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Traversata Contrin – San Nicolò

La traversata Alba di Canazei – Pozza di Fassa via Passo San Nicolò è un classico, o meglio… lo era quando ero giovane. Nell’epoca dei social, nella quale gli itinerari sono scelti in base alle foto su Instagram e sui consigli letti nei gruppi Facebook, le due valli, separatamente, sono inserite nelle categorie “escursioni facili per famiglie con bambini” e spesso snobbate da chi mira ad escursioni più corpose, per le quali viene privilegiato l’altro versante della val di Fassa. Invece le due valli possono essere considerate partenza o arrivo di traversate impegnative o giri potenzialmente “epici” e dai paesaggio mozzafiato. La traversata da Alba a Pozza non è difficile ma permette di apprezzare in pieno gli aspetti paesaggisticamente più rilevanti delle due valli, gettando uno sguardo verso le vette circostanti e… attraversando la storia geologica (e non solo) di queste valli.

Noi abbiamo deciso di affrontare il percorso da Alba, per motivi logistici e… “ortopedici”.

Percorso

Con l’autobus ci rechiamo ad Alba di Canazei e scendiamo alla stazione della funivia per Ciampac e Col dei Rossi. La partenza del sentiero è ai margini del bosco, praticamente sotto i cavi della funivia del Ciampac: guardando verso monte, sulla sinistra si trova il segnavia 602.

Si percorre la forestale per la Val Contrin, che inizialmente è pianeggiante ma ben presto svela la sua vera natura: una sequenza di rampe ripide e tornanti. Il “gradino” fra il fondovalle e Baita Locia Contrin, dove inizia la valle pensile, è di circa 250m. Fortunatamente un sentiero un po’ ripido permette di tagliare i tornanti, rendendo più varia la salita e, secondo il mio punto di vista, pure meno faticosa (preferisco di gran lunga un sentiero a una forestale, ma è questione di gusti). Lungo il sentiero è stato allestito un percorso tematico per bambini, con le storie della mucca Ombretta e del suo latte.

Raggiungiamo Baita Locia Contrin abbastanza rapidamente, qui la valle spiana e si procede spediti. Varcando un ampio cancello in legno si entra in un nuovo mondo: davanti noi la Cima di Ombretta, sulla sinistra le incombenti pareti calcaree del Gran Vernel, a destra la dolomia del Colac. In mezzo, una valle verdissima percorsa da un torrente dal greto ampio. Qui è stata recuperata una vecchia calchera, accanto alcuni escursionisti particolarmente creativi ha allestito un esercito di “ometti”, a cui l’esercito di terracotta fa un baffo 🙂 . Alle nostre spalle fa capolino il Gruppo del Sassolungo.

Più avanti, sulla destra, un paletto orfano di cartello indica dove era la partenza del sentiero per la Forcia Neigra, ora chiuso, che consentiva di raggiungere la conca del Ciampac (adesso bisogna passare dal Passo San Nicolò) . Sempre sulla sterrata, si raggiunge il ponte in legno sul Contrin: qui c’è la deviazione che porta direttamente al Passo, noi invece proseguiamo verso il Rifugio Contrin.

Passato il torrente, la strada alterna tratti dolci a strappi più ripidi. Si passa accanto a Baita Cianci, si prosegue ancora per superare le ultime rampe, finché sulla nostra sinistra appare il muro di sostegno del terrapieno su cui sorge il Contrin, con gli ombrelloni rossi (circa 1h50′ dall’inizio della salita, senza correre troppo). Ed è qui che inizia la parte più bella della valle: proprio dietro il rifugio parte il sentiero che porta alla Val Rosalia e al Passo di Ombretta, con la cima innevata della Marmolada che fa capolino dalla forcella. Da qui la maestosità della parete sud si intuisce appena, ma garantisco che trovarsi al cospetto di quei 900m di calcare fa impressione.

I prati dietro al rifugio, salendo verso il Passo di Ombretta, sono il regno delle marmotte. Se invece si prosegue sulla forestale, ad appena 10 minuti c’è la Malga Contrin, dove in passato abbiamo fatto scorta di jogurt fresco. Noi invece, dopo una breve pausa, ritorniamo accanto al rifugio e imbocchiamo il sentiero 608 in direzione Passo San Nicolò (tempo stimato un’ora).

Scendiamo fino al ponticello sul torrente, giunti sull’altra sponda ricominciamo a salire fra prati e sentieri ripidi, con le radici a costruire dei gradini naturali. Verso Est la vista si allarga verso le pareti di Marmolada e Gran Vernel. Guardando verso Nord, invece, balza all’occhio la forma ad U tipica delle valli di origine glaciale, che quasi abbraccia la sagoma del Sassolungo.

Saliamo ancora e usciamo sul pascolo, seguendo un sentiero che prima passa sul ghiaione ai piedi dei Laste de Contrin (da qui si vede anche Cima Uomo) e poi si inerpica in una zona solcata dai solchi di erosione causati dal ruscellamento dell’acqua piovana.

Ed è qui che, mentre ammiriamo il panorama che via via si apre, Ettore mi dice “ma quello che fa?”. Mi volto e vedo un tizio in e-mtb che sale lungo il sentiero. Ok, fin dove è arrivato ora si pedala (anche se sotto deve aver spinto un bel po’), ma già dove siamo noi è improponibile proseguire in sella. Incuriositi, lo lasciamo passare, augurandogli in bocca al lupo: lo avevamo sentito parlare con altri escursionisti, aveva intenzione di scendere in Val San Nicolò. Un po’ spingendo, un po’ sollevando il pesante arnese, procede piuttosto spedito, alla ricerca dei pochi tratti pedalabili. Quando raggiungiamo il tratto più dolce (e col fondo migliore) del sentiero, lui è già avanti.

Attorno a noi, lo spettacolo: ci troviamo su un terrazzino naturale, con il Gruppo del Sella che chiudere la vista verso Nord. Lo sguardo verso Est percorre le pareti del Gran Vernel e della Cima di Ombretta, con la sua conca che un tempo ospitava un nevaio, il tutto poggiante su strati di roccia di base caratterizzati da pieghe ben visibili, che si ripropongono anche lato Val San Nicolò, causando non pochi problemi. Percorriamo l’ultimo tratto di sentiero sostanzialmente pianeggiante che ci porta verso in rifugio, passando accanto accanto ad una mandria di vacche nere… svaccate a ruminare sul prato. Davanti a noi spuntano il Catinaccio, la Roda di Vael, il Latemar in lontananza, mentre ci avviciniamo al passo diventano riconoscibili le cime della Val San Nicolò.

Ed eccoci al rifugio! Sono forse 15 anni che non salgo quassù, ma l’edificio appare sostanzialmente uguale, con l’esterno in legno, le persiane rosse e bianche, la sala da pranzo spaziosa ma raccolta.

Ci sediamo sul prato per mangiare, quasi sulla cresta di sommità. Con lo sguardo verso valle, alla nostra sinistra abbiamo il “corno” del Col Ombert, nel quale sono visibili alcuni rifugi dalla Grande Guerra (altri sono presenti verso Buffaure e Colac, ma oggi non ci passiamo). In pratica, siamo su una specie di terrazza, lato Val San Nicolò il versante scende ripido, mentre verso Contrin sembra quasi un altopiano. Accanto a noi, c’è un signore con un cagnolino, poco in là vediamo il biker che si appresta a scendere. I tavoli esterni sono tutti occupati, mentre dentro al rifugio c’è poca gente. Potenza di settembre, della bella giornata e delle regole anti covid. Cafferino (che ci vuole sempre), bastoncini dimenticati appesi fuori dalla porta da andare a recuperare (questo era meglio evitarlo) e scendiamo.

Il sentiero percorre pianeggiante la cresta del valico, fino al segnale che indica il Passo. Qui si scende a sinistra.. Ops.. Ma non era qui il sentiero? Me lo ricordo bene: in sostanza la zona del passo si trova su un banco di roccia che lato San Nicolò tende a franare, il sentiero era stato ricavato lungo la parete rocciosa (qui da giovane avevo trovato dei fossili) e poi spostato e allargato. E’ però evidente che il sentiero non subisce manutenzione da un bel po’, il nuovo sentiero scende (già da un bel po’) lungo un costone relativamente stabile fra due zone franose e parte poco più avanti, lungo il sentiero che porta verso il Buffaure.

Cominciamo a scendere, su sentiero ripido ma ben tenuto, tutto sommato il biker che abbiamo incontrato durante la salita si sarà divertito! Raccogliendo qua e là qualche piccolo rifiuto o mascherina, raggiungiamo in breve tempo il bosco, mentre comincia a scendere qualche goccia. Il panorama sulla nostra destra è lunare: il versante destro della valle San Nicolò è costituito da ripidi pascoli sormontato a tratti da dolomia e roccia vulcanica, ma accanto a noi c’è un brullo canalone, roccia che pare sfogliarsi a cipolla lungo una piega degli strati di base, i cui frammenti precipitano a valle e vengono trascinati nelle piene. Spesso da queste parti si scatenano violenti temporali, il torrente può gonfiarsi rapidamente e innescare frane, con conseguenze anche drammatiche.

Nella parte bassa del percorso, un tratto del sentiero è franato, il passo si fa un po’ difficoltoso per superare radici, sassi, vuoti e dislivelli, sul morbido terreno scuro del sottobosco. Arriviamo poi a lato del torrente, sul fondovalle, il sentiero si innesta sulla sterrata poco sotto Baita alle Cascate. Percorriamo la strada in discesa, chiacchierando e guardandoci intorno. Io adoro questa valle, questi pascoli punteggiati da baite e fienili mi danno un senso di pace, ma quando vedo certe cose mi incazzo: santo cielo, se ti porti il cane a spasso e raccogli i suoi scarti organici sei persona educata, ma se poi infili il sacchetto in una tana di marmotta sei doppiamente coglione.

A proposito di senso di pace… Questi posti hanno visto cose che con la pace hanno ben poco a che fare: qui durante la grande guerra sorgeva un campo base dell’esercito austriaco. A ricordarlo ci sono cippi, lapidi, pannelli informativi… e alcuni reperti rinvenuti durante la ristrutturazione di una baita. La Val di Fassa era infatti territorio austriaco e il confine correva sulle cime vicine. La Val San Nicolò era il luogo ideale per alimentare la prima linea e i campi in quota, come quello che sorgeva ai piedi di Passo delle Selle. Su queste creste e nelle trincee di confine hanno trovato la morte tantissimi giovani strappati a famiglia e lavoro, o allo studio. Giovani parlanti mille lingue e dialetti, da una parte e dall’altra del confine, che la guerra l’hanno subita o nella quale hanno creduto prima di rendersi conto che essere mandati al macello sotto i colpi del nemico non ha nulla di romantico.

Ci fermiamo a Baita Ciampié per la merenda, per poi affrontare l’ultimo tratto asfaltato fino a Sauch, dove ora c’è la fermata della navetta.

Dati percorso

  • Lunghezza 15km 500m
  • Dislivello positivo 924m
  • Dislivello negativo 640m

Vedi il percorso su Strava

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