per lavoro.

Il risultato è che – nonostante Velotopia sia una città con milioni di abitanti – non ci sono mai più di una dozzina di veicoli pesanti che la attraversano contemporaneamente, e non è quindi necessario avere una rete di strade di servizio. Le persone non vogliono vivere una vita senz’auto solo a livello superficiale, mentre le loro necessità quotidiane sono gestite dietro le quinte tramite mezzi a motore. Sarebbe come vivere a Disneyland, dove ai visitatori viene fatto credere che non ci siano veicoli o servizi pubblici, e che i negozi vengano riforniti per magia. L’inganno creato da Disneyland è possibile solo grazie a una rete sotterranea di corridoi.

Le persone che abitano a Velotopia sanno che ci sono camion che raccolgono la spazzatura. Vedono le gru e le betoniere con le quali si costruiscono i nuovi edifici. Sanno che altri camion riforniscono i supermercati. È proprio perché i veicoli motorizzati sono posti in piena vista, dove talvolta danno fastidio, che le persone di Velotopia non voterebbero mai per un sindaco che promettesse di aumentare il numero di veicoli motorizzati in città.

Rimangono quindi i mezzi dei vigili del fuoco, le ambulanze e le auto della polizia. Anche queste sono solitamente limitate a 15 km/h, ma possono muoversi a piena velocità quando usano la sirena. I veicoli d’emergenza sono più efficienti grazie alla compattezza di Velotopia e alla facilità con cui i ciclisti possono spostarsi e dare loro spazio.

A Velotopia non ci sono grandi strade in cui venga convogliato gran parte del traffico. La rete stradale è fitta, e a ogni incrocio ci sono negozi. Anche i commercianti guadagnano da una città organizzata in questo modo. Spostarsi in città è talmente bello che le persone passano all’aria aperta gran parte della giornata, anche solo per divertimento. Per i commercianti è come avere un chiosco nel mezzo di una pista di ghiaccio, con potenziali clienti che girano tutt’intorno; ogni persona ha a disposizione dai 10 ai 15 secondi per notare un negozio, grazie al fatto che si sposta a una velocità di 4-5 metri al secondo.

I negozi sono situati tutti su livelli sopraelevati, così che i ciclisti rallentano in modo naturale mentre si avvicinano, e accelerano mentre si allontanano. C’è un proverbio a Velotopia che recita “high means slow, low means go” (Alto vuol dire piano, basso vuol dire vai). I punti alti sono quelli in cui le bici rallentano a velocità compatibili con la presenza di pedoni, mentre i punti bassi sono quelli in cui le bici possono procedere alle loro solite velocità di crociera. Dei semplici ponti permettono ai pedoni di passare facilmente da un punto alto all’altro, mentre i ciclisti pedalano in basso. A parte le zone commerciali, nella maggior parte di Velotopia ciclisti e pedoni convivono nello stesso spazio senza problemi.

Come vi sembrano le soluzioni adottate nella città di Velotopia? Quali sarebbero applicabili anche in città già esistenti?
Il libro Velotopia è pubblicato da nai010 Publishers.

Categorie: mobilità sostenibile | Tag: , | Lascia un commento

Matilde e l’architetto

(Il mondo all’incosì)

Parliamo di ambiente, nello specifico di consumo di suolo.

Matilde è sindaco di un piccolo comune piemontese: Lauriano (TO), 1500 abitanti o giù di lì.

Matilde è agronomo, si occupa di agricoltura, conosce il valore della terra, e con valore non intendo il prezzo al mq di suolo agricolo, quello del suolo edificabile, o quanto si può ricavare da un ettaro seminato a mais. Sto parlando di Valore con la V maiuscola: il ruolo del suolo all’interno di un ecosistema, la sua importanza per la vita. Non solo quella degli uomini, intendiamoci, anche per quella degli altri esseri viventi, lombrichi compresi (che poi, ad essere sinceri, un ruolo nella catena alimentare dell’uomo ce l’hanno). E il Comune che amministra ha parte del suo territorio a rischio di dissesto idrogeologico. Lo dicono le mappe della regione, mica qualche ambientalista rompicoglioni.

Da persona sensibile alle tematiche connesse con il consumo di suolo, con la sua giunta tutta al femminile decide di riconvertire ad uso agricolo parte delle aree indicate come edificabili dal PGT, ed comincia da una zona inserita fra le aree a rischio.

E qui per lei (e non solo per lei) iniziano i problemi.

Il proprietario delle aree, che da tempo voleva utilizzarle per realizzare una quarantina di villette, la denuncia, insieme al segretario comunale e al tecnico comunale. Cosa piuttosto insolita, a dire il vero, anche perché queste figure non hanno responsabilità diretta nell’atto amministrativo con il quale si procede allo stralcio dell’area in oggetto. Con l’evolversi della vicenda diventa chiaro che lo scopo è dimostrare che il personale dell’Amministrazione Comunale è asservito al volere di una sindaca-despota.

Matilde viene rinviata a processo. Conosce l’ostilità dei media, che la ritengono colpevole di aver impedito ad un privato e stimato cittadino di fare business applicando il suo diritto a costruire “40 belle villette”. Scopre la falsità delle persone e si ritrova, paradossalmente, a dover invertire l’onere della prova; è lei a dover dimostrare di non aver mai rilasciato alcun permesso di costruire, o autorizzazione di qualsiasi tipo, all’uomo che l’ha denunciata, mentre lui dichiara di essere in possesso di tali autorizzazioni senza mai presentarle. Incassa la solidarietà silenziosa di altri amministratori, che sono con lei ma non osano esporsi pubblicamente (essere solidali con una indagata non è accettato dall’opinione pubblica).

Poi le cose cominciano a cambiare, perché i media, anche di livello nazionale, cominciano ad interessarsi al caso.

Dovendo nominare una consulente di parte, sceglie un tecnico estraneo alla sua amministrazione ma che, avendo collaborato in precedenza con la parte politica avversa, conosce bene il territorio del Comune: questa scelta si rivela fondamentale ai fini del processo perché l’urbanista riesce a tradurre gli aspetti tecnici anche ad uso e consumo dei profani, e, soprattutto, dei giudici. Ma la Sindaca scopre anche che, in certi casi, non è opportuno dire “faccio questo perché ci credo, rivendico la mia scelta politica”, ma è molto meglio tenere per se certe considerazioni e basarsi solo sull’aspetto puramente tecnico, in questo caso le mappe del rischio.

Potrebbe sembrare la trama per una fiction al femminile (i protagonisti sono in larga maggioranza donne), ma così non è.

Matilde Casa sotto processo ci è finita sul serio, ma alla fine è stata assolta. La domanda però nasce spontanea: se fosse stata approvata la nuova normativa sul consumo di suolo, bloccata da anni in parlamento e oggetto di critiche ferocissime da parte di ambientalisti, accademici e tecnici che si occupano di queste tematiche, sarebbe finita bene? Forse no, perché, districandosi fra articoli e commi, sembra che le previsioni di consumo di suolo introdotte nei PGT non possano essere cancellate nel caso si rivelassero inutili, ma solo spostate.

La storia di Matilde è raccontata in un libro scritto a quattro mani con Paolo Pileri, professore al Politecnico di Milano e uno dei massimi studiosi del fenomeno del consumo di suolo. Si intitola “Il suolo sopra tutto”, edizioni Altreconomia, ed ha la prefazione scritta da Luca Mercalli.

Nel libro non ci si limita a raccontare la storia di Matilde, viene analizzata normativa sul consumo di suolo “giacente” in parlamento, unitamente alle fantasiose declinazioni a livello locale della vigente normativa urbanistica, evidenziando come il linguaggio tecnico sia stato via via modificato e plasmato per tentare di giustificare ambiti di trasformazione che invece avrebbero poca ragion d’essere. Va invece recuperato il senso delle parole, e non usare le definizioni da normativa per forzare la natura: un prato rimane un prato indipendentemente che questo sia stato inserito in precedenza fra le aree edificabili, non cessa di essere suolo agricolo perché forse qualcuno in futuro potrà costruirci una villetta o un centro commerciale. Si pone anche attenzione sulla necessità che chi deve gestire la “cosa pubblica” possa ricevere una formazione adeguata (sarebbe forse il caso di ripristinare le scuole di politica), instaurando anche una collaborazione fra politici/amministratori e mondo della ricerca, affinché gli amministratori non vengano lasciati soli, e senza adeguati trasferimenti dallo Stato, davanti ai portatori di interesse.

Bisogna però fare in modo che la pianificazione territoriale non sia in capo al singolo Comune, ma che essa venga gestita su aree di estensione maggiore, perché mai come ora si devono coordinare gli interventi per evitare di realizzare costruzioni inutili quando a pochi chilometri, o addirittura nello stesso comune, sono disponibili aree già sottratte fisicamente alla destinazione agricola.

Categorie: ambiente | Tag: , , , | 2 commenti

(pro) Cycling Territory

procycling

Mercoledì 19 gennaio 2017 dalle ore 15 -19 al Politecnico di Milano si terrà “Cycling Territory un open Seminar sui temi della mobilità ciclistica, organizzato a partire dall’analisi del volume Pro-cycling territory. Il contributo del ciclismo professionistico agli studi urbani e territoriali” di Paolo Bozzuto

*****

Pro-cycling territory. Il contributo del ciclismo professionistico agli studi urbani e territoriali

Autore: Paolo Bozzuto

Ed. FrancoAngeli

pp 208

€27,00

Nel corso degli ultimi anni, la bicicletta e i molteplici fenomeni urbani e territoriali legati al suo uso, come mezzo per la mobilità quotidiana e come prodotto di design, sono divenuti oggetto di una rinnovata attenzione da parte di una pluralità di settori disciplinari del mondo universitario, in Italia, in Europa e negli Stati Uniti. Ciò è accaduto e continua ad accadere in virtù della concomitanza di fattori diversi: gli investimenti istituzionali in progetti e politiche per la mobilità sostenibile; la crescente e diffusa sensibilità dei cittadini verso i temi ambientali e i temi del benessere fisico; il radicamento di nuove domande di abitabilità degli spazi urbani; l’affermazione di molteplici forme partecipative di cycling advocacy espresse dalla società civile; il palesarsi di nuove opportunità di sviluppo locale attraverso la costruzione di ‘eventi’ e progetti legati al cicloturismo e, più in generale, al turismo ‘lento’ e sostenibile.
Entro questo quadro vasto, articolato e interessante, poca attenzione è stata fino a oggi prestata a uno dei fenomeni territoriali, legati alla bicicletta, più complessi e di più lunga durata: le grandi competizioni del ciclismo (Tour de France, Giro d’Italia, ecc.), sport tra i più amati e seguiti dal grande pubblico internazionale. Oggi come un secolo fa.
Questo libro prova a indagare il contributo che il ciclismo professionistico e le sue corse possono offrire al campo disciplinare degli studi urbani e territoriali, come oggetto di indagine, come insieme complesso di pratiche d’uso, come patrimonio storico e culturale, ma anche come osservatorio peculiare attraverso cui leggere la città e i territori contemporanei, le loro dinamiche e trasformazioni. Il volume condensa i risultati di un’attività di ricerca che ha già lasciato un deposito in paper e articoli, pubblicati tra il 2013 e il 2015, e che ha portato alla costruzione di un progetto di ricerca denominato “Atlante storico del ciclismo in Lombardia”, svolto presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. Un libro scritto per il mondo universitario, ma che riesce a rivolgersi anche ai tanti appassionati di ciclismo.

Paolo Bozzuto, dottore di ricerca in urbanistica, insegna ‘Progettazione urbanistica dello spazio aperto’ presso la Scuola di Architettura, Urbanistica, Ingegneria delle Costruzioni (AUIC) del Politecnico di Milano. Svolge la propria attività di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU) dello stesso ateneo milanese. È coautore di una monografia sul ruolo della costruzione di scenari in campo urbanistico (Storie del futuro. Gli scenari nella progettazione del territorio, 2008) e ha pubblicato molteplici saggi, contributi e articoli in libri e riviste.

Categorie: iniziative | Tag: , , | Lascia un commento

Un movimento a pedali

comune-info.net, 22/11/2016

La nuova rivoluzione può venire semplicemente da questa alternativa mattutina: prendo l’automobile o la bicicletta?

Didier Tronchet, Piccolo trattato di ciclosofia

Dai primi anni Novanta in poi, negli Stati Uniti e in Europa, abbiamo assistito a un enorme aumento quotidiano degli spostamenti in bici. Le ragioni e le conseguenze sono numerose e tutte significative. Nello stesso arco di tempo, mentre la Cina dismetteva il suo paradiso delle biciclette, in molte città statunitensi, europee e sudamericane spuntava dal nulla la Critical Mass, un allegro appuntamento di ciclisti, senza uomini al comando, che si trovano quasi per caso a percorrere tutti la stessa strada, lentamente, al centro della carreggiata e in strade trafficate.

Si raduna ancora in molti luoghi, la Critical Mass. Più o meno una volta mese ma sembra aver perso per strada un po’ di smalto e forse anche un po’ della sua magia. C’è chi se ne duole ma buona parte dei partecipanti ritiene invece che quanto seminato nell’immaginario di tante persone abbia già cominciato a germogliare in modi diversi e a trasformare la vita e i territori, ben oltre i recinti tematici della mobilità. Panta rei, tutto scorre. A saper guardare, per dirne una, proliferano i gruppi che fanno a meno di leader o altre linee di comando come delle continue rivendicazioni rivolte a un potere superiore, quello dello Stato, ad esempio, per scegliere invece di mettere in atto in autonomia e subito i cambiamenti auspicati. Una politica radicata nella vita di ogni giorno. Si tratta di persone che si ribellano non chiedendo ma facendo, o magari pedalando.

Con la Critical Mass non inoltriamo petizioni al governo, non chiediamo riforme, non facciamo domande, vogliamo solo poter realizzare un mondo che per il resto del mese ci limitiamo a sognare.

Chris Carlsson

Sognare sì, anche perché le due ruote restano il mezzo di trasporto più popolare per chi vive ai piani bassi della società, infatti la maggior parte dei ciclisti del pianeta vive tuttora nelle township dell’Africa, nelle periferie dell’America Latina e negli slum dell’Asia. La bici unisce a modo suo quei continenti, non li divide. Erano piani bassi quelli del dopoguerra romano neorealista raccontati da Ladri di Biciclette, lo sono oggi gli indiani sikh dell’Agro Pontino o i migranti di Rosarno, come lo restano quelli delle bici più arrugginite che percorrono le piste di terra etiopi o quelle usate dai pescatori dell’Estremo Oriente. Ci piace ricordare, però, anche le bici delle staffette partigiane, per certi versi i piani bassi della Resistenza.

Ma in quali scenari si situano i cambiamenti che può favorire oggi un utilizzo sempre maggiore della bicicletta? Prima di tutto c’è da difendersi dalle reazioni dell’industria automobilistica e delle corporation dell’estrattivismo e del petrolio, che potrebbero essere anche scomposte, imprevedibili e violente. Poi c’è da rendere sempre più evidenti le ragioni per scegliere i pedali e le proprie gambe come agenti del movimento nella vita di ogni di giorno. Spiega Ivan Illich in Elogio della bicicletta:

La bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un’auto, se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un’unica vettura. Per portare quarantamila persone al di là di un ponte in un’ora, ci vogliono … dodici [corsie] se si ricorre alle automobili, e solo due corsie se le quarantamila persone vanno da un capo all’altro pedalando…

Si tratta di proteggere anche la propria autonomia da ogni forma di dominio: con la bicicletta, aggiunge Illich, “si diventa padroni dei propri movimenti senza impedire quelli dei propri simili”.

La sfida più grande, per gli uomini e le donne che vanno in bici, rimane però quella di restare in movimento e di restare un movimento. Scrive ancora Carlsson, in uno degli articoli raccolti in questo quaderno:

Fate attenzione a una futura integrazione e sussunzione da parte dei ricchi, dei costruttori e dei loro amici politici. Oggigiorno, andare in bicicletta è un tipo di movimento sociale, ma domani sarà solo un modo per spostarsi… a meno che non uniamo la bici a un’agenda più estesa che cambi la logica della crescita infinita, di un mondo basato sulla mercificazione dell’uomo e della sua creatività, e della riduzione della natura a “risorsa” (…) Un’agenda più profonda si nasconde dietro le nostre turbinanti ruote, ma può sfuggirci abbastanza facilmente se lasciamo spazio al più ristretto buon senso di coloro che non riescono a vedere negli alberi una foresta, che non riescono a vedere che andare in bici non è altro che un passaggio verso una più ampia trasformazione di come possiamo vivere insieme

Scarica subito il quaderno “Un movimento a pedali” (edizioni Comune), al costo simbolico di 1,5 euro

È possibile inviare il contributo proposto (1,5 euro) via paypal oppure con un bonifico (in questo secondo caso, appena lo avete effettuato scrivete adamministrazione@comuneinfo.net). Grazie

Questo è l’iban:

Versamenti sul: c/c bancario dell’associazione Persone Comuni
IBAN IT58X0501803200000000164164; Banca Pop. Etica, Roma;
causale donazione “Un movimento a pedali”

INDICE DEL QUADERNO

INTRODUZIONE

La bicicletta serve a vivere insieme Comune

Ma come freni… Non è possibile” Rotafixa

PENSARE

Quando andare in bici era cool C. Carlsson

Mai più altri 20 anni di Critical mass Rotafixa

La ciclofficina e le candele Chiara Sozzi

Città e biciclette Alfredo Bellini

Andiamo a piedi e in bicicletta Raffaele Basile e Luca Madiai

Le metropoli autogrill Fabrizio Bottini

La rivoluzione comincia in strada Chris Carlsson

GRIDARE

E tutto per una stupida auto Bicisnob

Niente Motor Show: 10 motivi per rallegrarsi Michelangelo Alimenti

La bicicletta è una matita Marco Boschini

La bici da cross di Amy Liz Smith

La bambina con la bicicletta e la pace Saverio Tommasi

La trappola delle piste ciclabili Paolo Bellino Rotafixa

FARE

Bike to school. Lettera alla giunta Anna Becchi

Ero un automobilista Michelangelo Alimenti

Penne, quaderni, zainetti e biciclette Bikeitalia.it

Ripartire dalle ferrovie abbandonate Domenico Finiguerra

La vecchia ferrovia, autostrada delle bici Maria Rita D’Orsogna

Andare a 30 all’ora, per cambiare la città Luca Cirese

Slow, saring, low cost, dalla bici al bus Alessandra Magliaro

Bloccare il traffico non basta più Domenico Finiguerra

Cicliste della luna, ribellarsi pedalando Maria G. Di Rienzo

Le polveri sottili siamo noi Marco Boschini

Categorie: bicicletta, mobilità sostenibile | Tag: , | Lascia un commento

Vite da Monsters

Resoconto dell’incontro con Andrea Devicenzi (atleta paralimpico e mental coach) e Pierpaolo Vigolini, recentemente tenutosi a Grumello Cremonese. Organizzazione: locale gruppo AIDO, in collaborazione con le società sportive U.S. San Bartolomeo e A.S.D. Grumulus e con l’oratorio.

DSC_1336

La presentazione di “Vite da monsters”, 10/06/2016

Estate 1990, quella dei mondiali.

Andrea ha 17 anni, un lavoro come artigiano, una moto.

La moto… e chi non ha desiderato, a 16-17 anni, di avere una moto? Il senso di libertà; le ragazze che ti guardano, se hai una bella moto…

Una moto che ad Andrea ha drasticamente cambiato la vita, quell’estate del 1990, l’estate delle notti magiche. Un urto frontale contro un’auto, il ginocchio che va a sbattere contro il fanale, il volo. Il primo pensiero: la moto. Dov’è? Ha subìto danni?

Eccola lì la moto. Ma…

DSC_1349

Andrea Devicenzi

Ma c’è qualcosa che è messa peggio della moto: la gamba sinistra di Andrea. Il femore “esploso”, l’angolazione innaturale del piede, il sangue.

I soccorsi.

L’ospedale.

L’amputazione.

I mesi di ospedale e una nuova operazione.

Una vita stravolta, i pensieri che si accavallano. I pensieri di Andrea, e quelli dei familiari. Non potrai più lavorare. E come farai con le ragazze, sei destinato a restare solo, quelle i ragazzi li vogliono perfetti. E lo sport, il canottaggio?

Andrea però trova la forza per reagire, per riprendere in mano la sua vita adattandola alla nuova condizione. Un corso professionale e un nuovo lavoro. E il canottaggio non è utopia, basta allenarsi ed educare il corpo ad una nuova postura. E poi… il ciclismo, il passaggio allo sport paralimpico professionistico in una squadra di Piacenza, il paratriathlon. E le imprese sportive, oltre le barriere fisiche e mentali.

Nel 2010 in Ladakh (India), insieme a Stefano Mattioli, ha compiuto in mtb il raid in autosufficienza sulla carrozzabile più alta del mondo da Manali a Leh, fino a raggiungere il Kardung La (5602mslm). E’ stato il primo amputato a compiere un’impresa del genere, che è maledettamente tosta anche per un normodotato per molti motivi: prima di tutto la quota, perché Manali è a circa 2000mslm e da lì si sale subito a 4000m per superare una serie di passi che arrivano fino ai 5000m di quota, per poi “scendere” a Leh che è intorno ai 3500 e poi l’ultima salita fino al Kardung La. E’ difficile anche per le condizioni delle strade, sterrate, che in caso di pioggia diventano tremende. Sono inoltre zone poverissime, dove la sistemazione più comoda è… la tenda! Difficile trovare alloggi di fortuna, quasi impossibile trovare acqua corrente ed elettricità. E anche per quanto riguarda l’alimentazione è necessario molto spirito di adattamento.

Nel 2011 ha portato a termine la randonnée Parigi-Brest-Parigi, 1230km percorsi in 72 ore, primo amputato al mondo a completare la gara. A beneficio dei profani preciso che non si tratta di gara a tappe, le ore sono continuative, ogni ciclista si gestisce le ore di sonno (poche) per poter portare a termine l’impresa nel tempo fissato.

Ora Andrea si sta preparando per una nuova impresa: a luglio partirà per il Perù. 1.200 chilometri in mountain bike e 4 giorni di trekking verso Machu Picchu.

Machu Picchu

Lima-Cuzco

Percorso trek

Partirà anche se in fase di preparazione c’è stato un “contrattempo”: mentre si allenava in bicicletta è stato investito da un’auto, ed ha subìto una frattura al femore amputato. Sta comunque recuperando a tempo di record.

Ora Andrea, oltre che atleta, è “mental coach”, motivatore. Lavora con i ragazzi e con atleti professionisti. Trae spunto dalla sua esperienza e dalla sua energia interiore per trasmettere motivazioni agli altri, per insegnar loro ad ottenere il massimo, in ogni campo, facendo leva sul fatto che gli ostacoli che spesso si frappongono fra noi e l’obiettivo li abbiamo creati noi, o li ha creati l’ambiente in cui viviamo, e sono soprattutto nella nostra testa. Applicando i principi della PNI (Programmazione Neuro Linguistica) si possono recuperare risorse che nemmeno pensiamo di avere.

DSC_1351

Pierpaolo Vigolini e Andrea Devicenzi

Il libro che Andrea ha scritto insieme a Pierpaolo Vigolini si basa proprio su questo: si parte dalla vicenda di Andrea, dalle sue esperienze per spiegare come ricercare la motivazione, fissare ed inseguire gli obiettivi che ci si è proposti, non dimenticando l’aspetto “ecologico”, nel senso di rapporto con l’ambiente che ci circonda, persone ed affetti compresi. Il titolo del libro infatti riassume gli otto aspetti da considerare, che poi sono anche i capitoli in cui è suddiviso: Motivazione-Obiettivi-Nemici-Stato-Top-Energia-Ricerca-Sinergia.

Per la cronaca. Visto che all’inizio di questa storia avevamo parlato delle ragazze… Di “ragazze”, nella vita di Andrea, ce ne sono quattro: la moglie, le loro due bambine… e la bicicletta!!!

La vita non è quella che dovrebbe essere. E’ quella che è! E’ il modo in cui l’affronti che fa la differenza

Virginia Satir, terapista familiare

La copertina del libro

Il CV di Andrea – dal suo sito

2008 – Partecipazione ad alcune Granfondo (Ciclismo).

2009 – Partecipazione a gare Internazionali di Ciclismo per acquisire punti necessari per le qualificazioni alle Paralimpiadi di Londra 2012.

2010 – Raid in autosufficienza sulla strada carrozzabile più alta del mondo, situata in India. 700 km in 8 giorni in sella alla mia MTB, raggiungendo, per la prima volta per un atleta amputato di gamba, il KardlungLa a quota 5.602.

2011 – Partecipazione alla Parigi-Brest-Parigi. L’Olimpiade delle Ranonnèe. 1.230 km da percorrere in un tempo dichiarato di 80 ore. Concludendola in 72 ore e 42 minuti, sono stato il primo amputato al Mondo, dal 1890, a riuscirci.

2012 – Inizia una importante avventura nel Paratriathlon (nuoto, bici e corsa), nel quale riesco a conquistare la medaglia di Bronzo ai Campionati Europei in Israele, qualificiandomi per i Mondiali a Settembre in Nuova Zelanda.

2013 – Medaglia d’argento ai Campionati Europei di Paratriathlon in Turchia.

2014 – Assieme ad amici/che, ho ideato e concluso, il 1° Giro d’Italia Formativo, dedicato ai ragazzi, alle loro risorse, fiducia in sé stessi ed autostima, consapevolizzandoli delle straordinarie capacità e talenti che hanno già dentro di loro.

Randonnée conclusa!!!

Riferimenti

Il suo blog

La pagina facebook (attività di mental coach)

Il libro – Vite da Monsters

Categorie: iniziative, persone | Tag: , , , , , , , | 2 commenti

Formiche in bicicletta

 

Da Trento a Roma con le formiche di Fabio Vettori

Dal 5 al 12 giugno le formiche salgono in sella alla volta della capitale. 
Un viaggio in 7 tappe che toccherà 7 regioni. 7 serate all’insegna della fede e sospinte dallo spirito ecologico, alla scoperta di un nuovo itinerario ciclabile di oltre 750km.
fabiovettori.com
Fabio Vettori e le sue Formiche, con un team composto da 6 ciclisti amatoriali, si apprestano a pedalare verso Roma, attraversando metà Italia per promuovere il libro “Cari giovani, cari ragazzi e ragazze…”, recentemente pubblicato dalla casa editrice Reverdito ed illustrato dall’artista trentino, il quale si è ispirato ai gesti ed ai discorsi di Papa Francesco. Verrà inoltre presentato in anteprima il calendario ecologico per l’anno 2017  delle Formiche di Fabio Vettori, ultimo lavoro dell’artista, ed ispirato, tra le altre cose, dall’enciclica Laudato si’, pubblicata dal Pontefice lo scorso giugno, ed a forte vocazione ecologica ed ambientalista.
Cogliendo appieno il messaggio ecologico di Francesco si è deciso di indirizzarsi alla volta di Roma, con l’unico mezzo che non inquina: la bicicletta, da sempre grande passione di Fabio Vettori. È stato così delineato un itinerario che va a toccare 7 regioni italiane, e che prevede altrettante serate dove sarà possibile assistere alla presentazione sia del libro in questione, sia all’anteprima del nuovo calendario ecologico. Il viaggio si snoderà quindi da Trento, città natale dell’artista, alla volta di Peschiera del Garda (VR), per passare poi per Mirandola (MO) a distanza di 4 anni dal terribile terremoto che ha colpito la cittadina emiliana; la cima Coppi dell’itinerario sarà il passo della Raticosa, con i suoi 968 metri di altitudine, sull’Appenino tosco – emiliano, che condurrà il gruppo verso due tappe attraverso le sinuose colline toscane sino a Sesto Fiorentino (FI) ed Asciano (SI). Il giorno seguente si approderà ad Assisi (PG), luogo evocativo e fortemente simbolico in quanto il Papa stesso si è ispirato agli insegnamenti di san Francesco per redigere la sua enciclica. L’ultima fatica delle Formiche itineranti sarà Amelia (TR) nel ternano; dopodiché, dopo più di 750km di strada l’11 giugno la carovana potrà finalmente fare scorrere le ruote fini sui sanpietrini romani. Nella capitale si terrà una serata conclusiva presso l’Istituto Maria Bambina, in vista dell’Angelus di domenica 12 giugno in Piazza San Pietro, dove si avrà l’occasione di consegnare, quantomeno simbolicamente, la maglietta da ciclismo “di Papa Francesco”, realizzata dagli amici di Sportful e il libro “Cari giovani, cari ragazzi e ragazze…” proprio a colui che lo ha ispirato. L’arrivo a Roma sancirà inoltre l’apertura di un nuovo “itinerario ciclabile” volto ad unire le bellezze artistiche e paesaggistiche dell’Italia dal nord al centro.
Chiunque vorrà, potrà tenersi aggiornato sullo svolgimento del viaggio tramite la pagina facebook ufficiale 
Categorie: ambiente, bicicletta, I tour degli altri | Tag: , , , , , , , , , | Lascia un commento

Crea un sito o un blog gratuito su WordPress.com.