Lunghi periodi di siccità, precipitazioni intensissime, frane e smottamenti, trombe d’aria, alluvioni, estati molto calde, inverni miti e con poca neve a inizio inverno, nevicate tardive (quando ci sono). Possiamo far finta di non capire, ma i cambiamenti climatici sono ormai cosa reale, e non previsioni catastrofiche da film hollywoodiano ad alto budget. Possiamo anche dare la colpa a Satana, ma di diabolico c’è solo la capacità dell’uomo di voler piegare il mondo in funzione delle sue comodità, del profitto, del potere, senza preoccuparsi degli effetti di lungo periodo, senza riflettere su una cosa basilare: per quanti soldi si possano fare ora, sarebbe anche il caso di mantenere un mondo vivibile in cui spenderli in futuro. O chi se lo potrà permettere colonizzerà Marte, lasciando la Terra ai poveracci?
Fermiamoci, ragioniamo. E ascoltiamo chi ne sa più di noi, per capire cosa c’è da fare, quanto tempo abbiamo per intervenire.
Gli ambienti che rappresentano in modo chiaro quello che sta succedendo, senza possibilità di mascherare gli effetti dei cambiamenti climatici (interventi localizzati e sperimentali a parte) sono quelli di alta montagna, e noi, qui in Italia, dobbiamo volgere uno sguardo alle Alpi, e ai ghiacciai che coprono le vette più alte. Qualche anno fa avevo postato La Ritirata, dove avevo raccolto un po’ di dati e immagini sul tema della drastica regressione che stanno subendo i ghiacciai, con particolare attenzione a ciò che succede sull’arco alpino. Ovviamente la situazione è peggiorata. E non di poco.
Questo può avere pesanti conseguenze su biodiversità, sule attività delle popolazioni locali, sulle riserve idriche.
La parola agli esperti
Da un articolo apparso su ilgiorno.it il 07/10/2018, riporto le parole di alcuni studiosi che si occupano del fenomeno.
I primi risultati dei rilievi sui singoli ghiacciai confermano quanto emerso dai dati di confronto dei vari inventari glaciali. Questi ultimi indicano, ad esempio, che per la Valtellina, intesa in senso stretto, quindi senza la Valchiavenna, si è passati da una superficie glaciale di 81 chilometri quadrati negli anni Sessanta, ai 64 kmq del 2007, sino ai 56 kmq del 2016. Questi sono i dati di una ricerca internazionale, cui partecipa anche l’Università di Milano, elaborati dal dottor Davide Fugazza che sta inventariando tutti i ghiacciai delle Alpi, basandosi su immagini da satellite.
Prof. Claudio Smiraglia Dipartimento Scienze della terra dell’Università statale di Milano
I ghiacciai, in Lombardia – negli ultimi 30 anni si sono dimezzati. Dalla fine degli anni Ottanta a oggi si sono persi 25 kmq. In provincia di Sondrio si perdono circa 15-20 metri all’anno e circa due metri e mezzo di spessore. In altre aree è ancora peggio: si arriva anche a 20
Andrea Toffaletti, Servizio Glaciologico Lombardo
In un video di Ansa Live, ripreso nel medesimo articolo de ilgiorno.it, le parole di Roberto Dinale, vicedirettore dell’ufficio idrologico della Provincia di Bolzano, unitamente al confronto di foto di varie epoche, relative a ghiacciai presenti sul territorio altoatesino, che mostrano come si siano ritirati circa del 60-70% a partire dall’ultimo massimo che è stato raggiunto nella seconda metà del 1800 durante la piccola età glaciale. L’intervista a Dinale è riportata in un articolo pubblicato su ansa.it il 31/08/2018
I ghiacciai alpini e quelli altoatesini in particolare non sono ancora malati terminali, ma in forte agonia.
Il 2018 è un anno particolarmente negativo per i ghiacciai. Stimiamo che entro fine settembre la perdita complessiva di spessore sarà di circa due metri rispetto all’anno scorso, mentre in un anno normale le perdite sono generalmente di circa un metro e solo un anno ogni dieci il bilancio di massa risulta positivo. (…) Anche se oggi azzerassimo le emissioni di gas serra, solo tra alcuni secoli ne potremmo tranne dei benefici.
Valtellina, il video denuncia di Greenpeace: “Ghiacciaio Forni dimezzato, è un malato terminale”
Video.repubblica.it, 12/12/2018
«Il Ghiacciaio dei Forni era uno dei più grandi in Italia, ma oggi praticamente non esiste più»: Claudio Smiraglia, glaciologo dell’Università degli Studi di Milano, studia da quarant’anni studia questo ghiacciaio. «Nell’arco di poco più di un secolo – spiega – ha perso quasi il 50% della sua superficie. A metà dell’Ottocento copriva una superficie di circa 20 chilometri quadrati, oggi si estende per poco più di 10 chilometri. Se non cambierà la situazione climatica, entro fine secolo si ridurrà a pezzetti di ghiaccio».
La situazione dei ghiacciai in Valtellina è confermata da Riccardo Scotti, di Morbegno, responsabile scientifico del servizio glaciologico lombardo: i dati dell’inverno 2017-18 sono i peggiori degli ultimi anni. Un trend in linea, purtroppo, con quello dei decenni precedenti, nei quali alcuni sono spariti e gli altri si sono ridimensionati. Le analisi delle ultime stagioni estive sono ancora più allarmanti. L’articolo pubblicato il 26/07/2018 su “La Provincia di Sondrio” riporta un focus su rapporto fra condizioni meteo e evoluzione della situazione.
Il Monviso piange il ghiaccio perduto. E al Gran Paradiso il termometro sale
Le immagine aeree di Nimbus ritraggono montagne desertiche. Un paesaggio reso lunare dall’estate rovente
Il presagio di montagne deserte indica ancora un mezzo secolo. Allora i ghiacci saranno in cima ai monti più alti e il resto sarà offerto ai colori lunari, i rossi del ferro, il beige del calcare. L’estate, la quarta più calda negli ultimi centocinquant’anni, ha ridotto all’agonia ciò che resta dei lembi candidi di ghiaccio nelle Alpi Marittime. Nelle vallate piemontesi a ridosso del Gran Paradiso o del Monviso, ai confini con la Francia, le superfici glaciali, nonostante uno degli inverni più nevosi dall’inizio del Terzo millennio, svaniscono a vista d’occhio. L’ultima ricognizione degli esperti di «Nimbus», rivista e sito web della Società meteorologica italiana, ne sono triste conferma. Il «Re di pietra», il Monviso, sulla sua imponente faccia Sud non trattiene che ventagli glaciali. Le immagini riprese dall’aereo durante la ricognizione di «Nimbus» mostrano il ghiacciaio del Viso diviso in due, con morene affioranti al centro e quello di Sella racchiuso in una conca. Sul lato opposto, il ghiacciaio pensile di Coolidge, che crollò in gran parte nel 1989, appare esile quanto pennellate. Ciò che mostra questa vasta aerea alpina sono grandi colate dei «rock-glaciers», fossili di ciò che fu alla fine delle Piccola era glaciale, intorno al 1870.
Tra il Monviso e le Alpi Marittime si annidano alcuni piccolissimi ghiacciai, in forte disgregazione e prossimi a estinguersi, tuttavia di particolare interesse, molto sensibili al riscaldamento globale
Daniele Cat Berro, dal report di “Nimbus” del 21 settembre
Sono le Alpi a indicarci, come più volte ricordata dai glaciologi e dai meteorologi come Luca Mercalli, il destino della febbre del Pianeta. A Sud-Ovest del Monviso, in Francia, non distante dal confine tra la cuneese Val Maira e l’Ubaye, è rimasta una minigonna glaciale al piede della parete Nord dell’Aiguille de Chambeyron: è il ghiacciaio occidentale De Marinet, mentre il ramo orientale è soltanto memoria. In un secolo il versante Sud-Orientale del Massiccio dell’Argentera (nella Valle Gesso, Cuneo) ha perso il ghiaccio; le sue macchie di neve sono soltanto accumuli di valanga. Resta il ghiaccio delle Alpi Marittime nel gruppo Clapier-Maledia-Gelas. Ma hanno gli anni contati, nonostante siano all’ombra di pareti Nord. «Nimbus» mostra l’immagine del ghiacciaio annerito da detriti e fusione, del ghiacciaio più meridionale di tutta la Catena alpina, quello di Clapier, ai piedi della montagna omonima, il Tremila più a Sud, nella Valle di Entracque (Cuneo), ai confini con la Francia.
Se ci si sposta nel Parco nazionale del Gran Paradiso la diagnosi per le superfici glaciali, così come per il «permafrost», il collante gelido che offre compattezza ai monti, non è certo più ottimistica. Il Ghiacciaio di Ciardoney, in Val Soana, ha perso, secondo le misurazioni di Cat Berro e Luca Mercalli 1,45 metri d’acqua, con una regressione della fronte di 15 metri e mezzo. Dal 1972 ad oggi il ritiro è stato di 460 metri.
Roma – Una mostra per capire
Per testimoniare gli impatti del clima che cambia, in Italia e su tutto il Pianeta, Greenpeace Italia ha organizzato la mostra fotografica “Vento, caldo, pioggia, tempesta. Istantanee di vita e ambiente nell’era dei cambiamenti climatici”, aperta al pubblico fino al 10 marzo 2019 nel Museo di Roma in Trastevere.
«I cambiamenti climatici sono ormai una devastante realtà con la quale dobbiamo fare i cont: nubifragi, ondate di calore, siccità e tutti i fenomeni meteorologici estremi sono sempre più intensi e frequenti. L’unica soluzione è quella di abbandonare carbone, petrolio e gas, accelerare la transizione energetica verso un mondo totalmente rinnovabile, oltre che diminuire il consumo di carne e fermare la deforestazione
Luca Iacoboni, responsabile campagna Clima ed Energia di Greenpeace Italia
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