Va nce tu a lauré cun la roda!

Vi piace fare movimento all’aperto e magari andare in bicicletta al negozio più vicino o al lavoro? Allora inserite i chilometri che percorrete in bici online su www.altoadigepedala.bz.it in qualsiasi momento. Vale sia il viaggio fino in ufficio il lunedì mattina sulla city bike, sia l’escursione con l’e-bike la domenica pomeriggio.
Sperando che altre amministrazioni adottino iniziative simili, tutte le info qui L’Alto Adige pedala

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Ghiacciaio Fellaria, il ghiacciaio che muore

AGENDA DEGLI APPUNTI

Prima di raccontarvi della nostra escursione lungo il sentiero glaciologico Marson che ci ha condotto fino alla lingua orientale del ghiacciaio Fellaria con un post completo di tutte le tracce e le informazioni necessarie per affrontarla, volevo farvi una domanda: avete mai visto un ghiacciaio che sta morendo o meglio, che è già “morto e sepolto”?

Beh, io prima del Fellaria non avevo nemmeno mai visto un ghiacciaio; cioè, non almeno da così vicino.

E a vederlo, il ghiacciaio Fellaria, mi si è stretto il cuore. Sinceramente detto, non credo che fossi pronto ad affrontare un’esperienza del genere.

Pronto fisicamente a camminare per raggiungerlo, quello si.
Ma, mentalmente, non ero pronto a “toccare con mano” i danni del riscaldamento globale.

Certo, l’evoluzione delle cose è naturale, ci sta. Ogni cosa in natura nasce, vive, e muore. Ma vedere il ritiro repentino che negli ultimi 10 anni ha coinvolto la lingua…

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Alla conquista di Cima 12

Se siete in Val di Fassa, avete le gambe buone, non vi spaventano i tratti esposti e cercate un percorso a prova di distanziamento sociale, la salita a Cima 12 fa per voi. La descrizione che segue è relativa alla “salita normale” attraverso i boschi di Pozza di Fassa (ora comune di San Giovanni di Fassa).

Antefatto

Lo scorso anno mio figlio, dopo aver fatto il Re Alberto, ha compilato una specie di “lista della spesa” con le escursioni che voleva fare. Ad un certo punto ha aggiunto anche Cima 12, che sovrasta l’abitato di Pozza di Fassa. Per la precisione, mi ha chiesto di fare la ferrata Gadotti (mi hanno detto che è facile, io però non l’ho mai fatta). Per il momento questa opzione è stata ovviamente scartata, dato che ora il ragazzo ha 11 anni e deve prima imparare a manovrare cordini e moschettoni su qualcosa di molto soft. Mi hanno parlato molto bene anche del percorso sul Sass Aut, ma anche questo è da scartare per i medesimi motivi. Rimane l’opzione sentiero, che ho fatto una sola volta, quasi 30 anni fa. Ho un ricordo piuttosto vago di un paio di passaggi e uno un po’ più vivo di una sensazione fisica: una faticaccia! Del resto, si parte da fondovalle (1300m slm), la vetta è a 2446m e il percorso è “compresso”, quasi tutto su sentiero.

Il percorso è fattibile, a patto di avere gambe buone, non soffrire di vertigini, sapersi muovere su terreno instabile e su sentiero attrezzato.

Propongo quindi di affrontare Cima 12, sapendo che non sarà una passeggiata, ma che ci consentirà di partire senza toccare l’auto (la settimana di ferragosto va usata con parsimonia, soprattutto se non ci si muove prima delle 8). All’ultimo momento Massimo, il mio compagno, decide di aggregarsi. In tre ci avviamo e, da via Meida, imbocchiamo la strada che corre ai piedi del bosco, passando dietro all’Albergo Antico Bagno e ricongiungendosi alla ciclabile per Soraga.

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Da sinistra, Cima 11 e Cima 12. In primo piano, il primo caffè del mattino 🙂

Il percorso

In prossimità del ponticello sull’Avisio che consente di raggiungere San Giovanni, sulla sinistra si stacca uno sterrato con segnava 630, indicazione che va seguita fino in vetta. Ci incamminiamo lungo questa strada, poco dopo incontriamo una nuova deviazione verso sinistra. Sul cartello è stata posta l’indicazione “chiuso per frana”, sul sito dell’APT però il sentiero risulta aperto (avevo verificato prima di partire). Seguiamo pertanto le indicazioni, poco più avanti lo sterrato diventa una mulattiera in corrispondenza di una sbarra verde, sulla quale è ribadito il carrello di chiusura per frana (anche se il punto problematico, come vedremo, sarà ben oltre).

La mulattiera sale rapida nel bosco, oltrepassata un’altra sbarra verde interseca la strada forestale che sale da Soraga. La si attraversa e si continua a salire fino ad incontrare un canalone molto ripido e interessato da uno smottamento: si tratta di un impluvio in materiale detritico che periodicamente scarica acqua, fango e sassi, creando non pochi problemi anche a valle (la sottostante ciclabile è stata più volte invasa dal fango). Qui si è portato via un pezzo di sentiero, esiste però una stretta traccia che consente di attraversare la profonda incisione, richiede però attenzione perché i detriti sul lato sinistro sono instabili. Segnalo che seguendo la sterrata che sale da Soraga (incontrata più sotto), percorrendo al contrario il percorso della Val di Fassa Bike si riesce ad attraversare la frana in un punto più comodo, ma il tragitto si allunga di parecchio, inoltre il percorso non è numerato.

Poco oltre il canalone si raggiunge la radura di Pociacie (1710mslm), dove sorge una baita. Da qui i cartelli segnalano ancora un paio d’ore prima di giungere in vetta.

Pociacie

Si segue sempre il sentiero 630, che torna a salire nel bosco, inizialmente in modo dolce e poi più ripido, passando accanto al tratto sommitale del canalone in frana. Qui incrociamo le uniche due persone che troveremo lungo la salita.

Arrivati alla base della parete rocciosa si svolta a destra e si continua a salire, alternando tratti di ripido sentiero a passaggi su roccette che richiedono l’uso delle mani. Arrivati qui, mio figlio esclama “Guarda!”, mentre io sento un rumore di sassi smosso dietro di me. Con la coda dell’occhio vedo una sagoma scendere veloce e poi fermarsi qualche decina di metri sotto: un camoscio! È la seconda volta che mi capita di incontrarne uno in valle, ma stavolta è vicinissimo. Il tempo di estrarre il telefono di tasca e scattare una pessima foto e la bestia già sta ricominciando a scendere, sparendo fra gli alberi.

Incontri imprevisti

Stupiti per l’imprevisto avvistamento, ma con le gambe che cominciano ad accusare il colpo, riprendiamo a salire lungo il sentiero che, aggirato il Sass da la Luna, punta verso le rocce sovrastanti. Per me, che devo camminare con le fasce elastiche per le ginocchia (altrimenti per scendere mi tocca chiamare l’elicottero) la salita è particolarmente faticosa, inoltre le bacchette qui diventano più un impiccio che un aiuto.

Arriva il difficile…

Il sentiero comincia a sfruttare una serie di cengiette e diedri per salire lo sperone roccioso, in alcuni tratti con l’ausilio di cavi per superare i passaggi più ostici. L’attrezzatura è recente e, sinceramente, non mi pare di ricordare di aver trovato cavi la prima volta che l’ho fatta. In uno di questi tratti, passando sopra un canalone, celebriamo la dipartita degli occhiali da sole di Massimo, che precipitano sulle rocce sottostanti. I passaggi su cavo non sono difficili, ma un pochino esposti (una scivolata qui avrebbe conseguenze parecchio pesanti) e la stanchezza li fa percepire più tosti di quello che sono.

Arrivo sulla sella erbosa (manca poco…)

Raggiungiamo così la cresta erbosa sommitale, all’incrocio col sentiero per il Sass Aut. Da qui in pochi minuti raggiungiamo la croce di vetta, da cui la vista spazia dal Latemar al Catinaccio, ai gruppi del Sassolungo e della Marmolada, fino alle pareti verticali della vicina Cima 11.

In vetta!!!

Missione compiuta in 3h30′ da casa, quindi perfettamente in linea con le tabelle di marcia! Una vista che ripaga abbondantemente la fatica fatta per salire qui e la soddisfazione di addentare un panino godendoci la vetta noi tre da soli.

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Verso l’infinito e oltre!!!

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Il Gruppo del Catinaccio

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Gruppo del Sella

La discesa avviene seguendo il medesimo tracciato, mentre ci dirigiamo all’attacco del sentiero attrezzato incontriamo altre tre persone che avevano percorso la Gadotti. La discesa si rivela particolarmente spaccagambe, alla fine siamo piuttosto provati ma soddisfatti. Chi paga le conseguenze peggiori è indubbiamente Massimo, che negli ultimi anni si è dedicato esclusivamente alla bici, lasciando a me il compito di “svezzare” il pargolo sui sentieri delle nostre vacanze. Ora che il ragazzo viaggia più di me ha voluto fare un po’ il “ganassa” imbarcandosi in una escursione fisicamente impegnativa al primo giorno utile di ferie.

Nota a margine. In una estate nella quale già a luglio si raccontano di ressa da centro commerciale il primo giorno di saldi per vedere il lago di Braies, o di file chilometriche per prendere la funivia del Sass Pordoi, noi abbiamo incontrato cinque persone (più una famigliola con prole nel tratto di bosco vicino alla ciclabile di fondovalle). Questa non è certo una escursione per tutti, ma, con un po’ di fantasia e affidandosi al parere di chi conosce il territorio, si possono tranquillamente fare escursioni senza avere l’impressione di essere sui navigli all’ora dell’Ape. Insomma, ogni tanto lasciate perdere le foto fighe su istagram e consultate una guida, non ve ne pentirete.

Dati tecnici

Secondo Strava, fra andata e ritorno abbiamo fatto 11km e 1367m D+. Sinceramente, il dislivello mi pare sovradimensionato, ma non è comunque inferiore ai 1200m D+

https://www.strava.com/activities/3892430838/embed/f90cc422a20d47a14507176a0400b9b1eba17606

Tracciato dell’escursione

Altimetria

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Val Grande di Vezza, anello da Tù

In attesa di pubblicare qualcosa di mio (sono tornata, finalmente, nelle dolomiti), ecco qualche spunto per un’escursione in val Camonica

SENTIERI CAMUNI

VGRANDE_05 Bellissimo panorama sulla Val Grande

Come arrivarci

Alla partenza

Arrivati a Vezza d’Oglio saliamo in auto in centro, svoltiamo a sinistra imboccando via Dante Alighieri. Una volta usciti dal paese, arrivati a un bivio, prendiamo la strada di destra e proseguiamo fino ad arrivare nella piccola frazione di Tù: superata la chiesetta, continuiamo per la strada più bassa; saliamo, lasciandoci alle spalle il vecchio edificio che ospitava le scuole e proseguiamo fino a incontrare un parcheggio, appena prima di una sterrata che porta in Val Grande, dove lasciamo l’auto.

Il sentiero

Partiti dal parcheggio, proseguiamo dritto per la sterrata che si inoltra in Val Grande per circa 5 minuti, fino ad arrivare a una santella. A questo punto prendiamo la stradetta di destra che inizia subito con una ripida salita. Una volta terminata l’iniziale salita, abbiamo a destra un fitto bosco e, alla nostra sinistra, tra gli arbusti, intravediamo…

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Il coraggio di Alex (e le nostre ipocrisie)

Alcuni anni fa, ad uno dei corsi di inglese ai quali ho partecipato con scarso successo, l’insegnante ha lanciato un tema di discussione: parlate di una persona che ammirate e spiegate perché la considerate un esempio.

Lo ammetto, inizialmente sono andata nel panico e non solo perché il mio vocabolario limitato avrebbe escluso alcuni argomenti di discussione: il fatto è che non c’era una persona che svettava sopra tutti, perché c’erano persone che stimavo per alcuni aspetti e meno per altri. Ai tempi poi non è che fossi particolarmente “impegnata”, mi rifacessero ora quella domanda avrei un pochino più di scelta (a parità di terminologia). Certo, avrei potuto parlare di quello che per me era ed è il dio della 6 corde, Mark Knopfler, ma non mi sembrava che il tema della discussione riguardasse quel genere di idoli.

Poi mi sono resa conto che l’unica persona di cui avrei potuto parlare era Alex Zanardi.

La forza d’animo, il coraggio con cui ha saputo reinventarsi una vita dopo l’incidente che lo ha quasi ucciso e che gli ha portato via le gambe sono un esempio per tutti, un invito a prendere in mano la propria vita e a buttarsi in sfide sempre nuove, con coraggio, ironia e il sorriso sulle labbra.

Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa

Alex Zanardi

Se ci pensate, parlando di una persona con disabilità motoria si usa spesso l’espressione “costretto sulla sedia a rotelle”, ma per quanto riguarda Zanardi una frase del genere a me sembra fuori luogo: ovvio che lui avrebbe preferito non farlo mai, quell’incidente, ma con la hand bike ha saputo fare cose che definire “fuori dal comune” è riduttivo, collezionando imprese e medaglie. Quello che per altri è una “costrizione”, lui lo ha trasformato in un nuovo strumento di espressione, di libertà.

Ora che un nuovo incidente sulle strade della Toscana lo ha portato a rischiare nuovamente la vita, e forse a perdere ancora qualcosa, non si può che tifare per lui. Ed è naturale che, escludendo gli odiatori seriali che si palesano ad ogni occasione, ci si trovi uniti nel sostenerlo, ma ne giorni scorsi è successa una cosa che mi ha profondamente disturbato e che mi ha fatto riflettere.

Enrico Mentana, che con le parole ci lavora, ha scritto sulla sua pagina Facebook:

A volte succede perfino da noi. Un paese che era già rissoso, e che si è incattivito ancor di più nel lungo assedio del virus, si scopre in un attimo unito a trepidare per il suo eroe fragile, per il suo campione che ancora una volta lotta per la vita. È l’ennesimo regalo che ci fa Alex Zanardi, e non vogliamo che sia l’ultimo.

Eh, no, qui non ci siamo. È proprio una questione di scelta delle parole.

Non si può usare il termine “regalo” per parlare del dramma di una persona che sta lottando per la vita, nemmeno se questo dramma ha un effetto collaterale positivo sulla società. E poi… Quale dovrebbe essere l’effetto aggregativo per i cittadini? Ci si può veramente accontentare di fare il tifo per una persona, così come abbiamo fatto, ad esempio, per infermieri e medici… finché non abbiamo scoperto di averne uno che abita vicino a casa, perché allora no, è pericoloso e può trasmettere il virus? Così come qualcuno se ne è uscito con un “se l’è cercata” parlando dell’incidente di Alex?

Il senso di unione a sostegno di una persona che sta lottando è solo una cosa passeggera se non è accompagnata da una unione di valori, perché sono quello il vero collante della società. Certo, le persone possono farsi veicolo di questi valori, esattamente come ha saputo fare Zanardi, che in questo senso di regali ce ne ha fatti tanti e valgono ben più delle medaglie che ha conquistato sotto la bandiera italiana. Ma questo “senso di unione” non è affatto un regalo.

Alex è prima di tutto un uomo, con famiglia, affetti e passioni. Considerare solo l’aspetto simbolico lo disumanizza, lo rende un oggetto, e personalmente non lo trovo giusto, oltretutto mi sembra una una profonda mancanza di rispetto nei confronti dei familiari.

Il regalo lo attendiamo con ansia, invece, sperando che Alex riesca ad uscire da questa brutta esperienza più forte di prima e in grado di trasmettere emozioni così come sa fare. Soprattutto, il regalo se lo deve fare lui, con il supporto dei medici e della sua famiglia.

Di persone così, in un mondo maledettamente incattivito, ne abbiamo tanto bisogno, ma dobbiamo anche ficcarci in testa, una volta per tutte, che non basta aggrapparsi a delle persone, considerandole quasi degli esseri mitologici, per diventare di colpo delle persone migliori. Altrimenti i valori che queste persone cercano di portare avanti rimangono, se va bene, un modo per lavarsi la coscienza, ma in sostanza non cambia nulla.

Alex, ti aspettiamo.

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Ottobre is the new “28 maggio”

All’arrivo a Valdidentro, in una giornata piuttosto grigia, balzano agli occhi i tocchi di colore degli “addobbi” colorati distribuiti per il paese, con la presenza del caratteristico “rosa giro d’Italia”. Le bandiere del Giro si alternano a quelle con il logo del comprensorio Bormio-Valdidentro, mentre nella rotonda davanti alla chiesa di Isolaccia campeggia un totem con il logo del Giro d’Italia e la sagoma rosa stilizzata delle torri di Fraele, elemento simbolo del paesaggio e ubicate poco prima dell’arrivo della tappa n°18, la Pinzolo – Laghi di Cancano.

Isolaccia – Valdidentro (So)

Normalmente verrebbe da dire “ancora qui?”, ma in fondo essere sede di arrivo di una tappa del Giro è un veicolo pubblicitario da sfruttare a lungo. In quest anno così strano però è più un “già qui?”: con la pubblicazione del nuovo calendario UCI versione post Covid19, il Giro è slittato al periodo 3-25 ottobre. Alcune insegne riportano ancora la data originaria del 28 maggio, le tappe non sono ancora definite (sul sito ufficiale le date aggiornate non ci sono nemmeno), per trovare la nuova data sono dovuta andare su Wikipedia: a quanto pare sarà il 22 ottobre.

Piazza IV novembre. Ufficio turistico, chiesa, fontana, bar… E totem

Sinceramente sono molto perplessa. Capisco gli interessi economici in ballo, il prestigio di avere comunque il proprio tour nazionale o la propria classica, ma un’intera stagione con tour, classiche e trofei internazionali tutto compresso fra agosto e metà novembre mi pare una follia. Come fanno notare su skysport, il 25 ottobre ci sarà la tappa finale del Giro, una tappa della Vuelta e nientepopdimenoche… la Parigi Roubaix.

Oltre a non esserci copertura TV adeguata per tutte le gare, ad avere due occhi l’appassionato… Di quanti atleti di livello deve disporre una squadra per gestire un calendario del genere? E chi sacrificherà una classica per un tour o viceversa?

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Ai piedi delle Torri

Me lo ero ripromessa nel 2018, missione compiuta nel 2019. Ho portato lo gnomo (o ex tale) al Re Alberto, ai piedi delle Torri del Vajolet.

Ho creato un mostro. Mio figlio zompetta allegramente su sentieri su roccette, macina metri di dislivello come niente e io faccio quasi fatica a stargli dietro (anche se non è proprio tutta colpa mia, i tutori per le ginocchia ostacolano i movimenti e mi stancano, ma senza sarebbe pure peggio).

Ci ho messo qualche anno, ma c’è l’ho fatta. In passato si riusciva a portarlo in giro solo organizzando complotti da spia navigata, nel 2018 lo avevo portato a Passo Principe sorbendomi una buona dose di improperi. Questa estate c’è stato il salto di qualità, con un trittico di escursioni di tutto rispetto (Lagusel, che aveva già fatto, seguita da Re Alberto e Cima 11). Il giovane a dieci anni sta quasi per raggiungermi in altezza (oddio, sai che fatica… 😦 ) e ha due gambe belle robuste, inoltre ha sempre preferito sentieri sconnessi alle tranquille forestali (sulle quali, invece, scassava allegramente la uallera). Ora ci ha proprio preso gusto, anzi per l’estate prossima abbiamo come obiettivo il Piz Boè (lo ha chiesto lui, eh..).

Coronavirus permettendo, ovviamente…

Dunque, torniamo a noi.

Della Conca del Gardeccia e delle escursioni che partono da qui ho già parlato altre volte. Ad esempio, nel post sull’escursione a Passo Principe avevo descritto il tratto dal Gardeccia fino ai rifugi Vajolet e Preuss. Dall’estate del 2019 però la riorganizzazione del servizio trasporti in Val di Fassa e l’imposizione di maggiori vincoli di accesso alle convalli, con l’eliminazione del servizio navetta per il Gardeccia, costringe ad allungare un po’ il tragitto. Noi siamo andati (a piedi) alla partenza della seggiovia di Pera e abbiamo preso i due tronconi del rinnovato impianto che porta a Pian Pecei. Da qui si può raggiungere il Rifugio Gardeccia seguendo due diversi percorsi: oltre al percorso “classico”, la forestale su cui si innesta, in prossimità dell’ex Rifugio Catinaccio, il sentiero che arriva dal Ciampedie (contrassegnato dal segnavia n°540), c’è anche il Sentiero delle Leggende, che segue un percorso più basso e, dopo esser passato accanto a un paio di baite situate in posizione invidiabile (panoramica e tranquilla), sbuca nel piccolo spiazzo in precedenza utilizzato come “capolinea” del servizio navetta.

Lungo il Sentiero delle Leggende

Pausa ruminati

All’andata abbiamo seguito il Sentiero delle Leggende, così chiamato perché lungo il percorso ci sono tabelloni con alcune delle più famose leggende ladine: misura circa 3km e il dislivello è molto contenuto, ed è meno frequentato della forestale. Con molta calma (e un quasi scambio di bacchette con una mia omonima), passando al cospetto di placide mucche intente a ruminare, siamo arrivati al Gardeccia, impiegando meno di un’ora. Dopo una salutare (per me) pausa caffé ci siamo rimessi in cammino in direzione rifugio Vajolet (segnavia 546), lungo il medesimo percorso seguito per salire a Passo Principe.

Ex Rifugio Catinaccio

Rifugio Preuss

Rifugi Vajolet e Preuss. Sullo sfondo Passo Principe

Qui ci siamo concessi una pausa cibo, prima di imboccare in sentiero n°542 che, su roccette, in circa un’ora consente di superare i 400m di dislivello che separano dalla meta.

Gli ultimi 400 metri (in verticale)

Rifugi Vajolet e Preuss e la sottostante conca del Gardeccia

Via le bacchette, qui, perché sono d’impiccio. Il primo tratto del sentiero, un po’ sconnesso, permette di prendere quota piuttosto rapidamente, si arriva poi al tratto su rocchette, dove vari spezzoni di cavo d’acciaio consentono di tenersi per superare i passaggi più complessi senza scivolare. Il continuo passaggio di persone ha consumato qualche appoggio, rendendolo un po’ scivoloso in caso di sentiero umido, ma i cavi sono utili soprattutto in discesa, o comunque quando si incrociano persone sul percorso, perché lo spazio è poco, un occhio non troppo avvezzo può aver difficoltà ad individuare i segni biancorossi e, obiettivamente, qui le mani per salire servono.

Intendiamoci, non è una scalata e non può essere considerata certo una ferrata, ma non è un sentiero facile. Mi è capitato di vedere persone faticare non poco ed è da evitare se si teme il vuoto, ma è un percorso di gran soddisfazione, e guidare un bambino alla scoperta di questo mondo magico, raccontando le storie dei luoghi, i tuoi ricordi di ragazza, le tue emozioni, insegnargli come ci si muove in questo ambiente e vederlo salire spedito ed entusiasta… è ancora più bello. E può anche essere occasione per “portarsi avanti col programma”, spiegando come ci si comporta quando non basta una manina messa lì per sentirsi tranquilli tenendosi al cavetto, ma ci vogliono moschettoni e cordino per procedere in sicurezza.

Ci siamo quasi…

Gli escursionisti giù al rifugio Vajolet si fanno puntini, mentre si passa sotto la teleferica e i cavetti di sicurezza finiscono, con il sentiero che ora è ricavato su brecciolino scivoloso o lungo il passaggio della condotta dell’acqua, mentre si cominciano ad intravedere le sagome colorate degli scalatori armeggiare sulle pareti.

La pendenza si riduce e, mentre la conca si apre, spunta il tetto del rifugio Re Alberto e sulla destra le Torri del Vajolet si mostrano, finalmente, con la loro inconfondibile ed elegante sagoma, un ricamo di roccia che si staglia sul cielo azzurro: da sinistra, la Delago, la Stabeler, la Winkler. E il mio ometto, soddisfattissimo, si gode il panorama… e pensa a cosa ordinare per pranzo…

Al cospetto delle Torri del Vajolet

Intanto ci guardiamo intorno, il laghetto è decisamente ridimensionato rispetto all’ultima volta che sono salita qui. Escursionisti si muovono come formichine lungo la traccia che porta a Passo Santner, punto di arrivo per la ferrata che sale dal lato altoatesino del gruppo montuoso (non è difficile ed è divertente, si presta ad un bellissimo giro ad anello, condizioni dei sentieri permettendo (a inizio estate 2019 alcuni sentieri della zona erano stati chiusi per smottamenti).

Verso Passo Santner

Ettore cerca Bolzano fra le nuvole

Salendo un po’ rispetto alla conca del rifugio, proprio sotto alle torri, si raggiunge un punto estremamente panoramico, da qui si vede verso Tires e Bolzano, ma, essendo il punto di incontro dei flussi d’aria che salgono dai due versanti, è frequente che qui si formino delle nuvole: succede anche stavolta, con turbini che rimescolano l’aria carica di umidità ostacolando la vista sulla vallata sottostante.

Rifugio Re Alberto

E al rifugio, mentre io mi ordino un minestrone reintegra liquidi, Ettore ordina una pasta al ragù che avrebbe messo in difficoltà un camionista, per la prima volta lo vedo arrendersi e lasciare lì, nel fondo della zuppiera (perché a chiamarlo piatto ci vuol coraggio) un po’ di pasta.

Finito il pranzo, messo il timbro sul Passaporto delle Dolomiti ed acquistato il magnete che ora adorna il nostro frigorifero, ci rimettiamo in marcia per scendere. E qui faccio una considerazione: capisco che non tutti sappiano muoversi agevolmente in montagna, ma se oltre a far fatica ti fermi pure per foto ricordo di gruppo in un posto infognato, bloccando il passaggio per qualche minuto e costringendo gli altri a star fermi in posizione scomoda per dar modo di decidere chi deve scattare la foto, attendere il ritardatario e metterti in posa, beh allora non è questione di agibilità fisica… È che sei un pochino infame… (scusate lo sfogo…).

Souvenir (lo vendono solo qui)

Dal Preuss, fuori le bacchette e poi giù verso il Gardeccia, perché è ripido e si scivola. In corrispondenza dello sbocco della forestale nella conca noto una cosa a cui non avevo fatto caso salendo. Di lato alla strada c’è un edificio fatiscente di forma rettangolare: ricordo che i primi anni che venivo qui c’era un negozietto di souvenir e (forse) di generi alimentari. Beh, è in vendita. Se qualcuno volesse cimentarsi in un’impresa epica…

Poco sotto si celebra il rito della pausa merenda alla Baita Enrosadira, che ha una terrazza affacciata sulla valle ed è in posizione più tranquilla rispetto al Gardeccia. Le mie gambe sono stanche, i tutori fanno sentire gli effetti della limitazione alla circolazione. E qui anche Figlio comincia ad essere un po’ affaticato, ma la torta che si mangia resusciterebbe i morti.

Vendesi (rudere)

Da qui prendiamo l’agevole forestale che conduce fino a Pian Pecei, punto di snodo per gli impianti di risalita (alcuni attivi anche in estate), arrivo della “fly line” del Ciampedie e…frequentatissimo pascolo 😊, qui riprendiamo la seggiovia che ci riporta a Pera.

Dati tecnici

Dislivello in salita/discesa: 810m circa

Tempo di salita: 2h45′

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Val Breguzzo con le ciaspole

Vacanze di Natale, occasione più unica che rara per pestare un po’ di neve tutti insieme e per far provare le ciaspole al figlio. Muoversi all’ultimo minuto costringe a dover adattare il programma alla sistemazione che si riesce a trovare. Direi che è andata bene, nel complesso: abbiamo passato due giorni in Trentino, fra Valli Giudicarie e Val Rendena, alloggiando in un B&B a Tione.

Salita verso il Trivena

Val Breguzzo e rifugio Trivena

Per la prima escursione abbiamo scelto un itinerario non impegnativo ma con dislivello dignitoso in Val Breguzzo, che è una valle laterale delle Giudicarie inferiori. Ricade nel territorio del Parco Naturale Adamello Brenta, appartiene al bacino idrografico del Sarca ed è percorsa dal torrente Arnò, suo affluente di destra, che nella parte alta si divide in due corsi distinti: l’Arnò ed il Roldòne. Le cime che la delimitano appartengono al Gruppo dell’Adamello-Sottogruppo del Breguzzo.

Si tenga presente che la zona è a rischio valanghe: dopo Pont d’Arnò c’è un cartello con indicazione dei canaloni a rischio e lungo il tragitto le zone critiche sono segnalate (e non si tratta di allarmismo…). È opportuno consultare preventivamente il bollettino valanghe.

Ora siamo tranquilli 😌

Come arrivare

La valle si imbocca nell’abitato di Breguzzo (comune di Sella Giudicarie).

Arrivando da Tione (da Madonna di Campiglio o Trento), si prende una deviazione sulla destra, ben segnalata. Arrivando da sud (Brescia) il cartello di avviso deviazione è prima del ponte, l’incrocio segnalato è poco più avanti, ma la svolta a sinistra è poco agevole: è più comodo svoltare appena dopo ilnponte, seguendo le indicazioni per il parco avventura e il noleggio bici (cartello arancione, svola sinistra e all’incrocio in cima alla salita ancora a sinistra).

Si risale la valle fino a Pont d’Arnò, poco dopo si attraversa il ponte e si prosegue ancora per qualche centinaio di metri.

In funzione dell’innevamento, si può parcheggiare in prossimità del Parco Avventura o proseguire fino alla centrale. Fino qui abbiamo trovato la strada pulita, oltre c’era un po’ di neve e ghiaccio ma volendo si poteva proseguire fino al parcheggio di Ponte Pianone.

Parco Avventura

Itinerario

Come riferimento prendiamo i 1150 m slm del Parco Avventura, ubicato in corrispondenza del l’innesto della valle del Roldòne.

Fra la centrale e il parcheggio

Si segue la strada che costeggia l’Arnò in destra idrografico, si passa accanto alla centrale e si raggiunge il parcheggio. Già in questo tratto sono indicate le zone a rischio scarica, le zone più a rischio le si incontra più avanti.

Dal parcheggio il percorso “standard” e certamente più sicuro segue la forestale che, passato il ponte, svolta a sinistra e sale nel bosco con qualche ampia curva e pendenze abbordabili. Noi abbiamo trovato la pista battuta molto bene, inizialmente con poca neve e qualche tratto un po’ scivoloso ma si poteva salire tranquillamente con gli scarponi. Man mano che si prosegue la coltre nevosa aumenta di spessore… e le pendenze aumentano, mentre lancio una “sfida” al mio compagno: vieni a farla in mtb?

Dopo il parcheggio

Con un doppio tornante si supera Malga Acquaforte (1374m slm), in questa zona sulla sinistra si stacca un sentiero nel bosco che riporta verso il parcheggio (ne parlerò successivamente).

Le pendenze salgono ulteriormente, man mano che si sale e la valle si apre diventa evidente che salire qui con bici “muscolare” non è proprio così facile. La forestale in un paio di punti si riduce ad un sentiero ricavato sulle scariche di valanghe scese ad inizio stagione a causa delle copiose nevicate, ma si procede comunque senza problemi, anche se la neve è meno compatta.

Un po’ più ripido…

Ancora qualche curva e si guadagna la vista del rifugio Trivena, ai piedi di una conca che è un paradiso per scialpinisti. Proseguire oltre richiede l’uso delle ciaspole e neve ben assestata, ma i dislivelli si fanno impegnativi. La quota qui non è infatti particolarmente elevata, siamo intorno ai 1650… Le creste circostanti sono anche 1000m più in alto!

Ecco il Trivena!

Qui ci si rende conto di quanto ha nevicato prima di Natale, il cappello bianco sui massi erratici la dice lunga!

Panoramica della conca

Ci rifocilliamo al rifugio e poi ci rimettiamo in marcia, prima però facciamo indossare le ciaspole ad Ettore, per fare un po’ di pratica. Il ragazzo non trova grossi problemi, anche perché non è proprio piccolino e le mie hanno dimensioni contenute. Ci fa tranquillamente mezza discesa.

Valanga e ciaspole

Scendendo decidiamo di prendere la “variante Bosco”, sentiero decisamente più divertente (soprattutto per il figlio, che detesta le forestali, infatti in salita ha sbuffato non poco). Non so se è stata una scelta intelligente (che comunque è assolutamente da evitare in caso di pericolo, perché si attraversano un paio di canalini non proprio rassicuranti). Il sentiero a tratti è libero dalla neve, il problema maggiore lo troviamo nell’attraversamento di un ruscello perché l’asse che fa da ponte, un po’ troppo esile per lo scopo, è privo di un appoggio, presumibilmente portato via dalla corrente, ed oscilla paurosamente.

Partenza del sentiero

Passato questo ostacolo, raggiungiamo agevolmente il parcheggio e, da qui, l’auto.

Rio Arnò

Dati percorso e traccia

Complessivamente, il tragitto di andata è di circa 5km per 500m D+. È quindi necessaria 1h30′ circa.

Avendo malauguratamente messo in pausa Strava durante la salita, metto qui il link al percorso seguito in discesa.

https://strava.app.link/8yJVrnv4Y2

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Buoni propositi per il 2020

Chi pedala a Capodanno, pedala tutto l’anno!!!

Ah, non era così?

Peccato!!!

Panigale

Beh, a parte le battute (stupide), in questi mesi sono stata “latitante”, ho praticamente interrotto la mia attività di scribacchina da quattro soldi e pochi followers, e non solo su questo sito, che è un po’ giochino è un po’ valvola di sfogo. Anche le mie altre “collaborazioni” si sono ridotte drasticamente. Soprattutto, pure l’attività fisica è stata interrotta, a causa dei miei moltiplicati impegni e del mutare delle condizioni al contorno (tipo che nella palestra vicino casa hanno tolto il corso di spinning nei giorni e orari che per me erano comodi).

Vabbè, come primo proposito del 2020 ci metto “ricominciare ad andare in palestra “, anche se vorrei mettere “cambiare lavoro”, opzione decisamente più complicata da attuare.

Buoni propositi 😀

In attesa di predisporre il piano di battaglia per la ripresa dell’attività fisica, ho rispolverato la bici per l’unico giro che potevo fare il 1 gennaio

  • Uscendo di casa dopo le 14.30
  • Evitando sterrato (i cacciatori il 1 gennaio stanno a tavola a mangiare o vanno a procacciarsi il cibo? A scanso di equivoci, meglio non correre rischi)

Il giro ad anello è quello che collega Grumello, Pizzighettone e Crotta d’Adda via argine. Una cosa molto soft, che è anche occasione per provare Strava, installato per scaricare un percorso di Juri Ragnoli per conto del mio moroso. Noi infatti da qualche anno utilizziamo la piattaforma del nostro GPS xplova, Strava non lo avevamo mai utilizzato.

Pizzighettone

Pizzighettone

E così, dopo essermi bardata per bene (strano, ho trovato tutto 🙂 ), sono salita in sella e via, a togliere la ruggine dalle articolazioni. Salvo poi accorgermi di aver scordato il caschetto… vabbè, non c’è in giro un’anima, per stavolta faccio senza.

Fa freddo, ma non troppo: il sole ha scaldato l’aria a sufficienza, nonostante la gelata notturna, e si pedala bene. Pochissime auto in giro, qualche famigliola a spasso col cane al guinzaglio lungo la ciclabile. Certo che quando vedo il figlio adolescente ribaltarsi sulla carreggiata dopo aver inciampato nel cordolo mi vien da pensare che i genitori più che al cane dovevano padare a lui…

Pizzighettone – le rapide e la centrale

E via per il centro storico di Pizzighettone, dove alcune comitive stanno visitando le mura, il lungo Adda e Porta Soccorso, col sole a riflettersi nel fiume e colori da tramonto incipiente. Già, in questa stagione l’effetto “sole di mezzanotte” falsa la percezione dei tempi, si fatica a stimare le ore di luce disponibili, i colori dorati danno l’impressione di un tramonto con tempi dilatati.

Passando accanto alla centrale risulta evidente che la piena natalizia (!!!) non è ancora stata completamente smaltita. Da qui si attraversa la provinciale e poi lungo la strada d’argine, incrociando qualche ciclista e pochi pedoni, con le lunghe ombre che attraversano la strada.

Fra Pizzighettone e Crotta

A Crotta si passa da via Cavallatico, un balcone sul fiume, poi si piega verso Acquanegra e quindi verso Grumello, attraversando nuovamente la provinciale e poi il passaggio a livello.

Verso Crotta

La torbiera di Crotta

Pescatore… all’ombra dell’ultimo sole

Crotta e il fiume

Le temperature ormai si stanno abbassando, come il sole all’orizzonte. La ciminiera dell’ex fornace da qui si manifesta in tutta la sua… inclinazione, mentre il paesello placido sonnecchia lungo la scarpata del fiume scomparso.

Grumello

La Fornace Fossa

A casa mi aspetta un the caldo.

Imparerò mai a centrare l’inquadratura?

L’ombra della sera 🙂

P. S.

Anche se si tratta di un esperimento, non condivido il link del percorso stava perché ho sbagliato a spegnere registrazione. Ma mi chiedo: vabbè che in pianura ogni salita sembra chissà cosa, ma chi ha chiamato “spaccagambe” la salita di Roggione ha una bella fantasia…

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Piccola rivoluzione in Val di Fassa

Chi si appresta a passeggiare o pedalare fra boschi e cime della Val di Fassa si trova a fare i conti con alcune novità e con qualche intoppo di natura ambientale.

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Val San Nicolò

Sentieri aperti: meglio informarsi in anticipo

Partiamo dal secondo aspetto, su cui tornerò successivamente, perché è una ferita aperta per questi luoghi e per chi li vive. Lo scorso autunno il ciclone Vaia ha picchiato duro in alcune zone e i lavori di rimozione dei tronchi sono ancora in corso. Se poi ci mettiamo anche alcuni forti temporali che hanno danneggiato pesantemente qualche sentiero, ci troviamo con numerosi sentieri o percorsi forestali chiusi o interrotti in più punti. È quindi importante verificare la percorribilità dell’itinerario prescelto, onde evitare spiacevoli inconvenienti. Sul sito ufficiale dell’APT della Val di Fassa è stata aperta una sezione dedicata, con l’elenco dei sentieri e dei percorsi forestali e del relativo stato (è possibile filtrare per comune, zona di riferimento, stato percorso). Sul sito Visittrentino sono inoltre disponibili mappe interattive con indicazione delle aree interdette (sono relative all’intero territorio del Trentino e delle zone limitrofe).

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Riferimenti per info aggiornate

Modalità di accesso alle valli laterali

Altra novità riguarda le modifiche alle modalità di accesso alle valli laterali, soprattutto per quanto riguarda il comune di Sen Jan (Pozza + Vigo). In particolare :

  • La Val San Nicolò è chiusa al traffico, per accedere o si sale a piedi o si prende la navetta da Pera-Pozza o da Vidor;
  • È stato eliminato il servizio navetta per il Gardeccia, qui si può arrivare dal Ciampedie (arrivo funivia da Vigo) o da Pian Pecei (arrivo seggiovia da Pera), aggiungendo quindi 30-45 minuti di cammino.

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Quadro sinottico servizi di trasporto

Alcuni rifugisti non l’hanno presa bene, perché temono un calo delle presenze dovuto all’allungarsi dei tempi di percorrenza e all’aumento dei costi (gli impianti di risalita costa più della navetta, a meno che non si possa utilizzare La tessera PanoramaPass). Diciamo la verità: trovare la Val San Nicolò sgombra dalle auto è un toccasana, mentre la valle del Gardeccia ha, obiettivamente, problemi notevoli di frane e dissesti di vario genere, numerosi sono stati gli interventi di ripristino resisi necessari negli.ultimi anni.

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