Alcuni anni fa, ad uno dei corsi di inglese ai quali ho partecipato con scarso successo, l’insegnante ha lanciato un tema di discussione: parlate di una persona che ammirate e spiegate perché la considerate un esempio.
Lo ammetto, inizialmente sono andata nel panico e non solo perché il mio vocabolario limitato avrebbe escluso alcuni argomenti di discussione: il fatto è che non c’era una persona che svettava sopra tutti, perché c’erano persone che stimavo per alcuni aspetti e meno per altri. Ai tempi poi non è che fossi particolarmente “impegnata”, mi rifacessero ora quella domanda avrei un pochino più di scelta (a parità di terminologia). Certo, avrei potuto parlare di quello che per me era ed è il dio della 6 corde, Mark Knopfler, ma non mi sembrava che il tema della discussione riguardasse quel genere di idoli.
Poi mi sono resa conto che l’unica persona di cui avrei potuto parlare era Alex Zanardi.
La forza d’animo, il coraggio con cui ha saputo reinventarsi una vita dopo l’incidente che lo ha quasi ucciso e che gli ha portato via le gambe sono un esempio per tutti, un invito a prendere in mano la propria vita e a buttarsi in sfide sempre nuove, con coraggio, ironia e il sorriso sulle labbra.
Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa
Alex Zanardi
Se ci pensate, parlando di una persona con disabilità motoria si usa spesso l’espressione “costretto sulla sedia a rotelle”, ma per quanto riguarda Zanardi una frase del genere a me sembra fuori luogo: ovvio che lui avrebbe preferito non farlo mai, quell’incidente, ma con la hand bike ha saputo fare cose che definire “fuori dal comune” è riduttivo, collezionando imprese e medaglie. Quello che per altri è una “costrizione”, lui lo ha trasformato in un nuovo strumento di espressione, di libertà.
Ora che un nuovo incidente sulle strade della Toscana lo ha portato a rischiare nuovamente la vita, e forse a perdere ancora qualcosa, non si può che tifare per lui. Ed è naturale che, escludendo gli odiatori seriali che si palesano ad ogni occasione, ci si trovi uniti nel sostenerlo, ma ne giorni scorsi è successa una cosa che mi ha profondamente disturbato e che mi ha fatto riflettere.
Enrico Mentana, che con le parole ci lavora, ha scritto sulla sua pagina Facebook:
A volte succede perfino da noi. Un paese che era già rissoso, e che si è incattivito ancor di più nel lungo assedio del virus, si scopre in un attimo unito a trepidare per il suo eroe fragile, per il suo campione che ancora una volta lotta per la vita. È l’ennesimo regalo che ci fa Alex Zanardi, e non vogliamo che sia l’ultimo.
Eh, no, qui non ci siamo. È proprio una questione di scelta delle parole.
Non si può usare il termine “regalo” per parlare del dramma di una persona che sta lottando per la vita, nemmeno se questo dramma ha un effetto collaterale positivo sulla società. E poi… Quale dovrebbe essere l’effetto aggregativo per i cittadini? Ci si può veramente accontentare di fare il tifo per una persona, così come abbiamo fatto, ad esempio, per infermieri e medici… finché non abbiamo scoperto di averne uno che abita vicino a casa, perché allora no, è pericoloso e può trasmettere il virus? Così come qualcuno se ne è uscito con un “se l’è cercata” parlando dell’incidente di Alex?
Il senso di unione a sostegno di una persona che sta lottando è solo una cosa passeggera se non è accompagnata da una unione di valori, perché sono quello il vero collante della società. Certo, le persone possono farsi veicolo di questi valori, esattamente come ha saputo fare Zanardi, che in questo senso di regali ce ne ha fatti tanti e valgono ben più delle medaglie che ha conquistato sotto la bandiera italiana. Ma questo “senso di unione” non è affatto un regalo.
Alex è prima di tutto un uomo, con famiglia, affetti e passioni. Considerare solo l’aspetto simbolico lo disumanizza, lo rende un oggetto, e personalmente non lo trovo giusto, oltretutto mi sembra una una profonda mancanza di rispetto nei confronti dei familiari.
Il regalo lo attendiamo con ansia, invece, sperando che Alex riesca ad uscire da questa brutta esperienza più forte di prima e in grado di trasmettere emozioni così come sa fare. Soprattutto, il regalo se lo deve fare lui, con il supporto dei medici e della sua famiglia.
Di persone così, in un mondo maledettamente incattivito, ne abbiamo tanto bisogno, ma dobbiamo anche ficcarci in testa, una volta per tutte, che non basta aggrapparsi a delle persone, considerandole quasi degli esseri mitologici, per diventare di colpo delle persone migliori. Altrimenti i valori che queste persone cercano di portare avanti rimangono, se va bene, un modo per lavarsi la coscienza, ma in sostanza non cambia nulla.
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