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Pellegrinaggio laico alla diga del Gleno

Eventi disastrosi più o meno recenti, come la frana del Vajont o il crollo della diga di Stava, sono ancora vivi nella memoria, perché ne abbiamo ricordo diretto o per l’impatto che hanno avuto su intere comunità o sulla nazione intera. Per quanto riguarda il Vajont, a riprendere ed analizzare la tragedia ci ha pensato Marco Paolini col suo monologo. Sono eventi che vengono portati ad esempio a futuri ingegneri e geologi, ma purtroppo non sono stati gli unici nella storia d’Italia: molti di essi sono custoditi nella memoria delle comunità che li hanno vissuti sopra la propria pelle ma poco noti altrove, e vanno ricordati per rispetto delle vittime, della verità e anche come monito affinché certi errori non vengano più ripetuti.

Domenica siamo stati alla diga del Gleno, la cui storia era stata sintetizzata in un post di qualche anno fa e al quale rimando per dettagli e approfondimenti. L’escursione da noi fatta è ad anello e non impegnativa.

Le rovine della diga del Gleno possono essere raggiunte seguendo itinerari diversi, ma i più battuti e semplici partono da Vilminore di Scalve e, diversamente combinati, consentono di compiere percorsi ad anello o con deviazioni in località caratteristiche dell’area. L’itinerario più breve in assoluto parte da Pianezza, che in periodo turistico è raggiungibile da Vilminore con bus navetta. Noi scegliamo di salire partendo da Vilminore, tenendoci in sinistra idrografica della valle del Gleno, e di tornare dal lato opposto.

Il percorso

Parcheggiamo all’inizio del paese, dove c’è l’area attrezzata per la sosta dei camper, e ci avviamo verso il centro del paese. Siamo nella via che transita davanti alla chiesa, alla ricerca del percorso che consente di arrivare a Pianezza tagliando i tornanti della strada asfaltata, quando una signora con cagnolino al guinzaglio ci spiega che il percorso è segnalato da formelle quadrate. Impossibile sbagliarsi, anche per chi, come noi, è in giro senza cartina e si sta basando su descrizioni sommarie prese da internet e sulla app (cosa che detesto, ma per stavolta va bene così).

Ci inerpichiamo così lungo ripide stradine, fra case in pietra, torrentelli incanalati e giardini fioriti, fino ad imboccare un viottolo che porta al l’immancabile Via Crucis (ogni paese di montagna ne ha una😁). Percorriamo un tratto di strada, tagliamo nuovamente fra boschi e capre al pascolo e, seguendo i segnali, arriviamo nell’abitato di Pianezza.

È un paesino grazioso e ordinato, proseguiamo e seguiamo una mulattiera a tratti ripida che raggiunge alcuni casolari, per proseguire poi su una mulattiera con fondo molto irregolare, anche a causa dell’azione dell’acqua. Le deviazioni sono ben segnalate dai cartelli metallici riportanti numerazione CAI e tempi di percorrenza, dalle formelle o da più rustici segnali marcati col pennello (il segnavia da seguire è il 411).

Si sale rapidamente, passando accanto alle condotta forzata, fino ad incrociare, in corrispondenza di un manufatto in cemento, una mulattiera pianeggiante (siamo a circa 1500m slm). Qui svoltiamo a sinistra e ci manteniamo in quota, lungo un percorso in parte scavato nella roccia. Il tempo di spiegare a mio figlio la versione breve della storia della diga, con aggiunta di spiegazioni circa le tipologie di dighe e il ruolo dell’acqua nella loro stabilità, e davanti a noi, contro i pascoli verdi, si stagliano le rovine della struttura.

Sembra quasi di passare attraverso un portale, che quasi novanta anni fa ha segnato il passaggio fra la natura piegata alle esigenze dell’uomo e il suo tendere a riprendersi inesorabilmente i suoi spazi, se non si rispettano i suoi equilibri, se per incapacità o sete di denaro non si presta la dovuta attenzione alle “regole del gioco”. L’acqua segue le sue regole, non quelle dell’uomo, e se trova spazio ci si infila, anche se questo significa portarsi via un pezzo di diga e qualche centinaio di vite innocenti. A testimoniare tutto ciò ci sono i (pochi) ferri di armatura che un tempo collegavano le arcate portate via agli speroni superstiti, le strutture del coronamento danneggiate, le riprese di getto che tempo, agenti atmosferici e vegetazione stanno man mano allargando. E le due bastionate rimanenti della diga, che sembrano quasi un fondale per un palcoscenico.

L’invaso esistente, trattenuto da un basso sbarramento, è poca cosa rispetto a quanto era previsto in progetto. Rimangono però vasti prati, terreno privilegiato per escursioni in famiglia, bivacchi per gruppi di amici e pascolo ambito per un gregge di capre, che pasteggia fregandosene beatamente degli escursionisti sdraiati al sole.

Il tempo di uno spuntino e di una passeggiata lungo la sponda del laghetto e ci rimettiamo in moto, risalendo il pendio per aggirare la diga sul lato destro della valle e ridiscendendo poi nel bel sentiero nel bosco (segnavia 410), passando accanto a torrette di avvistamento animali, seguendo le indicazioni per Bueggio fino al ponte sul torrente. Qui si attraversa e ci si trova in un’area sosta con un’installazione a memoria della storia dei luoghi. Percorrendo una forestale, passando ad un enorme formicaio (con tanto di pannello esplicativo su vita e abitudini delle ospiti) e ad alcune abitazioni private, si giunge sulla strada che collega Vilminore a Colere. Ancora qualche minuto e arriviamo in centro.

La sosta gelato è d’obbligo.

Dati escursione

Il tracciato è disponibile sul mio profilo Strava

  • Lunghezza : 11km 700m circa
  • Dislivello positivo: 630m
  • Tempo in movimento: 3h 30′
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