Sarà un mio limite, ma io la “mania” di far partire il Giro d’Italia dall’estero non l’ho mai capita. Passi qualche sconfinamento nei paesi limitrofi, che è comprensibile, ma prevedere “pacchetti” di tappe in nazioni distanti, costringendo l’intera carovana a fare spostamenti di ampio raggio con l’anticipazione del giorno di riposo a metà della prima giornata di gara, non lo trovo logico.
Mi sembra che così il Giro venga ridotto ad un semplice marchio da cedere in franchising, mentre dovrebbe essere qualcosa di più: un lungo filo che collega località anche sconosciute della nostra Italia, con la ricerca di nuovi percorsi e salite, personaggi, tradizioni, monumenti e bellezze naturalistiche. Invece si finisce col penalizzare molte Regioni, e già con un Giro “autarchico” si finisce con il trascurare le Regioni meridionali e la Sardegna, figuriamoci con sconfinamenti così macroscopoci.. E i casi, negli ultimi decenni, sono stati numerosi. Anzi, sembra sia stata instaurata una “prassi” che vuole una partenza all’estero negli anni pari:
- 1996: Grecia
- 1998: Francia
- 2002: Olanda
- 2006: Belgio
- 2010: Olanda
- 2012: Danimarca
- 2014: Irlanda
- 2016: Olanda
Mi viene da dire che, forse, avrebbe più senso organizzare una specie di Tour d’Europa, un circuito di gare con tracciati che toccano alcune città europee, attraversando i confini. Forse potrebbe anche aiutare a cementare il senso di appartenenza ad una comunità transnazionale… e ce ne sarebbe anche bisogno, visto che l’Europa è considerata, a torto o ragione, la fonte di tutti i nostri mali. E se un fondo di verità c’è, in un ragionamento del genere, bisogna anche dire che è comodo, per chi deve reggere le sorti di uno Stato, scaricare la colpa delle proprie incapacità legislative, organizzative, di pianificazione, su una causa esterna, un capro espiatorio, manco si trattasse delle Edizioni del Taglione e di Benjamin Malaussène. Ma non divaghiamo troppo…
Detto ciò, con questo Giro d’Italia, secondo me, si è varcato il limite. Con l’idea di partire fuori dall’Europa, la si è fatta fuori dal vaso.
Trovo l’idea di partire da Israele una follia e un errore strategico e politico.
Una follia perché partire da uno stato così instabile, dovendo garantire la sicurezza di tutti, lo trovo troppo rischioso.
Ma il motivo del rischio riporta alle questioni strategiche e politiche. Israele è uno stato piccolo e “giovane”, che trae origine e si regge sui soprusi, sulla violenza. Soprusi e violenze che hanno attraversato la storia dell’Europa per secoli, sfociando nell’immane tragedia dell’Olocausto, ma che, in un modo che personalmente trovo assurdo, sono stati travasati nel Medio Oriente quando, all’atto della nascita di Israele, di fatto i Palestinesi sono stati privati della loro terra e sono stati via via spinti in poche zone, con sempre meno possibilità di muoversi, di lavorare, di studiare, di curarsi e alimentarsi correttamente.

L’operato di Israele è stato più volte condannato dall’ONU, ma le risoluzioni sono state abbondantemente disattese. Ed è per la storia di Israele che non capisco questa scelta. Tutto ciò può essere visto come una legittimazione di ciò che il governo Israeliano sta facendo a danno dei cittadini palestinesi, il tutto caricando i ciclisti della responsabilità morale di questa scelta, esponendoli anche alle rimostranze dei cittadini palestinesi che non riescono a far sentire la propria voce ai potenti della terra.


Yaser Muraja
Per questo, e altro, sono state lanciate numerose iniziative volte a spostare le prime tappe del Giro. Una di queste è la campagna #CambiaGiro, lanciata alcuno mesi fa.
E ciò che è successo in questi giorni è a dir poco agghiacciante: tiratori scelti appostati sulle dune per sparare contro i manifestanti palestinesi, anche senza avere visibilità su ciò che succede al di là del confine di Gaza; Yaser Muraja, un giornalista con pettorina “Press”, morto perché colpito allo stomaco mentre documentava la manifestazione al confine. Yaser, il 24 marzo, aveva scritto sul suo profilo Facebook, commentando un’immagine aerea di Gaza:
Mi auguro, un giorno, di scattare questa stessa foto. Mi chiamo Yaser Murtaja, ho 30 anni, vivo a Gaza e non ho mai viaggiato in vita mia.
E ieri è passato sui media un video amatoriale nel quale si sentono nitidamente soldati israeliani esultare perché uno di loro ha colpito un cittadino palestinese inerme. L’esercito israeliano ha aperto una inchiesta (ha confermato l’autenticità del video, che a quanto pare risale a dicembre). La frontiera della striscia di Gaza come un poligono di tiro, con bersagli veri. Disarmati. Innocenti.
La prima tappa del Giro 2018 è dedicata a Gino Bartali, Giusto fra le Nazioni per ciò che ha fatto per aiutare molti Ebrei perseguitati del regime fascista, è questa è un’ottima cosa, ma… siamo sicuri che Ginettaccio apprezzerebbe ciò che sta succedendo in Israele?
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